C’era una volta – agli inizi degli anni 00, in pieno revival mainstream garage rock – un gruppo di giovincelli neozelandesi chiamati Datsuns (con il prefisso The come andava di moda in quegli anni) che mosse alla conquista della Gran Bretagna, forte delle entusiastiche recensioni della lunatica stampa locale, capace di creare rockstars da un giorno all’altro per poi distruggerle con altrettanta rapidità. Il primo album omonimo fece il botto: sold out uno dopo l’altro, heavy rotation su MTV, visibilità sui giornali, ecc.. I dischi successivi si assestarono su livelli qualitativi da senza infamia e senza lode, i ragazzi se ne tornarono in Nuova Zelanda, la major di turno rescisse il contratto (la V2), profilo basso e così via. Insomma, una storia rock’n’roll come tante. Oggi i nostri ci riprovano facendo uscire il loro quinto album Death Rattle Boogie sulla loro etichetta personale, la Hellsquad. La formula è sempre la stessa, ovvero hard rock muscolare parecchio Seventies (AC/DC, Led Zeppelin) condito qua e là con sabbathismi (Axethrower), con un po’ di rock’n’roll (la trascinante Goodbye Ghosts) e con un po’ di sporcizia garage (Gods Are Bored, primo singolo e miglior brano del lotto insieme alla successiva Gold Halo, potente, veloce e col riffone spaccamontagna). Band onesta quella capitanata dal bassista e cantante Dolf De Borst: bisogna dare loro atto, infatti, di non aver mai snaturato il loro sound. Dieci anni fa suonavano così, adesso suonano ancora così. E badate bene che per gruppi del genere questo non rappresenta affatto un biasimo: il problema è che, ora come allora, The Datsuns sono un gruppo di seconda fascia, parecchio inferiori ai numeri uno del genere, ovvero i vari Hellacopters (RIP), Gluecifer e persino The Hives. Album piacevole quindi, ma non chiedetegli di più.