venerdì, Novembre 22, 2024

Piers Faccini, l’eterna sfida del songwriting: la foto-intervista

Con il suo nuovo album Between Dogs And Wolves, il quinto della sua carriera, Piers Faccini ha quasi totalmente abbandonato le suggestioni world che attraversavano e caratterizzavano buona parte della sua produzione precedente per dare maggiore spazio al puro intrecciarsi di testo e melodia, sulla scia dei più grandi cantautori anglosassoni dagli anni ’60 ad oggi. Il suo nuovo corso musicale è stato accompagnato anche da cambiamenti a livello produttivo, con la fondazione di una sua etichetta, la Beating Drum, grazie alla quale può gestire e dare maggior valore a ciò che fa, intrecciando arti e suggestioni. Nelle scorse settimane Piers ha girato in lungo e in largo l’Italia per presentare il disco al pubblico italiano, che ha dimostrato di amarlo fin da inizio carriera, per motivi genetici (il suo cognome chiarisce infatti le sue origini) ma non solo. Lo abbiamo incontrato proprio in occasione di uno di questi concerti, quello alla Salumeria della Musica di Milano, per un’interessante chiacchierata in cui ci ha spiegato tutte le novità di questi ultimi mesi. Ecco cosa ci ha raccontato.

Sono passati alcuni mesi dall’uscita di Between Dogs And Wolves. Sei soddisfatto di come è stato recepito dalla critica e dal pubblico, anche attraverso i concerti?

Sì, penso che il disco abbia avuto una buona accoglienza, anche perché mentre ci lavoravo, mentre scrivevo le canzoni, pensavo solamente a ciò che sarebbe piaciuto a me, più che in ogni altro disco che ho fatto. Non avevo alcun pensiero su quanto sarebbe piaciuto ai fan o alla critica. Però ora posso dire che ho fatto il maggior numero di concerti in giro per il mondo con questo disco, dopo averlo fatto solo per me, quindi sono molto soddisfatto. Ovviamente non mi aspettavo un successo commerciale, perché è come una conversazione sottovoce, però sta facendo la sua strada.

Il disco è uscito per la tua etichetta, la Beating Drum. Come mai hai deciso di avviare una tua label? Solo per i tuoi dischi o farai uscire anche album di altri artisti?

All’inizio l’idea era di fare solo i miei dischi e i miei progetti, anche perché una delle motivazioni per metter su una casa discografica risiede nel tentativo di andare al di là di una certa matrice che ti impone di fare un album ogni due o tre anni, con dodici canzoni o undici o tredici e nient’altro, se non qualche bonus ogni tanto o un’uscita per il Record Store Day. Per quanto mi riguarda, avendo tante cose da dire e da sperimentare, soprattutto legate al fatto che sono anche pittore e che mi piace il design e creare oggetti, l’idea era quella di rompere un approccio precostituito alla discografia e, al di là dell’album ufficiale che esce ogni due anni, di sperimentare con oggetti diversi e di avere una relazione più diretta con i fan che mi seguono, pubblicando edizioni limitate e via dicendo. Abbiamo iniziato con questo libro che ho realizzato, che si chiama Songs I Love, all’inizio edito  in sole 400 copie, anche perché è un oggetto molto curato. Poi è andato molto bene e ne abbiamo stampate altre 400, di cui ora ne rimangono solo un centinaio. Quindi arriveremo a fare mille copie di una cosa che all’inizio speravo di vendere con una diffusione molto minore. Questo è interessante, perché è il mio modo di sperimentare con quello che succede nel mondo della musica oggi, in cui c’è qualcosa che sta finendo, cioè l’approccio classico delle major e anche di alcune indipendenti, mentre emergono altri aspetti  più sperimentali e creativi, il tutto legato al fatto che la gente non compra più dischi. Quindi io vedo due strade parallele: una in cui promuovi l’uscita classica con il disco disponibile su iTunes, Amazon e nei pochi store sopravvissuti, e l’altra in cui sperimenti con la minoranza di persone che amano gli oggetti, che amano la musica e che vogliono darti supporto perché amano quello che fai e ne capiscono il valore. A questo proposito ho pubblicato un post sul mio sito, che è andato benissimo ed è stato ripreso da molti blog un po’ dappertutto, che si chiama Why Music Is Food. Nel post dico che la musica è anche cibo, perchè c’è qualcuno che la coltiva. Non puoi andare da un contadino a prendere le patate e le carote senza pagare, ma anzi se ti piace il modo in cui lui coltiva queste cose, il suo approccio ecologico, gli dai i soldi che si merita e magari ne dai meno ai supermercati. Quindi ho fatto lo stesso parallelismo: non dare i soldi ai supermercati se vuoi comprare un disco, vai da una piccola etichetta che fa le cose con amore e con cura. L’etichetta sta andando abbastanza bene quindi, ora stiamo lavorando con una giovane artista svedese, che si chiama Jenny Lysander. Ho fatto la produzione artistica delle prime canzoni che abbiamo registrato insieme, uscirà un EP tra poche settimane e un album probabilmente in autunno. Quella di lavorare con lei o con altri artisti non era una cosa che avevo previsto, però mi sono innamorato della sua musica e ne ho avuto conferma lavorandoci insieme, ci metto la stessa passione che uso quando lavoro sulla mia musica. In definitiva, sono tempi interessanti, pieni di sfide, anche economiche, ma appaganti. (continua nella pagina successiva…)

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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