Se i navigli milanesi si tramutassero nel Mississippi, è certo che i Dust suonerebbero lungo quelle rive. A sentire le prime battute di Kind, Ep della formazione milanese, verrebbe da dire che si tratti di album prodotto e registrato oltreoceano, magari in qualche studiolo isolato fra Arkansan e Missouri. Al contrario, sorprende leggere che il disco è stato registrato fra Mono Studio di Milano dall’orecchio e occhio attento di Matteo Cantaluppi, Hollywood Garage di Arezzo da Paolo Alberta. Kind si apre al ritmo dei suoi freschi e gonfi delle chitarre di O My Mind, una ballata ricca e coinvolgente che beneficia a grandi dosi dell’uso del mandolino. Difficilmente l’ascolto del pezzo non porterà alla mente l’associazione con le produzione alla National così come la voce Andrea rimanda per intensità e resa a Smith degli Editors (specialmente in Never Defined). Diversamente da Tuesday Evenings, album di debutto autoprodotto, le cinque tracce dell’Ep mettono in evidenza la cura certosina della produzione e le potenzialità del gruppo che in pezzi come O My Mind e Never Defined, rivela propria la predisposizione per il classic rock di discendenza Neil Young. Peccato che talvolta l’album suoni esageratamente laccato e lucidato; i passaggi sul ritornello di Ink-Loaded Love a tratti sembrano troppo scolastici per quanto sono perfetti e calibrati. Un potenziale singolo da chart in cui sofferenza e trasporto si alternano in quel sali e scendi tipico dei tormentoni stagionali. Molto più efficace è la ballata blues di Collapse Of Art specialmente nel pezzo centrale nel quale, fra voce distorta e chitarre aggressive, i suoni si fanno più sporchi e cupi. Sulle note struggenti di Still Hiding, Still Trying si chiude Kind, un album che senza dubbi permetterà ai Dust di lanciarsi in future produzioni meno condizionate dall’effetto studio.