martedì, Gennaio 21, 2025

Federico Fiumani, la foto intervista di indie-eye.it

Federico Fiumani prima del suo show al Tambourine di Seregno: una chiacchierata tra passato e futuro, tra sesso, amore e rock’n’roll.

Federico Fiumani non ha bisogno di presentazioni. La sua è una vita per la musica, sempre fedele a sé stesso e alle proprie idee. Per lui parlano le sue canzoni e i suoi concerti, sempre all’insegna della qualità. L’abbiamo incontrato prima del suo show al Tambourine di Seregno: una chiacchierata tra passato e futuro, tra sesso, amore e rock’n’roll. Ecco cosa ci ha detto.

[ Foto Francesca Pontiggia ]

Il concerto di stasera sarà in trio. Preferisci esibirti in questa dimensione o in versione “confidenziale”? Come cambia il tuo approccio al palco e soprattutto al pubblico nelle due diverse occasioni?

Chiaramente è diverso. I concerti con il gruppo mi aiutano molto di più, i Diaframma nascono come rock band, quindi la batteria e il basso che pulsa sono necessari, ci vogliono. Però devo dire che la versione confidenziale mi ha insegnato moltissimo, affrontare la scena da solo è molto difficile per certi versi, rompere il ghiaccio da soli è molto più difficile. Mi ha insegnato moltissimo, magari anche a comportarmi meglio quando sono col gruppo. Quindi si è rivelata un’esperienza fondamentale e spesso anche divertente.

Quali sono le canzoni che più ti piace suonare dal vivo? Che più ti divertono quando sei sul palco?

I pezzi facili da suonare perché, chiaramente, puoi dedicare più tempo a guardare la gente o a pensare a divertirti. Quindi in particolare “L’odore delle rose”, “Vaiano”, “I giorni dell’ira”, i pezzi che hanno tutti accordi facili, un po’ alla Ramones.

I Diaframma sono l’unica band ad avere un gruppo ultrà a sostenerli, che io sappia. Immagino che la soddisfazione di avere un pubblico così caldo e affezionato sia enorme. Che rapporto hai con i tuoi fan e in particolare con i Diaframma Ultras?

Gli Ultrà li conosco tutti e sono degli amici, ho piacere ogni volta che li vedo. In generale questo mestiere lo puoi fare se hai un pubblico, si spera sempre numeroso tutte le sere; quindi è fondamentale l’apporto del pubblico, che sia sempre più ampio. Abbiamo bisogno del successo, piccolo o grande che sia.

L’anno scorso è uscito “Difficile da trovare”. Ricollegandosi al discorso sul live, in molti brani del disco ci sono code ed intermezzi strumentali che mi hanno fatto pensare che le canzoni siano nate già con la testa al live elettrico. È un’interpretazione giusta?

Ogni interpretazione è giusta, nel senso che magari tu vedi cose che io non ho visto e che ognuno ha il suo modo di vedere la musica. Diciamo che è un disco che è nato molto in sala prove, quindi provando molto i pezzi, cercando di creare un ambiente da gruppo. Quindi veniva naturale la voglia di suonare molto insieme e di lasciarsi andare, anche, di non limitarsi necessariamente ai 3-4 minuti della canzone canonica. Con questo gruppo mi trovo molto bene e cerco di instaurare con loro un rapporto anche istintivo: credo che questa cosa sia poi emersa nel disco.

Negli ultimi dischi alcuni testi (es. “Mi sento un mostro”, “Francesca 1986”) trattano senza pudore tematiche sessuali. Alcuni le vedono come provocazioni, a me sembra solo che tu affronti, come in ogni altra tua canzone, la vita direttamente e senza mediazioni, per cui non c’è nulla da scandalizzarsi. Sei d’accordo?

Il discorso di fondo è che noi facciamo rock’n’roll. Se volessi fare un trattato sul sesso scriverei un libro, ma gente infinitamente più brava di me l’ha già fatto. Io credo che una canzone rock’n’roll debba semplicemente divertire; se poi riesce a farlo in un modo, non voglio dire intelligente, ma semplicemente che riesca a cogliere qualcosa nell’animo di una persona, penso che abbia già fatto abbastanza. Nel mio caso questo è successo con dei gruppi, ad esempio i Velvet Underground, che facevano delle canzoni molto melodiche, molto pop, però con dei testi un po’ perversi. Io bene o male mi ispiro a loro quando faccio dei testi con tematiche sessuali.

Un paio di anni fa è uscita una compilation tributo al tuo lavoro, “Il dono”. Tra le reinterpretazioni che contiene ce n’è qualcuna che ti ha colpito in particolare?

La mia preferita in assoluto è “Verde” rifatta da Dente, è quella che mi è piaciuta di più. Mi son piaciute tutte, ma se devo sceglierne una, scelgo quella.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a quello che può essere definito un revival del post-punk, con molte band che hanno ripreso i suoni di Joy Division, Gang Of Four ed altri gruppi di quel periodo. Secondo te perché è tornato attuale quel tipo di musica?

