Se nelle nostre ore, giorni, mesi, premesse l’esigenza di un ascolto garbato e scevro di qualsivoglia classificazione, questa andrebbe sedata con la musica di Steve Mackay. Sometimes Like This I Talk è il quarto frutto dell’inesauribile furia creativa di Steve Mackay, saxman in diversi progetti, dal più che noto con The Stooges, a quelli con i Violent Femmes, Commander Cody, Snakefinger, Radon Ensamble (peraltro casa discografica che gli propose la realizzazione del primo disco solista e tra i partecipanti a quest’ultimo lavoro) giungendo alla collaborazione jazz-core con gli Zu. Porto, San Francisco, Dublino sono solo alcuni dei cinque differenti paesi che hanno ospitato la registrazione dell’album che oltre ad un ordito lavoro di ingegnerizzazione e missaggio, annovera la collaborazione di circa trenta persone tra le quali i musicisti Kamilsky (chitarra e uno dei produttori del disco) e Mike Watt (basso). Sometimes Like This I Talk è un disco dalla rigorosa estetica matematica; la presenza di Mackay si accresce a partire dalla title track fino a mutare in un concertino a nove nella quinta traccia, Song For Baghadad. Quest’ultima è una canzone dal suono caldo e pieno reso tale grazie alla sovrapposizione di più tonalità di sax e del contributo armonico della tuba e della tromba. Le tredici tracce che compongono l’album danno sfoggio di una ricchezza sonora, nonché versatilità, inusuali; palpeggiando abilmente le chiavi del sax Mackay riesce a creare svariate atmosfere come l’eccentrica divagazione dal sapore Baton Rouge di Expatriate, la sterzata wave e rugosa di Kristallnacht o l’avvolgimento introspettivo di The Prisoner la cui malinconia viene alleggerita dal suono mediterraneo del bouzouki. A circa quattro anni di distanza dall’uscita dell’ultimo disco solista, Tunnel Dinner, Mackay conferma la propria bravura nel calpestare un genere musicale con passo sempre nuovo, colmo di bravura e sperimentazione.
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