Ha del talento Fabrizio Cammarata e l’ha dimostrato senza possibilità di fraintendimento nei suoi dischi con i Second Grace, nei quali creava un ponte immaginario tra mondi diversi, fossero essi l’Inghilterra del nume tutelare originario Nick Drake, l’Africa di Antananarive, l’America (esplorata dal punto di vista sonoro soprattutto in Rooms grazie al lavoro con JD Foster) e naturalmente la Sicilia e in particolare Palermo, la sua città di origine, omaggiata ad esempio con la bellissima Mount Pellegrino nel già citato Rooms.
In questa sua nuova avventura Fabrizio si fa accompagnare da Paolo Fuschi, chitarrista palermitano trapiantato da alcuni anni a Manchester, e anche in questa occasione dimostra la sua bravura, innanzitutto come songwriter e poi anche come cantante, muovendosi questa volta con decisione in direzione Stati Uniti.
È un rock solare quello di Cammarata e Fuschi, che fa venire in mente le spiagge della California o lunghi viaggi su highway assolate, grazie a una scrittura che è essenzialmente pop e ad arrangiamenti leggeri ma ricercati, dall’iniziale My Salvation, dove un organo vagamente dylaniano fa da sfondo a un brano sinuoso giocato sull’interplay tra la chitarra funkeggiante di Fuschi e il piano, fino alla conclusiva Radio, dalle atmosfere più notturne ma non per questo oscure, con un songwriting che va a pescare nella classicità di un Jackson Browne.
Anche ciò che sta nel mezzo è di ottima fattura, con forse qualche battuta a vuoto quando ci si avvicina pericolosamente ai suoni eccessivamente pacificati di Jack Johnson (War Will Soon Be Over), ma anche e soprattutto picchi di scrittura e musica veramente notevoli, come ad esempio Shine, pezzo molto dinamico con un approccio obliquo all’americana che già fu dei Counting Crows, o Can’t You See Me, bluesone molto ritmato dove si sente l’influenza di Ben Harper.
Il nostro augurio per Fabrizio e Paolo è che qualche radio americana si accorga di loro e che possano riscuotere il meritato successo oltreoceano, perché per quanto riguarda l’Italia credo proprio che possa valere il famoso detto “Nemo propheta in patria”, troppo lontana la loro proposta dai gusti medi sia dei rocker più o meno mainstream sia della confraternita indie.