Lia Ices è la cosiddetta ‘piacevole scoperta’, quella che non ti aspetteresti dato che in due dischi sembrava aver espresso tutto il suo potenziale. La ragazza del Connecticut pareva aver assodato la sua carriera su uno standard da algida cantante finnica, anche se è young and beautiful come la sua collega (e fatico a definirla tale) Lana del Rey. E proprio Ices, la sua ultima fatica uscita per Jagjaguwar a 3 anni da Grown Unknown e a 6 da Necima diventa il suo migliore episodio scoprendo inaspettate possibilità.
Una piacevole scoperta di sonorità etniche, dal sitar di Higher alle percussioni di Electric Arc, denota una sensibilità diversa dal puro e semplice folk pop degli esordi. Come a dire: gli arrangiamenti non sono tutto ma una buona parte del tutto. C’entrano molto i synth, corposi nel trasportare la voce di Lia verso lidi che già Glasser esplorò (aiutata anche da un vocoder) sempre in Electric Arc che la rende ‘persa nella giungla’ meglio di Katy Perry di Roarr. Sweet as Ice è pienamente immersa nell’electro-ethnic, un composto affascinante e ben riuscito, che sembra prodotto dagli ultimi Ratatat per le chitarre slide. How we are ci prova con il mix tra acoustico ed elettrico come a loro volta i compagni di scuderia Lightning Dust, e ci riesce.
Insomma, Ices è un disco riuscito, forse il colpo di coda di una cantante che aveva esaurito lo stile ma non le canzoni, o magari il preciso piano di approdo in una nuova dimensione. Basterebbe Tell Me a dare un’idea delle nuove vette pop che si riescono a raggiungere con un progetto ben concepito.