venerdì, Novembre 22, 2024

Too slow to disco vol. 1: la recensione della compilation

C’è stato un tempo in cui non tutti i generi musicali potevano essere definiti e catalogabili, un tempo in cui la sperimentazione all’interno della pop music poteva dare buoni frutti senza necessariamente essere di difficile fruizione. Gli anni ’70 sono probabilmente il decennio più ricco e sincretico da questo punto di vista, e se ci si riferisce alla costa ovest degli Stati Uniti d’America di quegli anni, lo strano connubio contenuto all’interno di Too Slow to Disco vol. 1, la raccolta messa insieme da Dj Supermarkt, potrebbe essere considerata come una delle riscoperte più apprezzabili in un periodo in cui sotto il sole non brucia niente di nuovo.

I mondi paralleli che si incontrano e scontrano nelle 19 tracce di Too Slow to Disco sono quelli della emergente disco dance, il rock fm dei Chicago e dei Fleetwood Mac, il pop zuccheroso dei Doobie Brothers, i synth epocali di Jan Hammer, ancora in anticipo per raccontare le vicende dei poliziotti Sonny Crockett e Rico Tubbs di Miami Vice, il funky jazzato dei Pages, l’R’n’B di Micky Denne e Ken Gold. Scomporre questa compilation e sezionare le canzoni sul tavolo autoptico è del tutto impossibile per le peculiarità specifiche di ciascun brano, perchè è proprio l’insieme a funzionare e che ci offre un quadro incredibile di questa stagione musicale all’interno di una stagione più grande e forse più popolare. Too Slow to Disco, appunto, il titolo andrebbe già preso come  un’indicazione di metodo, un segnale di qualcosa che sta a metà, che partecipa di due generi e ne inventa un terzo.

Una muscle car qualunque, Ford, Buick o Dodge, un tramonto al Sunset Boulevard, i capelli visibilmente lunghi ma curati dei boys, i vestitini alla Daisy Luke delle ragazzine, il rilassamento dei muscoli su una sedia a sdraio davanti ad un drink prima di tuffarsi nel Pacifico: tutte immagini e sensazioni che per noi europei sono lontane anni luce, ma che diventano immediatamente percepibili dopo l’ascolto della compilation. E oltre tutto, in questa fusione tra rock fm, country per le masse, easy listening appena prima che esplodesse in modo intollerabile e disco dance dai battiti trattenuti c’è un che di potentemente visionario che anticipa suoni, soluzioni, idee riprese paro paro da musicisti transnazionali (e sottolineo transnazionali) dagli ottanta ai giorni nostri che dovrebbero o avrebbero dovuto pagare i diritti o comunque un tributo esplicito a queste radici nascoste. Liverpool Fool di Browning Bryant, prodotto dal grande Allen Toussaint e tornato nell’ombra dopo il ’74 ,  potrebbe essere un pezzo di punta degli Scissor Sisters in vena di revival, i Doobie Brothers del ’76 ovvero quasi dieci anni dopo essersi formati suonano più morbidi, lascivi e funkettoni e la loro Losin’ End inclusa nella compilation fa pensare a due Lucio, il Dalla di Com’è profondo il mare e il Battisti di La batteria, il contrabbasso, ecc., senza Lotta Love di Nicolette Larson quei tamarri dei Chromeo forse non sarebbero esistiti o si sarebbero dati all’ippica,  come pure i White Horse di Kenny Altman e Jon Lind, morti artisticamente dopo un solo album sono certamente stati prima il serbatoio per i Culture Club e poi anche quello di musicisti come Jack Johnson e che dire degli Alessi Brothers? in un brano come Do you feel it c’è un distillato di tutto quello che i due gemelli avrebbero fatto per l’easy listening degli anni ’80 da Olivia Newton John a Cristopher Cross, ma con un gusto e una classe nettamente superiori; con lo stesso criterio, Dj Supermarkt ha scelto un brano dei Chicago del tutto particolare, perchè a metà strada tra il periodo sperimentale e appena prima dell’esplosione rock fm al saccarosio c’era Saturday in the park un easy listening ancora vitale e contaminato, annata 1973, cosi come per i Fletwood Mac, dalla cui carriera il nostro compilatore sceglie un brano oscuro ed ispirato come Sugar Daddy scritto da Christine McVie nel 1975, tra rock di facile ascolto e soul con drumming e  bassline che puntano alla pista senza tuffarcisi dentro, meravigliosa. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito se non fosse che togliervi il gusto di giocare al sapientino delle citazioni, degli accostamenti, delle appropriazioni indebite sarebbe una vera e propria infamia! esattamente come togliervi il gusto di scoprire le origini di tutti i brani inclusi nella raccolta.

Vi basterà sapere che questa collana di perle prelevate da un buon numero di long playing dei settanta dei relativi artisti in playlist  hanno la purezza di quella musica che era ancora capace di cavalcare più generi senza preoccuparsi dei limiti e della pericolosa censura del buon gusto, con una freschezza e una sincerità in termini di arrangiamenti, ancora intensi e coinvolgenti, lo diciamo ai fan del terzo Fitness Forever,  gran bell’album ma sostanzialmente devozionale nei confronti di una parte di questo universo; se vi piace “cosmos” dovreste provare un tuffo dentro queste acque . E’ stata tracciata la mappa filologica di una terra di mezzo tra disco music e pop rock: ma siamo solo al primo volume, aspettiamo impazienti altre good vibrations.

Elia Billero
Elia Billero
Elia Billero vive vicino Pisa, è laureato in Scienze Politiche (indirizzo Comunicazione Media e Giornalismo), scrive di dischi e concerti per Indie-eye e gestisce altri siti.

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