A fidarsi delle note stampa, Fiorino fa il marinaio per vivere mentre compone canzoni “per vocazione”, e considerate le attitudini nomadi di chi ha fatto dell’approdo e del viaggio la propria filosofia di vita, non c’è da stupirsi se “Il masochismo provoca dipendenza” ha le caratteristiche di una raccolta eclettica e storico-antologica della nostra tradizione cantautorale; il fischio de “La buona occasione” è tutto dalla parte di Lucio Dalla anche se il falsetto portato al limite della rottura e malinconicamente melodrammatico ci fa pensare a quello strato di miele acido che la voce di Harry Nilsson spalmava attraverso le sue canzoni per cuori infranti, influenza che torna anche nella ballata folk di “Mauro“.
Lucio Dalla sembra in ogni caso il nume tutelare del nostro, si sente bene anche nella successiva “Amanda” anche se la scelta sonora è quella di un combat folk stradaiolo, arricchito da un crescendo orchestrale tra fiati e organo un po’ Tex Mex; influenze latine che si affacciano anche in “L’esca per le acciughe“, bossanova d’amore aspro che non sfigurerebbe nel repertorio di un Mario Venuti più spigoloso, magari improvvisamente innamoratosi di Marc Ribot.
Del resto, la commistione tra Jazz, rock sudista e persino forme più sostenute e in linea con il rock statunitense anni ’90 (Stoner di portorotondo) insieme al repertorio dei nostri cantastorie pop (Dalla, ma anche Gaber, Rino Gaetano e Jannacci, che emerge a un certo punto nell’opening track) sembra la formula “segreta” di Fiorino; al posto del “buglione” c’è una forte capacità di mantenere il centro del discorso inventandosi un sound personale e omogeneo, merito forse della forma stornellante e del set acustico che sottende ogni brano, anche quelli più elettrici o elaborati. Niente di nuovo, ma tutto molto vivo e stimolante e sopratutto orientato a quella forma di teatro-canzone, che ci auguriamo di poter vedere dal vivo molto presto.