domenica, Settembre 8, 2024

Clock DVA, da Elettronica Alla Spina a Pisa al grande evento Contempo Records a Firenze

Giovedì 14 dicembre il Cinema Teatro Lumière di Pisa ha ospitato la sesta edizione della rassegna Elettronica Alla Spina, evento che è stato promosso dall’associazione universitaria New Grass/EAS con il contributo dell’Università di Pisa e del DSU. Ospiti di punta i Clock DVA, storico gruppo electro-industrial di Sheffield nato alla fine degli anni 70 che ha attraversato quattro decenni della musica elettronica e che in Italia ha costruito un ottimo seguito grazie alla distribuzione dei loro dischi curata dalla storica Contempo Records.

Proprio i Clock DVA saranno tra gli ospiti della grande festa live che Contempo ha organizzato per il prossimo 20 gennaio alla Flog di Firenze; 40 anni della storica etichetta fiorentina che includeranno i set live di Andrea Chimenti, Garbo, Antonio Aiazzi, Gianni Maroccolo, i mitici RINF, Miro Sassolini, Jet Set Roger, Sycamore Age e ovviamente i Clock DVA, gruppo di punta dell’intera serata. 

Clock DVA – Sound Mirror – official video

Per quanto riguarda Elettronica Alla Spina, il titolo dell’edizione appena passata era “Clock DVA: The future begins with a break from the past”, dove la necessità, come in ogni edizione di EAS, è quella di far dialogare musica, tecnologie, sperimentazione audiovisiva e arte, interrogandosi sul futuro di queste discipline all’interno nella nostra società liquida. Insieme a Vittore Baroni , il ricercatore del CNR – Pisa Massimo Magrini, Adi Newton, TeZ Maurizio Martinucci e Panagiotis Tomaras (i tre attuali membri dei Clock DVA), abbiamo avuto il piacere di partecipare al talk introduttivo prima dell’esibizione del gruppo, e di discutere con loro riguardo la loro carriera artistica, l’uso delle tecnologie nei loro lavori e le sperimentazioni video, cercando di mettere anche a fuoco la visione della società odierna e il rapporto tra musica e tecnologia attraverso le parole e la musica della band.

Il futuro giunge con una rottura dal passato”, è il primo verso del brano The Konstructor che apre il lavoro Clock 2 del 2014.

Davvero il futuro si crea con una rottura rispetto al passato? Si invita l’ascoltatore a porsi in una dimensione di cambiamenti radicali? Baroni ha chiesto questo al leader della band, Adi Newton il quale ha sottolineato che i concetti di futuro e di passato sono paradossali, c’è sempre una linea che unisce il passato al nostro futuro, dalla quale non ci possiamo sganciare, ma si può imparare dal passato per modificare e aggiornare il futuro.

E proprio da questo messaggio si è sviluppata la conversazione, cercando di capire anche come la poetica del gruppo sia cambiata e come abbiano reagito allo sviluppo tecnico degli ultimi tre decenni. Caratteristica inconfondibile e marchio di fabbrica dei Clock DVA è la dialettica tra materiale e immateriale, tentativo di rendere tattile il suono e le sue declinazioni, sia per l’ascoltatore che per il musicista intendo a produrre quello stesso mondo sonoro.  Questo si risolve prima di tutto in un rapporto particolare e creativo che il gruppo ha avuto e ha con i supporti materiali destinati alla fruizione della musica. Ad esempio il brano citato prima non compare su supporto tradizionale, ma è stato inserito in una chiavetta USB insieme a video testi e musica. Una cosa comune per i Clock DVA che nel corso della loro carriera hanno realizzato contenuti transmediali memorizzati su floppy disc, cassette e immaginati come un disco o un vinile vero e proprio grazie alla cura del packaging e all’impiego di contenuti aggiuntivi.

I supporti infatti sono cambiati nel corso dei decenni e la band ha cercato di mantenersi al passo con i cambiamenti del mondo tecnologico, abbandonando progressivamente il supporto tradizionale per dare un ordine maggiore ai contenuti e guidare il pubblico verso supporti non convenzionali per una release ufficiale.

