sabato, Dicembre 28, 2024

Sotto il cielo di Fred – Tributo a Fred Buscaglione: la recensione

Quando in testa ad una raccolta come questa, la voce strascicata e incerta di Dario Brunori rilegge Nel cielo dei bars senza cambiarne apparentemente il mood originale, ma pensando probabilmente più a Umberto Bindi e a quel tocco di Brasile che attraversava alcune composizioni del cantautore di Bogliasco, si ha l’esatta misura di quanto la forma migliore dell’omaggio sia in realtà quella del tradimento. E di tradimento tratta Sotto il cielo di Fred, tributo a Fred Buscaglione nato in seno al “premio Buscaglione” organizzato a cadenza biennale e che in questa raccolta mette insieme i vincitori della kermesse e altri artisti tra quelli più in vista nella canzone Italiana degli ultimi dieci anni, tutti allevati nel difficile contesto della musica indipendente del nostro paese.

Le differenze si sentono e a farne le spese sono proprio le band del premio, allineate sulle soluzioni più convenzionali, dal folk strapaesano di Eugenio in Via di Gioia (Buonasera signorina) al tex-mex degli Etruschi from Lakota (Porfirio villarosa) passando per il folk rock davvero anonimo dei Venus in Furs (Voglio scoprir l’America).

Se si esclude l’ennesima prova vergognosa de Lo stato sociale, davvero uno dei bluff peggiori degli ultimi vent’anni, qui intenti a massacrare Teresa non sparare con il loro tiepido nonsense, tutti gli altri ospiti riservano interessanti sorprese. Su tutte, la versione di Love in portofino affidata a Paolo Benvegnù è una vera e propria riscrittura che avvicina il brano all’elettronica fredda e dolente di John Grant, intuizione interessante che conduce il testo di Leo Chiosso fuori dal contesto in cui venne scritto insieme a Buscaglione, come sguardo rivolto alla vita mondana della località ligure, nuovo scenario per l’ex duro che a partire dal 59 avrebbe abbandonato il repertorio delle canzoni criminali.

Benvegnù sradica il pezzo dall’ambiente balneare e ne evidenzia lo spleen malinconico, raccontando il simulacro di un sentimento più che la sua ricerca. Meno folgorante la versione di Eri Piccola Così interpretata da Bugo, ma altrettanto stimolante nel mantenersi entro i confini a bassa definizione del suo repertorio, avvicinandosi quasi al Vasco Rossi degli esordi, sghembo e con l’alcool nelle vene. Bella anche l’elettronica dolce di Niccolò Carnesi che con Mi sei rimasta negli occhi aderisce alla malinconia del brano originale con un’immagine sonora ben radicata negli anni ottanta, mentre i Perturbazione con Una sigaretta ci consegnano l’episodio più convincente insieme a quello di Benvegnù, con una ballad che sposta il Jazz dell’originale sullo sfondo, trasformandolo in una saudade fadista.

Più convenzionale la versione di Noi duri rielaborata dal Pan del diavolo, dove l’elettricità rock-blues con alcune lievi venature surf sostituisce l’incedere dell’originale senza cambiare troppo le carte in tavola. L’hip hop declinato in versione anni trenta dai The Sweet life Society adotta soluzioni interessanti per l’interpretazione di Juke Box retrodatandosi dalle parti di Natalino Otto con quel gusto un po’ banalotto per i campionamenti, che in ogni caso funziona. L’approccio depressivo di Dente l’abbiamo lasciato in fondo, semplicemente perché facendo fede al suo repertorio, non si allontana di troppo da una revisione cartolinesca di Guarda che Luna, consegnandoci uno degli episodi meno convincenti di tutta la raccolta, preferendo lambire invece che tradire.

Piero Certini
Piero Certini
Piero Certini si è laureato in letteratura anglo-americana con una tesi su Raymond Carver. Ama tutta la musica pop e crede che tra questa e un romanzo non ci siano grandi differenze.

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