Flores è la terza prova solista in italiano, dopo quelle in inglese a nome Goodmorningboy, per Marco Iacampo. Prima di questo disco ci sono infatti stati l’eponimo esordio nel 2010 e Valetudo nel 2012, nei quali il cantautore veneto ha di volta in volta affinato le sue capacità autoriali nella nostra lingua e le soluzioni sonore utilizzate per accompagnare i testi, partendo da una base già assolutamente buona e aumentando poi la qualità della proposta. Ora arriva Flores e la scalata verso la perfezione prosegue, sia nei testi, in miracoloso perfetto equilibrio tra piccole storie e temi universali, che dal punto di vista musicale, con un’apertura a trecentosessanta gradi verso la musica altra, sia essa brasiliana, africana, jazz o di stampo rock-folk anglosassone.
Gran parte del merito di questa evoluzione va allo stesso Iacampo, una delle migliori penne oggi in Italia, in grado di rendere il pop qualcosa di alto seppur fruibile, come pochi altri sanno fare, forse il Marco Parente delle prove soliste o nel progetto BettiBarsantini condiviso con Alessandro Fiori.
Oltre ai suoi meriti vanno però sottolineati anche quelli di Leziero Rescigno, già nei La Crus e negli Amor Fou, che ha prodotto il disco spingendo i suoni verso il mondo là fuori, e dei vari musicisti coinvolti nell’operazione, Daouda Diabaté allo ngoni per dare un tocco di Africa, Enrico Milani al violoncello, Paolo Lucchi al sax, Nicola Mestriner alla parte elettronica e lo stesso Rescigno alle percussioni, mai invadenti ma basilari nell’accompagnare i brani.
Le dodici canzoni che compongono Flores sono tutte frutto di un gran lavoro lirico e musicale e si sente, fin dall’iniziale Pittore elementare, con ottimi inserti di sax e un bel crescendo verso la bossanova. C’è da dire che il livello di tutto l’album è sempre alto ma tra i più riusciti spiccano brani come Santa Clara, con chitarra jazzata e ancora i fiati a fare capolino, Nuovissimo Bestiario Veneto, che racconta vite ordinarie e la ricerca di un posto nel mondo, l’accoppiata Come una roccia–Come una goccia, due bellissime melodie terrene e acquatiche a confronto, oltre naturalmente alla title-track, posta in chiusura a suggellare il disco con una decisa sterzata verso l’Africa.