La seconda giornata del Primavera è anche quella con più affluenza: ci si può accorgere del maggior numero di presenze già dal tardo pomeriggio, quando gli spazi tra un palco e l’altro sono occupati da veri e propri fiumi di gente che vaga tra i vari concerti nell’attesa dell’evento principale, cioè lo show dei Pixies. Le prime band ad esibirsi sui diversi palchi tra le 17 e le 18 non sono niente di che; una piccola citazione se la meritano forse i Cohete che, aiutati dal pubblico di casa, regalano qualche sorriso col loro retro pop in spagnolo tra indie e anni ’60 (con fiati spesso in bella mostra) al palco Vice. Si comincia a fare sul serio quando alle 18.15 sul San Miguel Stage arrivano i New Pornographers. I canadesi attaccano con Sing Me Spanish Techno per ingraziarsi l’audience, poi proseguono con una serie di ottimi brani pop, tra cui spiccano My Right Versus Yours e Your Hands (Together). Una buona prova, non all’altezza dei conterranei Broken Social Scene, anche per l’orario pomeridiano, ma comunque apprezzabile. All’ATP Stage c’è poi Scout Niblett. Il suo è un concerto di un’intensità incredibile, uno tra i migliori in assoluto nei tre giorni del festival. Accompagnata solo da un batterista, riesce a incantare il pubblico con le sue canzoni, blues scheletrici, violenti e lancinanti, e la sua voce, capace di estensioni e strappi incredibili. L’effetto della sua esibizione è quasi mesmerizzante, si assiste in religioso silenzio a quello che fa, ad esempio quando su Kiss riesce da sola ad emozionare come nella versione su disco (dove è accompagnata da Bonnie ‘Prince’ Billy, mica uno qualsiasi). La catarsi si scioglie nel finale, quando Scout si traveste da capo-popolo e, seduta alla batteria, incita tutti ad esprimere la propria voglia di musica e amore. Ben pochi potrebbero reggere il confronto con un’artista del genere. Gli Spoon non ce la fanno, pur essendo sul palco principale. Le loro canzoncine carine non riescono praticamente mai a lasciare il segno, seppur suonate con perizia e assolutamente ben scritte. Si salvano forse I Turn My Camera On e The Underdog, per il resto del tempo si assiste a ciò che accade sul palco (dove campeggia una bandiera italiana di ignota provenienza) con distacco. Dopo un lungo cambio palco scocca l’ora dei Wilco. Il tempo speso per la preparazione pare buttato, dato che per i primi venti minuti di concerto sembra che quasi nulla funzioni. Wilco (The Song) apre il set tra vari problemi tecnici, che si acuiscono su I’m Trying To Break Your Heart, quando scompare dalle mappe sonore l’intero lato destro del palco. Dopo una bellissima Jesus, etc. cantata da Jeff Tweedy in acustico accompagnato solo dal pubblico, tutto pare ripartire alla grande con l’inizio di Impossible Germany. Chi scrive è però costretto a recarsi all’ATP Stage per motivi lavorativi che non si concretizzano. Se non altro i Les Savy Fav in quel momento sono impegnati in uno dei loro infuocati set. Non si tratta di follia pura come nel caso dei Monotonix, ma neppure in questo caso si scherza. Tim Harrington dà tutto sé stesso al pubblico, nuota su di esso, ci si perde per poi riapparire e rotolare sul palco come un posseduto. Nel frattempo la band lancia schegge di hardcore e noise senza perdere di vista le proprie radici r’n’r. Da applausi. Arriva poi l’ora delle lacrime amarcord, come nella prima serata. Signore e signori, i Pixies. Sono vecchi, sono brutti, sono sovrappeso: fanno il miglior concerto del festival, senza se e senza ma. Un’ora e mezza senza una pecca, una canzone dietro l’altra con giusto qualche “Gracias” sussurrato da Kim Deal tra gli applausi di un pubblico adorante. Attaccano con Cecilia Ann, poi mettono in fila, uno dietro l’altro, praticamente tutti i loro capolavori. Nella prima parte a spiccare sono Wave Of Mutilation, Monkey Gone To Heaven (con una selva di 5, poi 6, poi 7 dita verso il cielo per tutti) e Tame. Si continua con Velouria, una Allison ancora più veloce dell’originale e una Debaser clamorosa. C’è anche il tempo di un paio di cover: Winterlong del signor Neil Young e Head On dei Jesus & Mary Chain, che restano grandi anche dopo il trattamento Pixies. Verso il finale altre canzoni enormi arrivano a rendere sempre più memorabile la serata, ad esempio l’allucinata Broken Face e l’altra regina del sing-along Here Comes Your Man. Dopo Vamos tutto sembra finito, ma il calore del pubblico convince Frank Black e compagni a regalare le ultime due perle, le più pregiate: Gigantic e Where Is My Mind? La prima esalta la voce di Kim, ancora in grado di sembrare un’adolescente che canta del suo “Big big love” dopo tutti questi anni, ed esalta anche noi. La seconda è una vera e propria apoteosi, dall’intro dimesso e scordato alla coda con quei coretti stupidi quanto basta a diventare epocali, passando per l’elettricità che percorre a onde tutto il brano e che fa veramente chiedere a tutti i presenti dove sia finita la loro mente. Chiudo ripetendo: signore e signori, i Pixies. Una delle più grandi band di sempre. (2/3)