Con un campione destrutturato e oscuro di “Summer kisses winter tears” si apre venice, prima traccia di Welt, ultimo album del milanese Francesco Vecchi in arte Jenseits.
Una dimensione palgiarista, fatta di relitti sonori, voci lontane, imprestiti dai suoni marginali del cinema e dal recitativo di improvvisi frammenti letterari, cuciti insieme da un’estetica che privilegia la bassa definizione, il cut-up anarcoide, la filosofia dadaista del ready-made. Ispirato a “Fino alla fine del mondo” di Wim Wenders, sulle tracce del regista tedesco, “welt” è un travelogue mappato a partire dall’identità di città internazionali che costituiscono i titoli della stessa tracklist (Venice, Paris, Pechino…), deformate nella loro versione più enigmatica, quasi fossero fotografie notturne, rivelatrici di un’aura decadente che attraversa questo viaggio globale. Lo spirito del progetto è eminentemente strumentale, non solo per la struttura continua e senza soluzione di continuità, ma per il modo in cui le voci, anche quelle più strutturate, vengono trattate insieme al flusso sonico, di volta in volta afferente a generi diversi, tra psichedelia, musica etnica, elettronica, darkwave; diventa quindi difficile distinguere il frammento dalla forma originale, il simulacro dalla sorgente, tutto in “welt” è trasparente e assume quella qualità narrativa che era presente negli interludi tra un brano e l’altro nell’oustide Bowiano.