venerdì, Novembre 8, 2024

Da Bacon ai Beatles: l’immagine della musica – Museo della Permanente a Milano

Quando il tema di una mostra, o meglio di un percorso al contempo visivo e sonoro, è l’esplorazione del rapporto che ha legato artisti a musicisti, è facile diventare preda della suggestioni.

Nella rassegna ospitata alla Permanente di Milano e curata da Chiara Gatti e Michele Tavola, si affronta un argomento delle varie sfaccettature, affascinante sì e altrettanto pericoloso e mutevole. Fra la metà degli anni cinquanta e inizio sessanta, il mondo della musica è letteralmente travolto da un mutamento, che lo si voglia chiamare con un generico rock&roll costituisce solo un dilemma di semantica, il punto fondamentale è che nel vecchio e nuovo continente fecero la loro apparizione nomi e volti porta voci di rivoluzioni sonore e visive. Per citare alcuni dei nomi che vengono riproposti in sala, Jimi Hendrix, Jim Morrison e i Doors, Pink Floyd, Rolling Stones, Beatles, ma molti altri nomi avrebbero potuto trovare spazio.

Chiave di lettura del percorso tra le opere è la ricerca su come i movimenti d’avanguardia per le arti figurative abbiano intrecciato le proprie sperimentazioni traendo spunto e ispirazione dalla pratica musicale. In questo senso, è particolarmente significativa la citazione di Andy Warhol efficacemente riportata nell’audio guida. Commentando quanto Lou Reed stava facendo coi suoi Velvet Underground, Warhol paragonò la sua arte alla sperimentazione musicale e alla ricerca sonora dei Velvet; l’avvento della società di massa, la formazione di un nucleo che tale si potesse definire, lo stretto legame che trasformò la comunicazione in una protesi della visibilità, la veicolazione di messaggi di libertà e autodeterminazione considerati al limite dell’indecente, questi e molte altre le questioni condivise e frutto di riflessione su entrambi i versanti, visivo e musicale.

Il percorso nelle tre sale della mostra è aperto dalla citazione tratta dalla mostra “New Images Of Man” presso il MoMA di New York nel 1959.

Ogni periodo da una sua peculiare immagine dell’uomo. Che emerge nelle poesie e nei romanzi, nella musica, nella filosofia, nelle commedie e nella danza; così come nella pittura e nella scultura.

Karel Appel è il primo degli artisti a venire preso in considerazione. Lo si incontra nella prima sala della mostra nella quale è possibile vedere il grosso olio di tela dai colori e movimenti irrequieti. Dalla seconda sala in poi, si è condotti lungo un tracciato che coniuga la scelta sonora e visiva ad un delineato percorso cromatico. Le opere sono suddivise in tre colori: grigio chiaro come simbolo della cultura pop, rosso come colore di denuncia e grigio scuro per rimandare alla componente più introspettiva degli artisti in esame. A dispetto del percorso annunciato, la tripartizione non trova un vero e proprio prosieguo nella disposizione dei quadri, e non sembra venire ripreso nel catalogo che pur organizza in modo molto chiaro e gradevole le opere in mostra.

Nelle sale seguenti seguono, fra gli altri, Francis Bacon, Horst Antes, Alik Cavaliere, Valerio Adami, Giuseppe Guerreschi e Enrico Baj. Bacon è chiamato in causa in virtù della sua espressività triturante, per la capacità di macinare la tradizione per restituire una materia nuova, aggressiva come aggressiva è la società che lo circondava. A lui si accosta il Figur (Nach Hann Trier) di Horst Antes, opera del 1968 che anticipa la composizione di quello che sarà poi l’artwork di Division Bell dei Pink Floyd. Decisamente attraente è la presenza della scultura di Alik dal titolo Susi e l’albero. Per la sua visione è suggerito un accompagnamento sonoro delegato a Riders on the Storm dei Doors. Di ben altro impatto, e logicamente più coerenti con l’intento dell’esposizione, sono i passaggi alla raffigurazione di Giuseppe Guerreschi della cantante Joan Beaz così come la feroce critica di Enrico Baj raffigurata in Parata Militare.

E’ in primis la tematica della decostruzione a dominare la selezione artistica della seconda sala sia essa letta come arma ironica nei confronti di una società troppo benpensante per accettare un cambiamento (per esempio la tela di Valerio Adami Gli Omosessuali), o come antagonismo politico (la riproduzione della bandiera americana ad opera di Baj che viene squarciata da mani e volti sofferenti allo stesso modo in cui Hendrix squarciò l’inno americano riproducendo i suoni delle bombe con la sua chitarra). Trait d’union che sembra sparire nella terza e ultima sala della mostra dove è la ricerca della pop art a fare da padrona. Nella sala a fianco dell’italiano Mario Schifano si trovano l’immancabile copertina di Sgt. Pepper’s ad opera di Peter Blake, Richard Hamliton con Swingeing London ’67 che immortala l’arresto per stupefacenti di Mick Jagger e Robert Fraser.

Da Bacon ai Beatles tocca le corde che qualsiasi appassionato di musica fa volentieri vibrare, ma di fatto rischia di sembrare un esercizio di accostamenti più che di legami profondi. In questo, il catalogo risulta essere molto più strutturato e argomentato e offre interessanti spunti per una lettura sfaccettata che prende in considerazione anche i rapporti fra musica e fotografia. Forse una disposizione di sale più generosa avrebbe contribuito a diluire con efficacia l’esposizione generale.

[box title=”Da Bacon ai Beatles. Nuove immagini in Europa negli anni del rock” color=”#D46D00″]

Esposizione: fino al 12 febbraio 2012
Sede:
Museo della Permanente, Via Turati, 34 – Milano

A cura di: Chiara Gatti e Michele Tavola, catalogo Editore

orari: da martedì a venerdì 10.00-13.00 e 14.30-18.30; sabato, domenica e festivi 10.00-18.30;
chiuso tutti i lunedì, il 24, 25, 26 e 31 dicembre 2011, 1 gennaio 2012.
ingresso (audioguida inclusa): intero € 6, ridotto € 4
www.lapermanente.it [/box]

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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