Elisa, metà del progetto Le-Li (qui in una video intervista su indie-eye) se ne esce durante il 2013 con un 7 pollici intitolato Leave This town a nome Elli De Mon, tre tracce di Blues sanguigno e dolente, profondamente intimo come quello acustico di Charley Patton, Blind Lemon Jefferson e Skip James, ma allo stesso tempo con uno spettro emozionale e sonoro allargato, perchè la musicista vicentina suona tutto da sola, usando una chitarra resofonica, dei sonagli agganciati come cavigliere, una grancassa che utilizza quasi sotto possessione e un amplificatore saturato che dialoga con uno spirito ancora più sudicio e garage.
Dopo il folk giocattolo (e non è una diminutio) di Le-Li, Elli De Mon arriva cambiando completamente tono, come un pugno nello stomaco e in forma definita con il suo primo full lenght, pubblicato a inizio febbraio da Corpoc, studio serigrafico Bergamasco, attentissimo all’arte dell’incisione, insieme alla divisione Recordings di Otis Tours Booking & Management. Undici tracce inedite, ad eccezione delle tre già contenute nel sette pollici, che confermano le ottime premesse, aggiungendo una serie di elementi che non potevano emergere dai primi assaggi.
Se in alcuni episodi (Spell su tutte) sembra si faccia sentire lo spirito della Pj Harvey più scabra, quella di 4 track demo, è probabilmente per un territorio di riferimenti comune, che nel caso di Elisa si affida ad una voce più evanescente, meno curata ma più vicina a quell’urgenza vitale che senza soluzione di continuità passa dal blues alle suggestioni della wave più scura; basta ascoltare una traccia come Sick con attenzione, per essere contagiati da una malattia febbrile, un vero e proprio mantra che trascina sottoterra e che in un certo senso ricorda proprio quegli esempi ibridi e selvaggi tra urgenza punk e blues, come per esempio i dimenticati Menace Dement di Casandra Stark.
Ma Elli De Mon non si muove solamente entro questi confini, perchè il suo amore per i Beatles, riemerge in brani come Call Me ma anche negli handclaps deliranti di Devil, strana creatura tra blues, pop deviato e clangori pre-industrial, a testimonianza del fatto che Elisa riesce a giocare con i generi in un modo colto e allo stesso tempo intuitivo, come se al gusto per l’intarsio rispondesse di volta in volta con voce rotta dal dolore, con un’invito alla danza liberatoria, con una cavalcata infernale alla Bo Diddley (Devote) ed infine, con quella conoscenza che la nostra ha della musica “orientale” (ha studiato musica Indiana) e che inserisce elementi Raga qua e la, come nella bellissima Ratri, deviando dal percorso originale verso un approccio più visionario
Un esordio sorprendente quello di Elli De Mon, perchè fuori dal tempo recupera un suono dell’anima senza mediazioni se non quelle del suo spirito e del suo corpo che si mette totalmente in gioco come “onegirlband”, riattualizzando in modo personale una musica eseguita tradizionalmente da performer maschili, e contaminando queste radici con una visione del tutto originale ma che allo stesso tempo non deraglia dal contesto immediato in cui il blues era nato. Elli De Mon accoglie il serpente e con coraggio gli schiaccia la testa con il piede nudo.