La tecnologia si è rivelata come trampolino materiale di lancio per i Clock DVA che hanno sempre lavorato con i computer, sperimentando i primi sistemi operativi in circolazione negli anni 80, utilizzandoli con modalità che gli hanno consentito di abbandonare la strumentazione tradizionale, considerata dal loro punto di vista obsoleta. Hanno introdotto i primi esperimenti con il computer Amiga che consentivano di organizzare i suoni in un modo del tutto inedito; si sono dedicati ad esperimenti di musica “curativa” che già erano stati proposti dall’AntiGroup, collettivo in cui Adi era attivo negli anni 70. E anche qui ritorna il concetto di ricerca della materialità del suono: a partire dall’AntiGroup, in cui si mescolavano occultismo e scienza ai fini di produrre nuovi suoni, i Clock DVA si sono impegnati anche sulla ricerca di sonorità e frequenze che potessero avere uno scopo medico e terapeutico. Le ricerche di questa fisicità sonora si sono svolte anche attraverso l’utilizzo della tecnica di registrazione Ambisonics, una particolare tecnologia audio a multicanali nata alla fine degli anni 70 che permette di registrare e riprodurre i suoni conservandone le informazioni spaziali attraverso l’uso di un particolare microfono tetraedrico. Adi ha spesso usato questa tecnica durante i concerti e in sede l’ha definita come una scienza dalla enorme portata innovativa, che produceva e produce anche oggi notevoli effetti sull’ascoltatore, offrendo la possibilità di sentire il suono fisicamente, come se si fosse immersi realmente nell’ambiente sonoro riprodotto.

Ed è TeZ chedurante la conversazione ha meglio saputo esprimere questa volontà artistica di realtà virtuale sonora. Questa ricerca ha sempre caratterizzato i lavori di TeZ prima ancora di entrare nel gruppo, in particolare quelli sulle performances visive e dedicate alle istallazioni che hanno lo scopo di trasportare l’ascoltatore in un paesaggio sonoro di tipo sinestetico, concetto che si associa bene alla filosofia iniziale dei Clock DVA.

TeZ è la mente più scientifica del gruppo e sicuramente quella più vicina all’uso, scoperta e riscoperta delle tecnologie per produrre musica. In un momento come questo fatto di recuperi e rimediazioni in cui sta ritornando massivamente la curiosità per i dispositivi analogici, TeZ ha voluto ribadire quanto sia fondamentale saperne cogliere le qualità e saperli integrare con i programmi di elaborazione digitale (N.D.R. il concetto non è così lontano da quello di rimediazione per come è espresso da Jay David Bolter e Richard Grusin )

Alla fine il suono si deve pur comunque toccare. Dice TeZ: “È una cosa interessante lavorare con i modulari, perché si impara la sintesi del suono in modo concreto, si impara una manualità che è parte integrante della musica elettronica, si impara a gestire il suono, le onde, si impara a capirlo e a visualizzarlo concretamente”. L’artista concepisce il suono come una forma che va oltre la normale strumentazione fisica ma che della stessa si avvale, è interessato all’idea di poter creare strumenti nuovi, o per lo meno personali e personalizzati a seconda del suono che si vuole avere, affiancando anche la parte acustica per rendere uniche le proprie creazioni. Forte è il rapporto tra la ricerca tecnologica e la pura musicalità, concetto che alla fine ha portato TeZ ad entrare nei Clock DVA rafforzandone l’identità. “Esistono due tipi di arte, una ispirata da scienza e tecnologia e una informata da scienza e tecnologia. Si può essere padroni di una certa tecnologia e utilizzarla ispirandosi per creare musica e video seguendo le proprie inclinazioni, altra cosa è invece quella di essere parte di un team scientifico che cerca qualcosa di nuovo impiegando risorse tecniche per sviluppare nuove tecnologie. Clock DVA è stato più science inspired, ma ultimamente la direzione sta andando verso il science informed grazie alla collaborazione con ingegneri e tecnologi”, ha affermato TeZ. C’è comunque una parte più calda nel gruppo, più punk, che rende infatti i loro lavori più umani e meno robotici o impersonali ed è quella rappresentata da Adi,  il cui contributo aggiunge visioni più romantiche e utopiche che abbracciano la concezione della società osservata dal punto di vista del progresso tecnologico. 

