Il Catanese Nino Rapicavoli ha una di quelle biografie artistiche da far tremare i polsi. Dopo l’apprendimento della musica in tenera età, le esperienze con il padre (titolare di un’orchestra), perfeziona in modo specifico gli studi e nel 1968 si trasferisce a Roma avvicinandosi alle esperienze del Folk Studio, e suonando con i migliori Jazzisti Italiani di quel periodo. È da questo momento in poi che Rapicavoli entra in contatto con una serie di figure (da Renzo Arbore a Giorgio Gaslini) che gli consentono di lavorare per l’ambiente Rai in qualità più che altro di sassofonista nel contesto di alcuni show della tv nazionale. Nei primi anni settanta comincia a comporre quella musica da commento che verrà pubblicata sotto forma di librerie sonore, album per lo più destinati ad un uso interno, non sempre destinati al commercio, e comunque distribuiti in forma limitata, con titoli che alludevano ad un campionario emozionale, evocativo, metaforico e motorio vastissimo, in modo appunto da ottenere una vera e propria “libreria” con suoni e musiche buone per ogni situazione narrativa. Rapicavoli quindi alterna l’attività di strumentista suonando, giusto per fare un esempio, in centinaia di produzioni cinematografiche, a quella di arrangiatore e compositore di musica da camera. Quella delle librerie sonore può essere considerata tutto meno che una parentesi accessoria, considerata la qualità del materiale. Penny Records, insieme ad altre release dello stesso tipo, tra cui Società Malata della chitarrista Daniela Casa, pubblica uno di questi lavori sommersi di Rapicavoli, intitolato Divagazioni e registrato nel 1975 per la Deneb, etichetta parente della romana Flipper Music, specializzata nella produzione di colonne sonore per la televisione, librerie sonore destinate al cinema televisivo documentario e al commento sonoro di broadcasting generici. La vicinanza con autori come Stelvio Cipriani, Giorgio Gaslini, Armando Trovaioli, Piero Piccioni, Ennio Morricone, Carlo Rustichelli, Riz Ortolani, è perfettamente rintracciabile in questa splendida raccolta, a partire dalle prime due tracce, Territoire e Premier, la prima tutta sviluppata su un harpsichord in crescendo molto vicino ad alcune incisioni coeve di Cipriani e la seconda un Jazz-prog Gasliniano di rara potenza, quasi esclusivamente sorretto da un basso ostinato e da alcune tensioni ritmiche dello stesso tipo. Metafora unisce i due mondi, ma sostanzialmente vive di quel tipo di luce provvisoria che costituiva la caratteristica principale delle librerie sonore, variazioni ritmiche su un’idea embrionale, nel tentativo di creare un mood con un alto grado di adattabilità alle immagini e che raramente si affidava allo sviluppo tematico, cercando al contrario di evocare sensazioni grazie al frammento ritmico, all’impasto sonoro, al momento apicale. Ascoltate adesso mantengono una forma sostanzialmente sperimentale e improvvisativa, una sintesi di tipo astratto, si ascolti a questo proposito il rhythm and blues quasi alla Booker T. di Diritto, un gioco improvvisativo che allo stesso tempo descrive quell’atmosfera festaiola, riconoscibilissima, di alcune sequenze del nostro cinema anni ’70, dove la musica aveva anche una particolare funzione diegetica, un residuo famoso di questi suoni lo si può per esempio ascoltare nella traccia di Metti Una sera a Cena intitolata alla luce del giorno, brano tra party sound ed “ecclesia”. Del resto un residuo dello stile confessionale che attraversa tutto quel periodo (dalle messe di Giombini allo stesso Morricone tra sacro e profano) è nel solo per organo di Altimetria. Tra le tracce più commoventi invece, il folk romantico, quasi alla Romolo Grano, di Istinto, interamente scritto per chitarra acustica, descrizione di una Roma magica e lunare che non tornerà più.