domenica, Dicembre 22, 2024

Esben and The Witch – Violet Cries (Matador 2011)

Per un artista poco convenzionale, si può usare un modo altrettanto insolito di recensire il prodotto discografico che questi propone: cominciando dal fondo, dal finale. Ascoltando Swan, la decima traccia di Violet Cries, il debut album di Esben and The Witch, ci sembra che l’effetto tremolo di una vecchia canzone interpretata (anche) da Nancy SinatraBang Bang – sia stato campionato dai Portishead, dopo aver sostituito la vocalist Beth Gibbons con la prima Bjork, quella Bjork che era solita cantare con una tonalità diversa dalla base musicale, sfiorando la discordanza armonica, che è poi l’effetto straniante di questo pezzo. Partiamo dalla fine, come abbiamo detto, perché è da lì – col tasto repeat – che l’ascoltatore ripete il suo viaggio musicale, e azzardiamo “esoterico” (dato che le visioni dei testi ce lo permettono, Hexagons IV su tutti), conferendo al disco un potere seducente e quindi vincolante. Ci sono pochi vezzi nella politica sonora del gruppo, nessuna ostentazione, né vocale né tantomeno in campo prettamente strumentale, i suoni sono embrionali, volutamente prematuri. La voce di Rachel Davies – attraverso gli occhi di Esben – narra le venture della strega, affatturando l’ascoltatore, senza però intimorirlo come faceva la fiaba danese dalla quale hanno preso in prestito il nome, piuttosto, mettendo in atto una precisa frantumazione vocale il cui unico scopo è quello di scalfire l’animo di chi ascolta. Non abbiamo idea di quali siano le vere intenzioni della strega, acuta incantatrice musicale, fino a quando non torniamo al principio, agli echi violenti di Argyria, episodio minimale pervaso dai giochi angosciosi che vengono tratteggiati da un lieve riff di chitarra elettrica. Marching Song, invece, è rumorosa e ipnotica, il paradigma della non-immediatezza che pervade il disco. Nel dubbio, lo skip è sempre lecito, dato che la terza traccia, Marine Fields Glow, è sulla falsariga di alcune esternazioni adult pop targato anni ’90, quindi, decisamente più accessibile. Il rischio di questo progetto, in realtà, è quello di sembrare ripetitivo, pur ispirandosi ad artisti diversi nello spazio e nel tempo: Light Streams ricorda gli altrettanto inglesi Bat For Lashes, una versione di questi ultimi senza i freni delle major che stanno rendendo le ultime novità inglesi – parliamo di musica alternativa – tutte uguali fra loro. Violet Cries è una sorta di versione in musica del sublime di Edmund Burke, in cui l’accezione fascinosa del tetro spazza via il bello oggettivo e le sue forme e sfumature pulite. Non ci sono b-side, né “pezzi forti”, tutte e dieci le tracce concorrono alla costruzione dell’album, dieci capitoli imprescindibili, attraverso i quali Esben (l’ascoltatore) segue un filo logico come Teseo faceva con il gomitolo di filo datogli da Arianna (per rimanere in tema mitologico), al fine di portare a compimento l’avventura musicale medesima e districarsi quindi dal labirinto musicale che Violet Cries rappresenta. Siamo lontani dalla forma-canzone di Florence and The Machine – sebbene ci sia chi si è affrettato a fare il solito inutile paragone –, al massimo potete affacciarvi con la curiosità di chi guardava ai primi Siouxsie And The Banshees, stessa attitudine rock femminea. In Violet Cries, infatti, anche l’episodio più immediato resta inaccessibile a buona parte del pubblico, spesso tra sbadigli e rimborsi di biglietti, c’è solo qualche ascoltatore appagato: pochi ma buoni, si dice, e non a torto.

Sebastiano Piras
Sebastiano Piras
Sebastiano nasce in Germania e sin da piccolo mostra uno sfrenato interesse nei confronti della musica, dal pop soul dei Commodores alla singolarità del Duca Bianco.

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