Le video proiezioni sono state un altro argomento cardine affrontato durante il talk. A occuparsi della parte visuale è Tomaras che dichiara di essersi in parte allontanato dalla “originale tradizione video dei Clock DVA” seguendo il suo gusto personale, condividendo però la filosofia di inclusione visiva e sonora del gruppo. Durante i loro live ogni video proiettato è caratterizzato da parti assemblate già realizzate che vengono poi riprodotte, talvolta la manipolazione dei frammenti video viene anche improvvisata live e spesso la parte visual nasce contestualmente insieme al pezzo, anche se ogni concerto conserva la sua unicità.

Ambisonics però risulta in parte sganciata dalla produzione video dei Clock DVA. La poetica che sta alla base dei loro video è quella della mancanza più che della totale inclusione (lack and absence), almeno come metodo espressivo e non come risultato. Quando mancano  frammenti nelle sequenze video ci si pone nella condizione di immaginare cosa può mancare e di creare a nostra volta delle connessioni a volte incongruenti tra le varie sequenze, ma che ci permettono di dare un nostro senso personale a ciò che stiamo osservando sullo schermo. Adi infatti dice che i video sono come le macchie di Rorschach, ognuno vi vede ciò che gli appartiene inconsciamente ed ogni video performance, caratterizzata anche da frammenti di film, è diversa per ogni live.

Parlando sempre di tecnologie e media il talk si è chiuso con una discussione sul rapporto tra umanità, società ed evoluzione tecnologica. Abbiamo chiesto ad Adi come la tecnologia in generale possa modificare la vita dell’uomo in questo periodo e come questa, in particolare attraverso la comunicazione esperita con i social network, possa influenzare la musica. Adi ha una visione positiva della tecnologia in generale, che negli ultimi anni ha raggiunto livelli incredibili nella diffusione di informazioni e nell’abbattimento di barriere comunicative. L’unico problema che l’artista rileva è il flusso costante di informazioni ed immagini a cui siamo sottoposti ogni giorno, come se vivessimo in una società bulimica di informazioni effimere e transitorie. Ciò che Adi sostiene è che in una situazione come questa spesso la musica perde la sua forza e ci si trova davanti a prodotti scadenti, con contenuti deboli in cui trionfa indiscussa la forma. La tecnologia aiuta ma ultimamente ci ha reso dipendenti e spesso ci porta ad operare con modalità che Adi ha definito come “the cheap way of doing something”, musica e multimedialità comprese. Si parla ormai di “copia della copia della copia della copia” dove l’originalità è già un’utopia e tutto quello che viene diffuso ha perso in grande parte la sua forza comunicativa e personalizzata.

Clock DVA – The Hacker – official video

Come ha ricordato Baroni, citando Blade Runner e la cultura cyberpunk, in cui l’avvento del web e di un mondo connesso era salutato come latore di democrazia comunicativa e sociale, già i Clock DVA nel 1989 con il pezzo The Hacker avevano individuato il lato oscuro della rete. L’hacker è una figura che destabilizza il concetto di condivisione globale, cancellando ed erodendo come una malattia digitale ma che, secondo Adi, serve per far risaltare la falle di questo sistema di iper-informazioni.

Alla fine degli anni 80 con Buried Dreams i Clock DVA si collocavano al centro dell’emergente cultura cyberpunk, dove “gli scrittori radicali di fantascienza – ha domandato Vittore Baroni – cominciavano a scrivere sui network informatici e le realtà virtuali”. Baroni ha ricordato l’attività di riviste seminali come Decoder e Mondo 2000 dove si promuoveva anche un’idea positiva di questa nuova era tecnologica, individuando anche nuove possibilità democratiche. The Hacker, il singolo, ci offre una prospettiva diversa e per certi versi profetica sempre secondo Baroni, dove la cosidetta cyber revolution nasconde anche un lato oscuro. 

 

Questo futuro sembra allora soffrire di nostalgia e di certo il passato non si può tralasciare nei suoi corsi e ricorsi: tecnologia e musica, tecnologia e umanità sono gli elementi di un uroboro del tempo che sembra ripetersi, tanto da consentirci di trovare vie alternative per  riscoprire qualcosa di nuovo. 

Virginia Villo Monteverdi
Virginia Villo Monteverdi
Laureata in Storia dell’Arte medievale e seriamente dipendente dalla musica Virginia è una pisana mezzosangue nata nel 1990. Iniziata dal padre ai classici rock ha dedicato la sua adolescenza a conoscere la storia della musica. Suona e canta in un gruppo, ama fare video, foto e ricerche artistiche e ogni tanto cura delle mostre d’arte contemporanea.

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