L’eterno ritorno del psychedelic rock, potrebbe essere il titolo di un capitolo potenzialmente infinibile. Sembrano saperlo alla perfezione gli Howlin Rain, originari di San Francisco con tre album all’attivo. Nati nel 2004 dalla volontà di Ethan Miller (già Comet On Fire), gli Howlin Rain mettono sul pentagramma le note della tradizione rock & blues, quella dalle iniziali maiuscole. Sarà l’atmosfera feconda e ricca di impulsi di San Francisco, sarà l’inclinazione e la passione dei componenti, sta di fatto che The Russian Wilds suona come un percorso a ritroso sull’asse della storia. Creedence Clearwater Revival, Crosby Stills Nash, Lynyrd Skynyrd e anche Led Zeppelin e Black Sabbath s’affacciano lungo l’ora tonda d’ascolto, caricando le note di nostalgia ’60/’70.
La traccia di apertura, Self Made Man, dichiara da subito e con sincerità la predilezione della band per le corde infuocate, i suoni acuti delle tastiere che contrastano con la melodia dei coretti e per gli assoli di chitarra esasperati per minuti e minuti. Qualcosa di affine si ripete anche nella successiva Phantom In The Valley, salvo il cambio di ritmo dal quarto minuto in poi che riporta alla mente lavori alla Santana. Molto più melodiche si rivelano Can’t Satisfy Me Nowe Strange Thunder, ma i ritmi lenti, melliflui e ruffiani, mal si addicono alla band. È con Beneath Wild Wingse soprattutto Cheeroke Werewolf, che The Russian Wilds raggiunge risultati più apprezzabili; un rock misto a blues e psichedelia per un andamento ancheggiante, molto femminile, così come richiama i cori di sottofondo. Walking through stone alla conclusione del disco, mollemente abbandonata sulla zattera del rock acido e psichedelico.
The Russian Wilds non si può definire un album innovativo o capace di amalgamare la materia passata. In realtà si tratta di un lavoro molto curato, ricercato ed è questo rigido aspetto scolastico a farlo, pericolosamente, apparire come un album tributo. Niente di nuovo, il taglio delle canzoni è classico e prevedibile, il minutaggio cospicuo (la maggior parte dei pezzi si assesta oltre i cinque minuti), degno della tradizione a cui si rifà. Meno caratterizzato rispetto ai primi lavori, The Russian Wilds è e resta un buon album, ma un album da catalogo; non deludente ma oltremodo didascalico.