Non sono ancora le sei di sera e un già un lungo serpentone di boys and girls, ad occhio e croce sotto i diciotto, intasa le porte della Leeds Metropolitan University. “I’ve been waiting for this damn gig since forever”, mi dice una fanciulla zuppa di pioggia dall’alto delle sue zeppe color banana. Il cicaleccio è fitto e indistinto, il fermento a dir poco contagioso. Questa sera tutti preferiscono chiamarsi “bitch”, o, alla meglio “nigga”. Miss Azealia Banks, nonostante l’inarrestabile ascesa a star internazionale, è a tutti gli effetti peer assoluta, il cui vocabolario è di gran lunga interiorizzato dal pubblico. Si chiamano Kunts e 212 è il loro inno. Qualcuno ha già rovistato online nel merchandise ufficiale e indossa una una t-shirt rosa con la C-word in bella vista, qualcuno invece, azzarda t-shirt con il capoccione multicolor di Nicki Minaj, che i media e i Kunts vogliono nemica di miss Banks. “Nickj ain’t shit. I mean, I have her shirt on but I’m here for Azealia”, mi dice un pargolo in occhiali da sole; c’è una spiegazione a tutto, dunque: le lotte in rima tra mc’s, in gergo “diss”, nascono e crescono nella fanbase. Peccato che Azealia di confronti e battaglie non abbia granché bisogno. Nativa di Harlem, NY, la sua storia, iniziata a diciassette anni con un profilo myspace, scombussolata da spostamenti, mancanza di soldi, contratti con la XL non andati a buon fine e poi esplosa in un mare di riconoscimenti (la scoperta da parte della BBC fino al contratto con Interscope e alle “fuitine” alle Hawaii con Kanye West) sembra il cliché dell’ascesa di una piccola, fortunata star, eppure c’è molto di anticonvenzionale nell’estetica di Azealia. Non è certo merito del solo vocabolario a dir poco sfacciato che ha reso 212 una delle hit più irriverenti di sempre e a seguire i brani dell’ottimo EP 1991: persino delle genericissime TLC lamentavano la mancanza di un uomo che si occupasse dei loro “both sets of lips”. Le carte di Azealia, a prima vista, non sembrano discostarsi dal vecchio immaginario. In un testo capitale della cultura rap & hip hop uscito nei primi anni Novanta (Black Noise, 1994) Tricia Rose individuava i punti focali dell’estetica rap “al femminile”: corteggiamento eterosessuale, messa in evidenza della voce della rapper, maestria nell’mc-ing e sfrontatezza nel mostrare la propria libertà sessuale. Aggiungasi a ciò il mito della donna attaccata al soldo (o “skeezer”) e la violenza verbale della “gangsta bitch”. Tutti modelli confermati dai testi della piccolina di Harlem, orgogliosa “rude bitch” dalla nascita, dai tempi dei pannolini (“from the Pampers”, 212), ci tiene a specificare. Quel quid in più, da intendersi non necessariamente in termini di spessore, ma di bonus interpretativo, è la capacità di Azealia di ribaltare i giochi e i ruoli senza curarsi (o sarebbe più appropriato dire “fottendosi”) di alcuni stilemi della cultura hip hop, che, lo dice sempre, le calza a pennello, ma è una continua sfida in termini di rinnovamento e ripensamenti. “From now on I’m a vocalist, and will not be associating myself with the “rap game”… or whatever the fuck that means…”, postò quest’estate su Tumblr in un momento di sconforto. Il fattore in più, e lo show di stasera non fa che confermarmelo, è quello che decido di nominare “queering factor”, un eccesso godereccio e ampiamente performativo (la nostra esce da LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts) che fa sentire tutti noi a nostro agio e assieme fuori luogo. Se il rap classico di Queen Latifah e Salt-N-Pepa era percepito dal maschio tipico come il solito “complaint” da donne, Azealia sembra non trovare una scusa al mondo per cui valga la pena mettere da parte il suo tipico ghigno malizioso.
Uomini ad uso e consumo (“You know I’m looking for these niggas if these niggas is rich”, Liquorice), tutti impreparati o potenzialmente gay di fronte alle esigenze irrefrenabili di Azealia personaggio; persino le loro ragazze cadono ai suoi piedi e tutto ciò viene biologicamente spiegato (“Now she wanna lick my plum in the evening/and fit that ton-tongue deep in”, 212). Sexual politics di superdonnismo estremo, ma soprattutto ironiche e perciò imprevedibili. L’aspetto combattivo è ridotto all’osso (“Y’all niggas stay hating/Y’all niggas don’t want no drama/Y’all niggas don’t want no problems”, Nathan), e la moda, newyorchese e parisienne, sembra più che un accessorio, un credo e un imperativo. Ma per qualche motivo, in bilico com’è al momento tra il mainstream e la club culture, Azealia sembra più… sirenetta fuor d’acqua in casa Karl Lagerfeld che in questa serata underground tra matricole e street dancers. Dopo un estenuante set di Zebra Katz e Njena Reddd Foxxx (davvero pretenzioso portare la già monotona Ima Read a oltre 15 minuti) miss Banks e il suo dj compaiono sul palco sulle note di Out of Space dei Prodigy e inizia un set di un’ora e mezza, in cui alla manciata di brani stranoti si alternano i pezzi del mixtape Fantasea, considerato un vero e proprio disco dai fan, in attesa del posticipato debutto su Interscope Broke With Expensive Taste. Azealia indossa un top a dir poco minimale con luci intermittenti, la chioma verdognola pare infinita. Ci regala subito qualche smorfia ed è Van Vogue. Sul maxischermo luci accecanti e i video finora pubblicati. I beats sono corposi e malati, un buon 70% del lavoro è tutto loro. Non è un caso che miss Banks abbia finora lavorato con autentici esperti in materia, da Diplo a Nick Hook e Machinedrum. Consciamente indebitata con la cultura dei ball anni 80 della New York nera e drag (quella dell’intramontabile, con buona pace di bell hooks, documentario Paris Is Burning), Azealia rispolvera il voguing e grazie ai due ballerini, trasforma il palco in un contest di piroette e colpi precisi e sensuali. Ci annuncia 1991 come la sua canzone preferita e quasi si incazza perché le bitches in prima fila non la capiscono quando le incita a imitare le mosse del video. Divismo bislacco, non c’è che dire. Ma subito dopo basta pronunciare la parola “dick” e la nostra prende a mimare un gigantesco, aristofanesco fallo attorno al pube. Lo stilema ritorna più tardi: Azealia cambia d’abito, ma non intende perdere il “vizio”. Straordinaria rapper, vacilla nei ghirigori più cantati, specie nel sensuale inno a NY Luxury. Esta Noche, prossimo singolo slittato per contese di diritti con il producer Munchi, sbanca l’affetto del pubblico. Blaterando di rimorchi vari (“Drink in my hand, hand on my chip/A vamp bitch do it like this”) sulle note di un blando sample RnB Azealia ti piazza a sorpresa i beat più assordanti e coatti di sempre e noi tutti, grandi e piccini, fingiamo per un attimo di essere a un rave. In coda miss Liquorice finge di andarsene senza averci fatto 212, ma è un attimo prima che accada il putiferio. Mi ritrovo rimbalzato in prima fila, sentire la voce di Azealia è impossibile: un’università in sold out non aspettava altro che urlarlo: “I’ma ruin you cunt”. Che il mainstream non ce la porti via del tutto.
“The Banks Factor: Azealia Banks live @ Leeds Metropolitan University, Leeds, 3 Ottobre 2012”
Azealia Banks, il canale youtube ufficiale [/box]