Dopo essersi dedicata alle suggestioni post rock con il progetto Bikini The Cat, la musicista e artista di origini iraniane e stanziata a Verona Leila Gharib fonda nel lontano 2008 un gruppo di performing arts insieme a Sonia Brunelli. Barokthegreat è ancora attivo nel cercare l’intersezione tra gesto, coreografia e suono, attraverso alcune strategie della musica elettronica dove la ripetizione esprime estraneità e vicinanza, distacco e familiarità. Sequoyah Tiger nasce da queste premesse e riconduce le qualità astratte del progetto condiviso con la Brunelli nella cornice della scrittura.
Sequoyah Tiger: Hey Paul Anka (2016: Dir, Leila Gharib)
La ricerca è quella sulla voce, sul tempo, sul ritmo, dimensioni che non possono tralasciare una riflessione sull’immagine, parte integrante del progetto. I videoclip di Sequoyah Tiger sono realizzati dalla stessa Gharib e percorrono un tracciato non dissimile a quello della mutazione vocale, per come influisce sulla forma canzone. L’immagine digitale è qui presente come processo di assorbimento, nell’interdipendenza tra due medium, uno più recente l’altro più antico, per come viene descritta da David Bolter e Richard Grusin. Interferenze, elettrostatica, disturbi, estetica glitch passano attraverso la transcodifica successiva delle immagini. Gli artefatti introdotti dalle copie successive, da VHS a VHS, elaboravano nei video precedenti un’idea di entropia dell’immagine che nell’evidenziare la fantasmaticità e l’immaterialità tipica del digitale, in realtà si comprometteva con la prassi manuale della duplicazione, creando un mondo di mezzo tra la reverie di un modo di vedere imprigionato nella memoria di un formato dismesso dalle regole di mercato e le nuove possibilità di codifica di quel linguaggio (non solo tecnico) offerte dai mezzi digitali.
Sequoyah Tiger: Five Chants (2016 – Dir: Leila Gharib)
Il primo estratto dall’album d’esordio intitolato Parabolabandit, previsto per il prossimo 27 ottobre sulla storica Morr Music e distribuito in Italia da Promorama, si intitola “Cassius” e conferma quanto nelle manipolazioni della Gharib sia ancora importante la conservazione di una qualità aptica.
La “generation loss” analogica viene riprodotta su tessuto, per far entrare in campo la luminanza come grandezza fotometrica, nell’atto performativo più spettrale possibile, quello della proiezione. Allo stesso tempo, il tessuto è per la Gharib materia e materiale che si tocca, capace di dare una direzione vitale al movimento, tanto da mettersi in scena come reporter, ulteriore dimensione narrativa dello spazio occupato dal songwriting.
Sequoyah Tiger: Cassius (2017 – Dir: Leila Gharib)