È la scrittura in solitaria di Lorenzo Pellegrini che da vita in prima istanza al progetto /handlogic. L’incontro dell’autore fiorentino con Leonard Blanche e Vieri Cervelli Montel (Marasma) si concretizza in un ibrido emozionale tra sovrimpressioni vocali ed elettronica, sempre in bilico tra i due elementi e alla ricerca di una sintesi originale.
La musica degli /handlogic è apparentemente immediata e nasconde oltre al groove e al fascino della logica, un cuore pulsante costituito dal lavoro sulle voci e dal notevole intarsio strutturale di tutti i brani.
A nostro avviso un piccolo miracolo tra le produzioni indipendenti italiane, per maturità e creatività. Dal nu jazz al trip-hop, da James Blake alla serie televisiva Black Mirror, gli /handlogic si fanno aiutare in consolle da Samuele Cangi, che mixa il loro primo bellissimo EP realizzato grazie al finanziamento di Toscana 100band.
Gli /handlogic sono tra gli ospiti selezionati per la quinta ed ultima eliminatoria del Rock Contest di Controradio in programma stasera 17 novembre presso il Combo Social Club di Firenze. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione e abbiamo intervistato Lorenzo Pellegrini, per conoscere più da vicino i suoni di questo promettente progetto
Come nasce un vostro pezzo? Si parlava di immediatezza, questa mi pare del tutto apparente, perché ad ascoltare più volte i vostri brani si percepisce una stratificazione molto complessa e articolata. Per esempio mi sembra ci sia un’anima prettamente vocale e corale nella vostra musica. È così ed è da li che partite?
I pezzi nascono sempre dall’armonia. Parto da un semplice incastro tra una voce al basso e una al canto, a prescindere da uno strumento “compositivo”: raramente mi succede di scrivere un pezzo con la chitarra in mano, trovo più stimolante pensare le note come entità astratte e questo è possibile usando come mezzo espressivo il computer. Nel momento in cui non hai a che fare con corde e tasti che le tue mani già conoscono, è meno facile cadere in automatismi avendo come unico appiglio l’orecchio.
E’ senz’altro vero che c’è la presenza di “un’anima corale” nella musica: io e Vieri condividiamo da sempre una passione smodata per le armonie vocali e rappresentano il tassello successivo nella costruzione di un pezzo. Spesso ci rendiamo conto che un pezzo è già completo anche solo con due voci e una linea di basso.
Ciò che viene aggiunto successivamente in fase di arrangiamento con Leonard sono stratificazioni elettroniche che hanno lo scopo di trovare il giusto equilibrio tra minimalismo e complessità: l’obiettivo finale è quello di far risultare i pezzi immediati e accessibili a tutti anche se sono composti da strati e influenze diverse e articolate.
/handlogic – il video ufficiale di Arles
⁄handlogic. Il nome, da dove viene?
Il nome deriva proprio da questo processo creativo.
Unire “logic”, la freddezza cerebrale e strutturata delle macchine e le regole della musica filtrate dalla mente, a “hand”, il calore umano del gesto tecnico che interpreta reagendo in modo impulsivo e passionale. E’ sia un’unione che una dicotomia, poiché a volte può essere difficile armonizzare i due aspetti.
Trip hop, nu jazz, ambient, un pizzico di house e moltissimo calore R’n’b. Oltre agli anni ’90 e forse a nomi più oscuri come i dimenticati Hood, qual è la musica a cui guardate con maggiore affetto e passione?
Personalmente affondo le mie radici e la mia formazione nel jazz e amo tutto ciò che è imbevuto di musica black, a partire dal blues e lo swing, passando dall’R&B e il neo-soul arrivando fino a una certa deriva dell’hip-hop contemporaneo. Leonard, anche se proviene dal mondo della musica classica, esplora continuamente il mondo dell’electronica e affini, mentre Vieri è un fan del pop ricercato, cerca sempre le piccole perle armoniche e timbriche delle produzioni contemporanee
Per quanto riguarda il discorso dell’ “obiettivo finale” di cui parlavo prima, per me artisti completamente diversi come James Blake, Joni Mitchell, Kendrick Lamar, Laura Mvula, Thundercat, Hiatus Kaiyote hanno tutti in comune questo connubio tra profondità artistica assoluta e semplicità del prodotto finale.
In Oroboro, uno dei brani a mio avviso più belli del vostro EP, c’è spazio anche per l’atmosfera delle colonne sonore anni ottanta, ma in un modo filtratissimo, ovvero senza che il riferimento si mangi tutto. È un elemento presente, e soprattutto è così che lavorate, dissimulando le fonti e rendendole vostre?
Il riferimento in questo caso è la serie TV Black Mirror, sulla quale siamo fissati tutti e tre da tempo. C’era un’analogia tra una puntata e l’immaginario di Oroboro, che sarebbe il serpente che si morde la coda, simbolo della ciclicità del tempo. Cerchiamo sempre di fare in modo che la fonte diventi qualcos’altro, filtrato dalle nostre caratteristiche; ad esempio quando rivisitiamo una cover, cerchiamo sempre di stravolgerla fino al punto che potrebbe essere scambiata per un pezzo nostro.
Eppure c’è spazio anche per il folk, non tanto per le sonorità, ma soprattutto per il modo in cui sono stati scritti i pezzi.
Sono cresciuto in una casa dove risuonavano continuamente CSNY, James Taylor, Joni Mitchell e c’erano le chitarre folk di mio padre ovunque. Per forza di cose sono legato indissolubilmente ad un certo tipo di sensibilità west-coast tutta acustica e vocale.
I fiati alla fine di Arles sono bellissimi. Di chi sono e come li avete registrati
Abbiamo pensato che alla fine di un pezzo statico e glaciale come Arles il calore degli ottoni potesse sciogliere la tensione.
