Passiamo ora a Giuliano Dottori e a L’Arte Della Guerra Vol. 1. Abbiamo parlato finora di altre ere musicali, tu invece per produrre il disco sei ricorso al crowdfunding, specchio dei nostri tempi.
È stata una scelta un po’ delicata. Avevo già fatto l’esperienza del crowdfunding per finanziare Musica Distesa, il festival che organizzo nelle Marche, ma era una cosa un po’ diversa. In questo caso abbiamo fatto dei ragionamenti non molto poetici ma pragmatici. Ho posto come condizione quella di fare fondamentalmente un pre-order del disco, non volevo che venisse fuori una pagliacciata, perché il problema del crowdfunding qui in Italia, non conosco la realtà estera, è che ci sono dei progetti per i quali si va un po’ oltre il confine che ci dovrebbe sempre essere, quindi quando leggo “50 euro ringraziamento via Skype” mi viene da dire “fermi tutti, qui si va oltre”. Quindi abbiamo deciso per il pre-order, con anche la possibilità di ascoltare subito il disco in digitale, ed ha funzionato, perché abbiamo venduto tante copie. Purtroppo o per fortuna, il momento è questo, c’è chi ha i soldi della nonna e chi non ce li ha, la favoletta dell’etichetta che mette i soldi è finita. Un altro motivo per la scelta che abbiamo fatto è stata la possibilità di allungare in questo modo i tempi della promozione. Poi vorrei fare una piccola polemica con i servizi di streaming, che utilizzo anch’io e che penso abbiano un senso e un’utilità, ma che hanno dato la spallata finale: in termini numerici molto semplici, se prima vendevi cento adesso di quei cento ottanta dicono “me lo ascolto su Spotify”, ma il rientro che hai da Spotify rappresenta solo una piccolissima parte rispetto alle ottanta copie non vendute. Noi invece facendo così abbiamo detto “il disco lo trovi solo lì”, responsabilizzando l’ascoltatore. Quindi c’era anche quella componente, che è rimasta un po’ sotto silenzio, ma che ora tiro fuori.
Parlando del disco dal punto di vista artistico, penso che ascoltandolo si senta aria di libertà creativa. Era quello che vi eravate prefissati facendolo?
La pausa tra il disco precedente e questo è stata molto lunga, quasi cinque anni, anzi di più, perché Temporali e Rivoluzioni uscì a fine 2009, ma era pronto già un anno prima. Nel frattempo c’è stata l’avventura con gli Amor Fou e una serie di tour con formazioni varie. In questi anni ho avuto modo di fare delle riflessioni su quello che deve essere la mia musica, senza pensare di essere il numero uno credo però di essermi ritagliato un mio spazio che mi contraddistingue. Quindi ho pensato “ok, mi piacciono le robe un po’ psichedeliche, proviamo a spingere un po’ su quel versante quando è il caso”, mentre dall’altro lato avevo canzoni pop anche potenzialmente “forti”, che un po’ per snobismo e un po’ per paura di espormi troppo rendevo più difficili del necessario. Quindi questo disco e il volume due che seguirà sono andati in questa direzione: ho cercato di fare la canzone pop così come deve essere, limando anche sui testi, laddove invece la struttura era un po’ più complicata mi sono lasciato andare e me ne sono fregato, se doveva essere di otto minuti non era un problema. Questa cosa è stata sposata subito da Mauro Sansone e Marco Ferrara, con cui lavoro ormai da anni, e ci siamo divertiti parecchio anche se è stato un procedimento lunghissimo, ci abbiamo messo un sacco di tempo, ritagliandoci mezz’ora qua e mezz’ora là. Mi fa molto piacere che questa libertà si sia notata, perché era la mia intenzione.
Ho notato anche che hai superato quella che io chiamerei “Sindrome di Alibi”, legata alla canzone del primo album a cui hanno fatto seguito altri due/tre brani nel secondo disco, nel filone più malinconico, quasi da teenager. In questo caso mi pare invece che tu non ci abbia proprio pensato, che non ci siano brani di quel tipo…
La cosa di Alibi per me è stata sempre un po’ conflittuale, live infatti non la faccio quasi mai. È una canzone che è del ’99, vecchissima quindi, che è finita dentro al primo disco e che riconosco assolutamente come mia e che capisco anche che possa essere piaciuta e che la gente possa avere trovato un pezzo di sé ascoltandola. Se ti riferisci a Tenersi stretto un ricordo, che era un po’ il pezzo di quel tipo sul secondo disco, non ho pensato di farla così per riproporre quanto fatto con Alibi. La cosa consapevole che ho fatto con questo disco è il tentativo di smarcarmi da quella cosa, per cui Dottori è il cantautore intimista, che in realtà è una definizione che va bene, perché chi non lo è? Mi ero un po’ rotto del fatto che si pensasse che sono quello con la chitarrina acustica che fa la canzoncina, perché in generale quella categoria di cantautori ha rotto e io sono il primo a essersi rotto di ascoltarli.
E i vari Dente e Brunori, che vanno così di moda?
Anche loro si sono un po’ smarcati da quella cosa, sposando di volta in volta idee diverse. In più Brunori è un performer davvero notevole, live è bravissimo.
L’Arte della Guerra Vol. 2 arriverà? E come sarà?
Le canzoni le avevo già fatte tutte, alcune sono andate avanti mentre altre si sono fermate lì, poi quando abbiamo deciso di chiudere il primo disco e di farlo uscire ci siamo un po’ arenati, in questi giorni abbiamo delle sessioni e cercheremo di andare avanti. Spero di farlo uscire massimo tra un anno, perché voglio che si mantenga l’idea che di fatto è un disco doppio. Poi l’abbiamo diviso in modo che siano un po’ diversi, questo primo disco è più elettrico, più evocativo e più ambient/psichedelico se vuoi in certe cose, nel secondo invece voglio andare dritto al punto, saranno otto canzoni anche lì, con solo un paio di deviazioni mentre il resto filerà tutto dritto, non dovrebbero esserci ballate.
Hai altri progetti in questo periodo?
Sì, un duo con Leif Searcy, che è un batterista storico, che ha lavorato con Carmen Consoli agli inizi di carriera e poi ha fatto una buona carriera da turnista. Saranno pezzi in inglese, anche perché lui è madrelingua inglese. Abbiamo una passione comune per i Pearl Jam e per i Led Zeppelin, ci siamo messi un po’ a suonare insieme e sono usciti pezzi blues elettrici, una cosa che mi mancava perché sentivo di avere dentro di me quel tipo di musica ma che non sono mai riuscito a tirare fuori, sia con il mio lavoro solista sia con gli Amor Fou, dove le coordinate erano totalmente diverse. Abbiamo registrato sette canzoni, non so se usciranno ma sicuramente ci siamo divertiti.
La foto galleria completa di Francesca Pontiggia