Quanto è bello l’esordio di Tommaso Tanzini; fuori dall’esperienza Criminal Jokers sembra abbia trovato una dimensione molto più aspra e precaria, la stessa che ha scandito i giorni di realizzazione di “Piena”, a quanto pare concentrati nel momento più difficile dell’allerta meteo pisana. Una caratteristica urgente che attraversa tutte le undici tracce dell’album, dove il minimalismo scabro rimane il centro costante di un songwriting sbilanciato tra chitarra acustica, un incedere rituale di matrice velvetiana e le incursioni di un’elettronica portatile, imprecisa e funzionale al “discorso”. Per quanto ci riguarda, proprio in virtù della sua semplicità, è un disco importante quello di Tanzini, perchè nel tentativo di avvicinarsi alla tradizione della scrittura italiana, tra Tenco e De Andrè prima di tutti, non cerca la somiglianza a tutti i costi, trasfigurando quel bagaglio a contatto con le proprie ossessioni musicali, lontane dal cantautorato dei nostri giorni che troppo spesso ripete le forme di quello storico con una pedanteria scolastica di inerzia tombale.
Tanzini mette sicuramente in gioco se stesso con tutta l’assenza di strategia che si conviene ad un racconto intimo, ma sorprende davvero per la ricchezza di idee che affiorano proprio dove decide di ridurre al minimo la presenza degli arrangiamenti, ad eccezione de”L’immagine“, la traccia d’apertura, quella più complessa e di impostazione orchestrale.
Tutto il male di vivere raccontato in “Piena” è la testimonianza di uno svuotamento del pensiero, non c’è alcuna tentazione romantica nelle liriche di Tanzini, al contrario mette a nudo le caratteristiche di una micro-società annichilita nell’imitazione di se stessa (Musicisti alla ribalta); una capacità di osservazione acuminata che saltando a piè pari il vittimismo liceale della nostra “letteratura” musicale coeva, parla di piccole cose con una consapevolezza che ricorda a tratti la scrittura di Silvio D’arzo, con quella irriducibilità del proprio essere di fronte alla spaventosa fissità della vita quotidiana (Quattro mura); ecco perchè alla fine la forma che più si avvicina al comporre di “Piena” è quella di un blues post-moderno, come per i Violent Femmes meno battuti, quelli di “See my ships“.