venerdì, Novembre 22, 2024

Majakovich – il primo disco era meglio: la recensione

“In questo disco suonano (a tratti contemporaneamente) batterie acustiche, batterie elettroniche, chitarre elettriche pulite, chitarre elettriche distorte, chitarre acustiche, chitarre classiche, autoarpa, bassi elettrici, bassi elettrici distorti, synths, pianoforti, moog, rhodes, minibrute, binson echorec, voci, cura, urla, claps”. Questo è l’elenco che accoglie chiunque sfoglierà il libretto contenuto ne “Il primo disco era meglio“, vaticinante album di esordio dei Majakovich. Sotto l’egida di un titolo (auto)ironico, il trio di Terni porta alle stampe il secondo lavoro a quattro anni dall’esordio del 2010 con Man is a Political Animal by Nature. Abbandonata la trasposizione aristotelica e la lingua inglese, Majakovich confeziona undici pezzi interpretati in italiano dalle corde squarciate di Francesco Sciamannini; pezzi urlati, polemici, grunge sia nei suoni che nei temi. Un mix che ha i colori dell’imbrunire fine anni ’90, dove aleggiano ora i richiami agli Afterhours di Germi (non a caso hanno supervisionato la scrittura dell’album Manuel Agnelli e Xabier Irondo), ora il crossover grunge dei Faith No More. Il tutto registrato, mixato e prodotto da Tommaso Colliva.

Fin dalle prime tracce si capisce che il nucleo centrale dei Majakovich, e il loro punto di forza, sta nella espressività dei testi; lapidari, scheletrici nella quantità di strofe ma di altissimo impatto. C’è la parabola (o forse meglio declino) relazionale di Devo far presto, l’epifania a suon di pugni de La verità (è che non la vuoi) o la declaratoria stoner di Perchè Francesco migliora. In certi momenti tornano alla memoria alcuni passaggi dei Fast Animals And Slow Kids, benché l’approccio di Majakovich risulti meno facinoroso e adolescenziale rispetto ai conterranei. Sorvolando sull’improbabile serenata in Ufo e la melodica Ho già deciso, l’abilità dei Majakovich si dispiega negli incastri fra il ruvido e malinconico esplorati in Era Meglio. In fondo, quale pezzo può rappresentare al meglio il disco se non quello la cui strofa si richiama direttamente al titolo? Un modo perfetto di chiudere il cerchio.

 

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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