Fotografie di Francesca Pontiggia / Intervista di Fabio Pozzi // Da questa parte il Foto Set realizzato durante il recente concerto di Giorgio Canali alla Casa 139 di Milano; di seguito l’intervista di Fabio Pozzi
Benvenuto su Indie-Eye, innanzitutto. Inizierei l’intervista chiedendoti qualcosa su “Nostra Signora Della Dinamite”, il tuo ultimo disco uscito da qualche mese. Sembra quasi duale rispetto al precedente “Tutti contro tutti”. Mentre in quello cantavi con rabbia e “rumorosamente” contro la società, in questo mi sembra che sia i testi sia la parte musicale siano più introspettivi, meno urlati. E’ un’interpretazione accettabile?
E’ accettabilissima. Semplicemente mi sono rotto i coglioni di passare per stracciamaroni e populista. Obiettivamente la mia visione politica e del mondo è molto molto spietata, non è affatto usuale, però, vai a capire perché, passo come Ligabue che canta “Il mio nome è mai più” o Pelù che fa le canzoni contro la guerra. Secondo me lì c’è un problema di comprendonio, quando uno non arriva a capire le differenze sono cazzi suoi. Mi sono un po’ rotto di questa cosa, per cui a un certo punto, dopo quattro album che erano stati costruiti tutti in maniera politicamente scorretta, a parlare del mondo fuori e dell’idiozia degli altri, ho parlato della mia idiozia. Mi son detto “ci mettiamo a raccontare della mia idiozia, che è tanta, enorme e dipendente dai miei sentimenti più intimi; racconto quello e vedrai che ci faccio anche la figura del poeta una volta tanto”. Infatti è andata così. Poi il risultato non cambia, io sono lo stesso sfigato di sempre, quello che, comunque sia, non sarà mai un prodotto di massa: mi sta benissimo, non la rivendico come medaglia al valore. Io so benissimo che le mie cose sono troppo intelligenti per l’idiozia che impera in giro, quindi va bene così. Ho voluto parlare di me soprattutto per evitare di trovare tante cose spiacevoli, specialmente sui siti internet. E’ bellissimo che ci sia una diffusione della musica e della critica; il problema è che su internet ci accedono tutti, quindi ci accede anche una quantità di idioti incommensurabile.
Tra i pezzi sul disco “Lezioni di poesia” mi ha colpito particolarmente. Nel testo te la prendi con “il primo idiota che passa” che ti dà “lezioni di poesia e di impegno sociale”…
E’ esattamente quello che stavo dicendo. Mi è capitato di leggere frasi del tipo “Questo ha dei testi adolescenziali”: ho cinquanta anni… Oppure che non c’è poesia in quello che scrivo: mi diano loro lezioni di poesia. Anche il loro impegno sociale poi è terra terra. Se vogliono possiamo parlarne del mio impegno sociale o della mia storia rispetto al mondo politico. Comunque non me ne frega nulla: io so di aver ragione. So che c’è un sacco di gente che si fa fregare da tutti, e la cosa più grave è quella. Finché ti fai fregare dalla cosa più facile, parliamo della massa che abbocca all’amo “orwelliano”, tra virgolette molto grosse, di Berlusconi, va tutto bene; quando invece parliamo della massa che abbocca all’altro amo, quello un po’ più sottile di una certa finta sinistra che si ritaglia degli spazi in maniera vergognosa e non è diversa dall’atteggiamento e dal mondo della vera destra, lì girano i coglioni. Però, in fondo, bisogna essere molto intelligenti per capire la differenza; se uno non ci arriva da solo ci arriverà quando avrà le catene ai piedi, la casa lucchettata sei volte e le telecamere dappertutto.
Un altro brano che non può lasciare indifferenti è “Nuvole senza Messico”, che cita e rovescia “Messico e nuvole” di Paolo Conte. Com’è nata l’idea per quella canzone?
La parafrasi, che è un esercizio di stile, né più né meno, è una delle cose che mi diverte di più. Citare a sproposito e citare rovesciando le cose mi diverte moltissimo, mi fa ridere. Sono un po’ come Peter Griffin che ride da solo delle sue battute di merda; io in fondo sono come lui, solo più magro. Una cosa pazzesca è che per esempio in francese questa cosa non è fatta mai abbastanza; il francese si presta molto di più ai giochi di parole stupidi, però mi è capitato di scrivere cose in quella lingua che per me erano battute ovvie, come potrebbe essere quella che fa un cretino, cioè l’assonanza tra water e vate; in Francia invece venivano viste come cose geniali. Lì ho cominciato a capire che forse era possibile giocare un po’ con queste “storture”, anche in maniera un po’ banale, senza però scadere nel banale. Ho cercato quindi di farlo in italiano e penso che negli ultimi 4-5 anni mi sia riuscito abbastanza bene. “Nuvole senza Messico” è la sintesi di questo discorso: mi metto a citare Modugno stravolgendolo, mi metto a citare Conte/Jannacci stravolgendoli, mi metto a citare me stesso stravolgendomi. Si chiama autocelebrazione di merda, lo so, ma quando uno ha cinquanta anni può anche permettersi di autocelebrarsi anche se non lo caga nessuno. In fondo non me ne frega niente, io sono io e sono felice di essere io.
In “MP nella BG” la dedica a Marco Pantani è presente fin dal titolo. Cosa ti ha affascinato della sua figura e della sua fine tragica?
Che era troppo figo, che era un impasticcato, il re di noi impasticcati. Per impasticcati non intendo quelli che inconsapevolmente si strafanno per strafarsi; parlo di quelli che hanno voglia di giocare un po’ con la scoperta di queste cose, come negli anni Settanta, quando era normale buttarsi alla scoperta delle droghe. Poi c’è anche un gioco sull’ipocrisia generale che regna nel mondo “ufficiale”, di cui fa parte anche lo sport. Marco Pantani per me è una bandiera; magari era uno sfigato, un cretino, ma non mi interessa. Il fatto che ci sia rimasto secco così da coglione è stupendo. E comunque era il più forte di tutti; diciamocelo, tutti quanti si facevano con la stessa roba nello stesso momento, l’unica maniera per andare era quella e se lui andava più degli altri era perché aveva più sangue e più cuore.