giovedì, Novembre 7, 2024

Le Strisce, la foto-intervista

Un titolo che colpisce subito tra quelli dei brani dell’album è “Odio il pop”. Com’è nata questa canzone?

È una canzone di odio-amore, più che di odio. Noi odiamo il limite entro cui viene costretto il termine “pop” in Italia, dove viene riferito a Laura Pausini, Eros e gli altri soliti nomi. Per noi invece il pop ha un significato più ampio, abbraccia tutto ciò che è popolare, appunto. Questo è un discorso che può abbracciare l’arte, con Andy Warhol ad esempio, e naturalmente la musica: per noi il pop sono gli Oasis, gli Strokes, gli Arctic Monkeys, che sono comunque per tutti, non per una certa fascia di utenza. Quindi odiamo il significato italiano di pop, ma in realtà lo amiamo.

Avete citato le vostre operazioni virali su Myspace come punto importante per farvi conoscere. In tutto questo, nella vostra crescita, che ruolo ha avuto e ha il live? Com’è un concerto delle Strisce?

Un concerto delle Strisce è abbastanza “spinto”; non so trovare un termine esatto, diciamo che non è leggero, ci si diverte molto. Non ricordo di aver assistito a concerti italiani di gente che si prende così poco sul serio, non nel senso che facciamo i buffoni sul palco. Abbiamo il sogno di ambire a fare qualcosa che sia rock’n’roll, quindi secondo noi la gente si deve divertire, deve saltare, ballare, cantare, deve essere partecipe. Il live è la cosa migliore che può capitare se sei musicista e se hai un po’ di seguito. Speriamo di averne sempre di più, naturalmente. Da poco abbiamo chiuso con un’agenzia, per cui a breve avremo un calendario abbastanza completo per l’estate.

In “Are You OK?” il piano è suonato da Cesare Cremonini. Com’è nata la collaborazione con lui?

Ci ha trovato lui su internet; ha scaricato il nostro EP da I-tunes incuriosito dal nome della band e dal titolo di “Fare il cantante”. Si è interessato a noi, ha iniziato a contattarci via mail, dalla mail nasce una telefonata, dalla telefonata viene al concerto, così ora ci sentiamo spesso, siamo amici. È veramente una persona in gamba. Ha fatto quello che non ti aspetti, che una persona già realizzata venga a cercare un gruppo alle prime armi; l’ha fatto solo per la musica e per la passione, e non è una cosa così scontata per chi è arrivato a certi livelli.

Ci sono altri artisti con cui vi piacerebbe lavorare, anche a livello di sogno?

Per quanto riguarda l’Italia, Celentano. Sarebbe fantastico fare un duetto, magari su un vecchio pezzo rock’n’roll, tipo “24000 baci”. Gli stranieri invece sono tutti morti: Nat King Cole, John Lennon, Sinatra. Purtroppo è tutta gente che ormai se n’è andata, però io, come mio gusto personale, sono molto legato agli anni dai ’30 ai ’60, la musica nera, lo swing, musica che non si ripeterà più. Quello era un periodo in cui c’era bisogno di felicità e quella era musica che la trasmetteva davvero, con le melodie e i testi. Nacquero standard incredibili, che nessuno riuscirà a eguagliare, come “Tenderly” nella versione di Nat King Cole, ad esempio.

Venite dalla provincia di Napoli. Come vedete la situazione nella vostra città per gruppi che, come voi, si discostano dalla tradizione e da ciò che va per la maggiore? È difficile suonare e farsi notare?

Di default a Napoli è difficile. Il fatto stesso che ci sia stato un gruppo come noi, che è riuscito ad arrivare ad una major, viene visto come qualcosa di straordinario. Anche con nostro piacere, c’è stata poi una scia di persone e gruppi che hanno avuto una sorta di spinta nuova; però spesso l’hanno fatto in modo sbagliato, cercando di seguire lo stesso filone e di usare gli stessi metodi, come a dire “ci sono riusciti loro, ci posso riuscire anch’io nello stesso modo”. Non è così facile però, perché dietro quello che facciamo c’è realmente del duro lavoro, sulla scrittura, sugli arrangiamenti e anche sui rapporti col mondo esterno e le sue influenze. Per riuscirci ti deve piacere veramente quello che fai, non lo devi fare solo perché sai che può funzionare, non ti porterebbe da nessuna parte. Napoli in generale è una piazza molto chiusa, non è come Milano, Roma, Firenze o Bologna: ci sono pochi posti dove suonare, pochi festival e manifestazioni, quindi o ci credi davvero o è solo un gioco, non è veramente fare musica. È una piazza che non è nemmeno molto seguita dalla discografia, perché il sud è più difficilmente gestibile rispetto a progetti del centro o del nord; diventa difficile per un gruppo di Napoli, piuttosto che di Palermo o di Lecce, riuscire ad affermarsi, ci sono veramente pochi casi. A Napoli in particolare l’ultimo gruppo che aveva firmato un contratto con una major, che io ricordi, sono stati i 99 Posse dodici-tredici anni fa. Per questo ci riteniamo fortunatissimi.

Ultima domanda: come si vedono le Strisce tra 5 o 10 anni? Farete ancora i cantanti?

Per prima cosa speriamo con questo disco di ottenere qualcosa, di riuscire a suonare di più, che è fondamentale. Poi vorremmo portare in progetti concreti la mole di canzoni che produciamo. Come dicevo, dopo questo disco abbiamo scritto decine e decine di canzoni; speriamo di riuscire a produrre dischi in maniera più rilassata e costante, soprattutto, altrimenti corri il rischio di impazzire. Le canzoni che scrivi dovrebbero essere finalizzate al disco, acquistano veramente senso se riesci a farle uscire nell’immediato, a inserirle in un progetto.

Le strisce su myspace

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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