lunedì, Dicembre 23, 2024

Stone Temple Pilots – Stone Temple Pilots (Atlantic records- 2010)

Furono da subito accostati alla scena grunge, quando, nel 1992, uscì il loro primo album, Core,certo graffiante e spesso oscuro, ma non c’erano i boschi dello stato di Washington a fare l’ombra dal sole di San Diego, e allora una vena più disinibita, più pacchiana e se proprio vogliamo, commerciale, l’avevano sempre avuta. Adesso che i fatidici STP sono persone con il peso degli anni sulle spalle e sembrano più Bon Jovi che gli sgarrupati protagonisti del periodo d’oro di Seattle, tutti gridano alla fine, alla svendita, alcuni alla blasfemia. Eppure, il loro quattro volte disco di platino in America (ovvero 4 milioni e mezzo di copie vendute) Purple, la direzione l’aveva indicata in modo molto preciso: solo le chitarre full overdrive di Dean De Leo avevano impedito di definire il gruppo come padre spirituale della nuova revisione FM del College Rock, prima che gente (o meglio fanciulli) come The Calling o Good Charlotte trovasse posto fisso nell’heavy rotation di MTV. Bene. Porrò questo assunto per vero, del resto ci credo. Ma c’è una cosa che il gruppo veramente commerciale, veramente venduto, non ha, anzi per la verità son due; resistere, perchè incredibile ma vero, le pellichiane prigioni di Weiland, mai redento dalla dipendenza da eroina e cocaina, la scazzottate tra i fratelli De Leo, e il povero Kretz che arrancava tra i suoi mille progetti paralleli, tutti andati male, non hanno impedito ai nostri di avere da vent’anni la stessa formazione che produce la stessa fottuta merda;  essere veramente Rock, e qui ci vuole un paragrafo. Stone Temple Pilots (nel senso dell’omonimo album) è una release che potevano fare i Kiss, gli AC/DC, Jagger e colleghi, Elvis. Insomma solo quelli fichi per davvero, quelli che cantano di sesso, droga e rock’n’roll e lo fanno anche nella vita reale, cristo! Frasi “innovative” come “I sleep all day”, “Baby, I Want to ecc.”, aplicate su quei riff… non venitemi a parlare di poesia, ma nemmeno di bugia. Signori io ci credo. Se equivocate la musica per matematica, dove tutto deve tornare a posto e tutto ha un senso, non state nemmeno a scaricarvi una traccia illegalmente. Per quelli vogliono sentire sonorità nuove, arrangiamenti stilisticamente chic e voci carezzevoli, il consiglio continua ad essere quello di lasciar perdere. Questo disco è per chi mima il chitarrista muovendo solo le mani e scuotendo il capo, per chi chiama le ragazze “pupa”, per chi va in giro con gli stivali a punta, per chi vuole che a un concerto il cantante si butti sulla folla a torso nudo, per chi pensa che l’ indie sia la musica tradizionale indiana. Insomma, da duri.

Michele Baldini
Michele Baldini
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