L’ho scritto per cinque voci ma abbiamo avuto la fortuna di lavorare con un produttore che è anche one-man-band e suona benissimo tromba e flicorno. Per le parti di trombone e tuba ci ha dato una mano il suo altrettanto eclettico fratello Francesco Cangi.
Pop americano o inglese?
Entrambi! Paul McCartney e Thom Yorke allo stesso tavolo con Brian Wilson e Bon Iver…
Come portate dal vivo questa complessità sonora, so che vi fate affiancare da una solidissima sezione ritmica?
Abbiamo l’onore di avere con noi una punta di diamante tra le sezioni ritmiche del circuito underground: Alessandro Cianferoni al basso e Marco Calì alla batteria, che hanno rodato un’alchimia straordinaria anche grazie alla comune militanza nel supergruppo di modern jazz Ismael Circus. Suonare con loro è come avere un tappeto magico sotto ai piedi!
Vieri Cervelli Montel è attivo anche nei Marasma, un progetto decisamente diverso anche se vi sono forse alcuni punti di contatto. Come dialogano i due progetti, se dialogano?
Nei Marasma Vieri è il leader e scrive i pezzi da anni, volevo assolutamente averlo nel gruppo perché non solo è un amico storico, ma perché condividiamo la stessa estetica musicale e ho una fiducia cieca in lui. Non sono mai sicuro e orgoglioso di un pezzo finché non ho l’approvazione di lui e Leonard.
Parallelamente alla nascita di ⁄handlogic i Marasma hanno compiuto una svolta elettronica rispetto alle origini alternative rock: possiamo dire che nonostante i progetti siano molto distanti essi imparano l’uno dall’esperienza dell’altro.
Come vi trovate nel contesto dell’animatissima “scena” fiorentina, che non è tale, perché fortunatamente eterogenea, spesso è un po’ cazzona seppur vitale e creativa? Se posso dirlo senza il rischio di offendere qualcuno, c’è qualcosa di assolutamente nuovo in quello che fate, soprattutto da queste parti, dove l’equilibrio tra sonorità più curate e sperimentazione è difficilissimo, perché o si pende troppo da una parte oppure troppo dall’altra con il rischio di una perdita fortissima di identità. Non è il vostro caso.
Grazie! Dato che usciamo live per la prima volta in occasione del Rock Contest dobbiamo ancora trovare un posto preciso nella scena underground fiorentina. È un contesto che, negli ultimi anni, ci ha stimolato per il suo continuo rimescolamento di generi e persone; di questo possiamo considerarci figli, almeno in parte. Speriamo di riuscire in qualche modo a rendere ciò che abbiamo ricevuto!
Il lavoro con Samuele Cangi, figura a quanto pare imprescindibile per le nuove produzioni toscane e quello con Tommy Bianchi come è stato? Hanno influenzato molto il vostro suono o vi hanno lasciato totale libertà?
Lavorare con Samu è stato come sempre un processo entusiasmante e ricco di spunti. La collaborazione è stata resa ancora più stimolante dal fatto che il suono che avevamo in mente era qualcosa di abbastanza diverso dalle produzioni che aveva fatto fino a quel momento, e ha rappresentato una bella sfida per entrambi. Speriamo sia riuscita!
Per il master ci ha mandato senza esitare da Tommy, che rappresenta un punto di riferimento a livello nazionale per quanto riguarda il mondo del mastering.
È appena uscito un video prodotto e realizzato da Factory Prd. Ci raccontate il lavoro con loro, come vi siete interfacciati e come avete gestito l’idea del video?
Siamo arrivati a The Factory Prd. tramite Toscana100band, ed è stato amore a prima vista. Arles parla di tre compagni di viaggio in perenne attesa che arrivi qualcosa che renda il momento degno di essere vissuto, ma se lo lasciano sfuggire giorno dopo giorno. Stefano Poggioni (il regista) è riuscito magistralmente a rendere visivamente questa sensazione e a dipingere l’atmosfera sonora del pezzo: quando abbiamo visto il finale con i fiati siamo impazziti!
L’esperienza è stata quasi mistica perché per fare le riprese abbiamo fatto una full immersion di due giorni girando (soprattutto di notte e all’alba) in un podere sperduto immerso nella nebbia della campagna senese. In quel momento con troupe e attori siamo diventati una grande famiglia, condividendo la volontà di creare qualcosa di bello.
Se decidiamo di fare un altro video, non abbiamo dubbi su chi chiamare.
Siete tra i vincitori di Toscana 100Band. Un’ottima opportunità per voi e per altre formazioni offerta da Regione Toscana per valorizzare e concretizzare il vostro percorso artistico. Come è stata quell’esperienza?
Molto semplicemente senza quest’opportunità avremmo avuto grandi difficoltà nel fare disco, master e video… Per questo motivo siamo enormemente grati a Regione Toscana per aver deciso di investire nei progetti artistici emergenti del territorio.
E il Rock Contest? Cosa vi convince di questa storica manifestazione?
Nell’edizione 2011 partecipai con il mio primo gruppo, facevamo una sorta di Progressive-Art rock (le cose sono decisamente cambiate), e andò abbastanza bene, finimmo in finale ed ebbi modo di conoscere l’ambiente di Controradio e quell’atmosfera stimolante che solo un concorso di questo livello riesce a dare. Adesso l’eliminatoria coincide con la nostra prima uscita come ⁄handlogic e quindi non vediamo l’ora di vedere come reagirà il pubblico e la giuria alla nostra proposta.
Progetti per il futuro?
E’ in uscita l’EP “⁄handlogic” il 6 Dicembre. Da lì in poi inizieremo a fare il più possibile concerti per far girare la musica, parallelamente alla creazione continua di nuovi pezzi.