Torna una vecchia conoscenza di indie-eye, ovvero David Brewis con il suo progetto parallelo rispetto all’attività musicale che condivide con il fratello Peter, i noti Field Music. School of Language nasce nel 2008 subito dopo lo scioglimento temporaneo della band in seguito all’uscita di Tones of Town, album che sancisce lo status di culto dei Field Music come una delle band più interessanti del panorama pop albionico, ma che in quel momento preciso non restituisce ai fratelli Brewis i risultati che speravano sul piano della diffusione, anche perchè i tempi della nomination al Mercury Prize (Plumb, nel 2012) erano ancora lontani.
Nascono quindi due progetti paralleli allo scopo di ripensare e arricchire in modo più libero la scrittura del progetto Field Music, quello di David chiamato appunto School of Language, e poco dopo quello di Peter, dietro il moniker The Week that was; due album in un certo senso complementari, per la ricerca sui suoni e l’eredità della cultura musicale Inglese pop fine ’70 e primi anni ’80, declinata secondo due prospettive diverse; molto più elettronica quella di Peter, più rock e funk quella di David.
“Sea From Shore“, prima uscita come School of Language per Thrill Jockey, propone un rock sintetico ma allo stesso tempo di matrice chitarristica, come dimostra il podcast audio prodotto da indie-eye insieme a Brewis; le influenze che Brewis dichiarava (leggi l’intervista pubblicata su indie-eye) erano quelle di Brian Eno, di Robert Fripp chitarrista nei dischi di altri, Roxy Music e David Bowie; frammenti di storia nazionale riscritti attraverso una lente di ricerca molto più ricca, che rendeva meno convenzionali certe forme ormai logore del britpop post anni novanta, sfiorando anche alcune intuizioni del Jim O’Rourke tra pop e sperimentazione. Pur rimanendo chiare le influenze Field Music e quelle trasversali Futureheads / Maximo Park, con cui i fratelli Brewis avevano condiviso una serie di esperienze, il primo capitolo School of Language si presentava come un oggetto potente, comunicativo, attraversato da un groove inesorabile e figlio di certe produzioni ibride anni ’80 (Exposure di Fripp, il primo Gabriel solista, Daryl Hall prodotto da Fripp, il Bowie di Lodger…).
A sei anni di distanza David Brewis torna quindi con il secondo capitolo del suo progetto solista registrato sempre in quel di Sunderland nello studio dei Field Music regalandoci dieci gemme di pop elettronico più contratte, minimali e oscure rispetto all’esordio su Thrill Jockey. Old Fears, che uscirà per Memphis Industries il 7 aprile 2014, sembra composto dietro l’influenza invisibile del Brian Eno produttore nell’arco degli anni ottanta, con i synth a farla da padroni e le parti di chitarra che duellano con la sezione ritmica in forma minimale e robotica. Non viene meno il groove di derivazione funk, ma il suono è quello algido e tagliente della trilogia berlinese di Bowie.
In mezzo a questo “mood”, anche le trame chitarristiche stratificate tipiche di Brewis in tutti i suoi progetti, vengono semplificate ma mai in una direzione banale, perchè mentre brani come Distance Between, A smile Cracks, Between the suburbs, provengono tutte dalla stessa matrice, dove un groove scarnificato orienta il risultato, emergono anche aperture come Dress Up, dove il rapporto synth e chitarre si inverte totalmente, oppure brani come Moment of Doubt e la splendida Small Words, dove chitarra e sezione ritmica sembrano reinventare le intuizioni del miglior Tom Verlaine solista e quelle dell’Eno di Before and after science alla luce di un’anima funky retro-futurista e sotterranea.
Old fears quindi non ci dice necessariamente qualcosa di nuovo di quello che già sapevamo del songwriting di David Brewis, ma conferma il talento di un musicista colto, che affronta il pop nel modo più creativo possibile, tra efficacia, storia e visione.