In parte perché non c’è più niente da inventare. Questa è la tragica verità, il rock ha esaurito tutte le sue possibilità creative. La musica che è stata fatta negli anni ’60 e ’70 rimane tuttora la migliore, secondo me, la più espressiva anche per un giovane che si avvicina adesso. Difficilmente i Beatles saranno mai superabili da qualcuno. Credo che l’ultimo grande gruppo rock siano stati i Radiohead, che si sono spinti veramente al di là, fino ad arrivare a qualcosa che poi non ha nulla a che vedere con il rock; sono davvero grandissimi artisti, i loro meriti gli vanno riconosciuti. Detto questo, credo che il ritorno del post-punk sia all’interno di una logica di cicli e ricicli; non inventando più niente, non per demerito dei musicisti, perché i talenti ci sono ancora, ti accorgi che per esprimere te stesso ti riferisci in un modo o nell’altro a qualcosa che è già stato fatto. I Joy Division poi hanno una particolarità: sono un gruppo di cui puoi giudicare l’attività come completamente compiuta, dopo la morte di Ian Curtis. Questo fa sì che ti ci avvicini sapendo già l’inizio e la fine, non hai da temere reunion improvvise, sai che i Joy Division non ti inganneranno mai., per cause di forza maggiore

Ci sono stati anche dei ritorni “eccellenti”, ad esempio quello dei Frigidaire Tango. Ci sono altre band di quel periodo che vorresti rivedere?

Il ritorno dei Frigidaire Tango secondo me è stato abbastanza deludente, l’ho anche detto a Carlo. Li preferivo di gran lunga quando facevano post-punk, in inglese e non in italiano come ora, nell’80-’82. Tra gli altri ti posso citare i Neon, che sono tornati a suonare dal vivo da un paio d’anni e che mi piacciono tantissimo. Poi si stanno riformando un po’ tutti i gruppi degli anni ’80, è un grande piacere per me perché rivedo la mia giovinezza. Addirittura anche i Litfiba ritornano, che vuoi di più dalla vita?

La scena fiorentina degli anni ’80, di cui sei stato uno dei principali esponenti, è considerata come una delle più importanti nella storia della musica italiana, seconda forse solo a Genova negli anni ’60, con tutte le differenze del caso. Oggi non c’è in nessuna città qualcosa di paragonabile alla vostra esperienza, gli ultimi esempi possono essere stati Torino e Milano negli anni ’90, ma anche in quel caso il lascito è stato minore. Cosa avevate di così unico, forte e speciale a Firenze allora?

Alle due che hai citato aggiungerei anche Catania, con Mario Venuti, Carmen Consoli ed altri che hanno fatto grandi cose. Tornando a Firenze, abbiamo avuto una serie di coincidenze positive allora. C’erano dei buoni gruppi, dei locali buoni, delle buone etichette discografiche, manager e anche agitatori culturali, tutti a loro modo dilettanti, ma con un grande spirito di iniziativa. Poi c’era la moda, c’era il teatro. Metti assieme tutto questo, oltre al fatto che la città di per sé è bellissima; aggiungi che veniva anche gente da fuori per rendersi conto di cos’era Firenze. C’era una grande energia, come a New York negli anni ’70-’80. Tutto questo ha fatto sì che Firenze fosse una città perfetta per viverci e per fare musica in quegli anni.

In “Labbra blu” dicevi Via le lame dal mio cuore. Sei riuscito a toglierle in questi anni o è impossibile farlo?

Abbastanza, è difficile farlo. De Gregori diceva L’amore insegna ma non si fa imparare. Quella che hai citato è una canzone d’amore, un po’ struggente, su un amore finito. Io credo che per amare bisogna anche un po’ soffrire, scusa la banalità; alla fine è una bella sofferenza, se fosse solo un piacere credo che non saremmo così affascinati dal mistero dell’amore, dalla sua componente irrazionale. Non riuscendola a spiegare, succede che risbagliamo ogni volta, ma va bene lo stesso in fondo.

State preparando qualcosa di nuovo? Un nuovo disco o nuovi progetti?

Per ora facciamo concerti, di nuovo non ho niente. Forse un libro di poesie uscirà l’anno prossimo o già per la fine del 2010.

A proposito, come fai a scegliere, quando inizi a scrivere dei versi, se la loro destinazione sarà in una poesia o in una canzone?

Spesso metto da parte ciò che scrivo, per poi ritirarlo fuori. Se sono “a corto” di canzoni uso ciò che ho scritto in passato. Oppure mi metto lì con la chitarra, mi viene una frase e mi piace: in quel caso decido che diventerà una canzone, ci lavoro in quel senso riprendendo in mano lo strumento e costruendo un testo. Quindi vengono insieme testo e musica, ma una sola frase, devo sentire che quella frase può portare in varie direzioni, può essere la base per la costruzione di una trama.

Federico Fiumani e official Diaframma Myspace

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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