Appropriarsi di un nome di una divinità così particolare come San La Muerte, protettore argentino di chi corre sul filo del rasoio tra vita e morte, è una responsabilità enorme. Ma Leo Pari e Renzo Fiaschetti, companeros dai mille volti, se ne fregano e danno fuoco al loro blues senza sentirsi in dovere di ricalcare le influenze mariachi in stile Icky Thump degli ormai disciolti White Stripes. Siamo molto più vicini alle atmosfere seventies degli Eagles e ai tributi non velati di Tom Petty & the Heartbreakers, senza poter abbandonare le proprie radici italiane. E’ così che Viva San La Muerte pare una celebrazione religiosa di Bennato di fronte a fedeli dal volto scheletrico (e il paragone con il cantautore partenopeo non finisce, se consideriamo Mr. Even come uno dei tanti dotti, medici e sapienti). Parlando di blues non può mancare il riferimento anche a Battisti, celebrato in Infinite Sunshine, una variante di Louie Louie che potrebbe essere una b-side aggiornata di Dio mio no del Lucio nazionale. Gli episodi migliori sono The Donor, desertica e texana che trasmuta in un miraggio psichedelico vero e proprio, e Domani Smetto, garage blues che parafrasa in modo originale gli argomenti dell’omonima hit degli Articolo 31. Male nelle prediche apocalittiche di Ghost and Machines e Roman Blues, dai temi troppo impegnativi per una scrittura così fragile. In compenso, senza troppi impegni, San La Muerte rimane uno dei classici e onesti dischi da entertainment, di quelli che “si, carino, ma il live è tutta un’altra cosa”. Anche senza avervi partecipato, per studio sul campo consiglio più l’esibizione in carne e ossa rispetto al disco.