Colapesce ha intervistato Gino Paoli per il magazine RockIt pochi giorni prima che Cesare Basile diffondesse il comunicato stampa con le ragioni del rifiuto della targa Tenco recentemente assegnatagli; rifiuto che ricordiamo, è legato alle posizioni liberticide di S.I.A.E. nei confronti di alcune realtà autogestite, che hanno presumibilmente spinto il Club Tenco ad annullare una manifestazione organizzata in collaborazione con il Teatro Valle Occupato. Basile, da due anni parte dell’assemblea del Teatro Coppola dei Cittadini, riassumeva il suo pensiero anche con questa frase inequivocabile: “I recenti attacchi del presidente della S.I.A.E., Gino Paoli, e del suo direttore generale Gaetano Blandini contro il Teatro Valle occupato e le altre esperienze autogestite sul territorio italiano (il Teatro Coppola Teatro dei Cittadini fra queste) mi hanno profondamente disgustato per toni e arroganza”
Niente di male rispetto ad un debito artistico che Colapesce ha il diritto di onorare nei confronti di uno degli autori storici del nostro paese, nel modo migliore che crede, anche quello della genuflessione, perchè no, siamo assolutamente tolleranti nei confronti di tutte le libere attività di culto, ma non possiamo fare a meno di notare una disturbante flagranza, quando nell’articolo in oggetto il musicista siciliano offre “ingenuamente” l’assist a Paoli per descrivere l’assetto di una società di intermediazione che Cesare Basile ha raccontato con parole molto diverse; per Paoli la S.I.A.E. non tassa nè la gente nè i locali ma “semplicemente preleva lo stipendio di un lavoratore, di un autore. Naturalmente questo stipendio cresce a seconda di quanta gente userà quella canzone […..] l’importate è che sia libera, perché l’attacco che si fa alla SIAE è questo. E’ stata fondata da Verdi e altri musicisti per poter gestire le loro opere in maniera autonoma, quindi su un principio di libertà, mentre se saltasse ci sarebbe la SIAE di Berlusconi, la S.I.A.E. della Rai, la S.I.A.E. di Google etc. ci sarebbero dieci S.I.A.E. e sarebbero tutte predominanti nei confronti dell’artista, mentre noi come autori siamo liberi grazie alla S.I.AE“
Al di la del riferimento un po’ approssimativo a Google le cui colpe sarebbero quelle di rendere “effettivamente” libero un immenso patrimonio documentale, pagandolo a caro prezzo alle società di intermediazione e interpretando nell’unico modo attualmente tollerabile per l’utente comune (e per i media indipendenti) leggi vergognose e preistoriche come quella attuale sul diritto d’autore, quella che Paoli definisce come libertà degli autori, è una pericolosa visione distopica che conosciamo benissimo, nella misura in cui prova a riproporre l’ipotesi di un allattamento dalle mammelle di un para-stato proibizionista che probabilmente si vorrebbe ancora funzionante come il partito unico Cinese, moloch che schiaccia i più deboli con la faccia nella polvere e favorisce, da sempre, solo una minima parte di quei lavoratori a cui Paoli si riferisce. Per Basile, al contrario, la libertà è una prassi individuale e sanguinante, senza intermediazioni, di cui rivendica quotidianamente la legittimità come “risposta a un sistema di gestione dell’arte e della cultura verticistico, monopolista, clientelare.”
Ci sembrano entrambe posizioni chiarissime, non rimane che sceglierne una.
“È solo colpa degli dei; se avete da lamentarvi, fatelo in cielo” (Jia Zhang-Ke, il tocco del peccato)