È vero che ogni tuo brano è concepito come un racconto?
Esatto. Quando scrivo i testi li visualizzo come un racconto, o altre volte come un cortometraggio. Sia quando penso a un brano sia quando lo interpreto dal vivo ne ho in mente l’immagine, ma chiedo spesso anche ad altre persone, chi suona con me ad esempio, quali immagini associno alla mia musica. Mi piace che siano immagini sempre diverse.
Come vivi lo stereotipo che circonda l’idea di una musica “tipicamente” islandese?
Spetta alle altre persone giudicare. Se per loro certa musica suona “islandese”, per me va bene, ma a parte il fatto che veniamo tutti dallo stesso paese non saprei. Direi piuttosto che in genere si cerca sempre di non emulare il suono dei colleghi. Chi può dirlo, probabilmente avrei fatto lo stesso album vivendo a Parigi. La musica esce dal cuore e può subire l’influenza di un viaggio… a Berlino, per dire. La scena musicale islandese è straordinaria e mi sento fortunata a farne parte. È una scena molto piccola, ci conosciamo tutti e ci aiutiamo a vicenda. È come una piccola famiglia. C’è una competizione sana fra gli artisti, cerchiamo sempre di condividere le esperienze all’estero, ad esempio, quando decidiamo di andare in tour e suonare insieme. Non preferirei vivere da nessun’altra parte, è uno splendido posto in cui vivere, a parte il fatto che è un’isola e che tocca volare per raggiungere ogni altro paese, ovviamente.
Si legge che a conseguenza della crisi finanziaria che ha travolto l’Islanda qualche anno fa molte persone si siano reinventante con mestieri creativi, intraprendendo attività di vario tipo, come musica, moda etc. Come hai reagito a quel momento?
Quando è accaduto mi trovavo in tour. Sicuramente il grande crollo finanziario ha inciso su tutti: prima giravamo con dei grandi tour bus, ora viaggiamo con dei mezzi molto più modesti, per dirne una. La scena musicale islandese ne ha risentito: tutto è più dispendioso, specie organizzare un tour. Nelle recenti elezioni sono state rivotate le stesse persone che hanno mandato il paese in rovina, beh, io di certo non le ho votate. Gli islandesi sono piuttosto inclini a perdonare. Ad ogni modo è vero, avendo perso il loro lavoro, molte persone si sono reinventate con dei lavori creativi.
Poco tempo fa Grimes ha pubblicato uno statement sul sessismo nell’industria musicale, causando reazioni a catena e varie dimostrazioni di supporto da parte di molti colleghi. Sul tuo Facebook hai scritto che mentre leggevi le sue dichiarazioni era come leggere nel tuo pensiero.
Concordo con lei pienamente. Appoggio ogni cosa che ha scritto. È veramente raro che la gente parli di queste cose, perché ormai si dà per scontato che siano superate, quando non lo sono affatto. Fortunatamente non mi capita spesso di sopportare situazioni di palese disparità di genere, ma capita. L’Islanda è un ottimo paese per quanto riguarda le pari opportunità, ma ti garantisco che a volte vengo invitata a fare qualcosa solo perché sono una donna: “Oh, ci serve di mettere una donna qui, chiamiamo Sóley”. È importantissimo che Grimes abbia aperto la conversazione e spiegato i problemi che incontra. Se nessuno dice niente, nessuno sa.