One Track Mind, quarto disco in studio degli Psychic Ills, ottimo riscatto di un desiderio morboso e viscerale di vecchie tentazioni chiassose dal sapore amarcord. Ed anche se non merita smentita l’assunto che i dieci brani di questo lavoro non vadano oltre quanto già detto, anche dalla stessa band newyorkese con i precedenti lavori, credo sia altrettanto lapalissiano che il dono di saper scrivere dei buoni dischi non possa sciogliersi così, come neve al sole.
Non serve, pertanto, stranirsi se un infuso ‘90, condito a modo con quel tipico appeal spectoriano delle chitarre, possa far strada anche nell’anno domini 2013. Neanche tanto strano poi, se consideriamo quel profuso vuoto espressivo, più o meno condiviso, degli anni zero. Orbene, nonostante l’iniziale One more time sembri essere simpatetica di certi Guided by Voice e l’acustica City sun evochi persino Neil Young (di Heart of gold), il punto di partenza della band resta sempre il lisergico di Spacemen 3, Oneida e Wooden Shjips ma, questa volta condensato con coinvolgenti spirali di blues elettrico e rock alternativo. Sicchè, almanacco di un ipotetico punto d’incontro tra Iggy Pop ed i Pixies (Depot, Might take a while) o più acre di alcuni trips alcalini dei Girls Against Boys (See you there), l’alone che circonda One track mind non lascia tanto spazio a sterili sillogismi in ordine alla freschezza dei brani, preoccupandosi piuttosto di rispolverare quello strano magnetismo ascritto ad indolenti atonali monocorde e grasse chitarre tremolanti (FBI, I get by, Drop out), chissà perché tanto aborrito negli anni immediatamente trascorsi eppure ancora così rampante.
Insomma, il dubbio è che certe cose non vadano più di moda. La certezza, che suonino sempre bene.