Nome della band e dell’album potrebbero quasi trarre in inganno perché in questo caso non si immaginano viaggi ma fughe da fermo, impressione che aumenta l’effetto sorpresa. Quando si parla di musica del futuro ci si dimentica spesso della musica del presente. Della musica che descrive il presente. Che distilla suoni e umori dal caos contemporaneo, senza per questo spingere troppo il pedale sulla sperimentazione sonora, ma semplicemente restituendo istantanee di tipo impressionista. E’ dono di pochissimi artisti oltre le correnti e la pressione delle mode. Senza abbondare in lodi nei confronti di questa coppia del Massachussets (Anar Badalov e Mona Elliott) giunta in sordina al terzo album (i precedenti includono un omonimo del 2007 e “The Hot Summer”, appena dell’anno scorso), rimane il piacere di riconoscere chiaramente i tracciati che emergono dall’ascolto di Robber on the run. Se ne possono con molta perizia sezionare gli ascolti: Tortoise in primis, la prima Nina Nastasia, echi di Laurie Anderson, ma occorre una buona dose di immaginazione “critica”. Melodie dolci e sofferte compongono le 11 tracce del disco, costantemente in bilico tra ritmiche lente e incedere sghembo, una versione “pulita” e intima di certe intuizioni post rock, tenendo conto che i due hanno registrato l’intero album nella propria casa di Somerville in un contesto quindi assolutamente familiare. Le voci si intersecano senza mai urtarsi e i pezzi scivolano via in un soffio, caldo e gelido, capace di far emergere sia il tepore del focolare casalingo che il freddo ed il buio che rimangono fuori. I titoli stessi dei pezzi sembrano descrivere sospensioni di un tempo quotidiano: “Swimming”, “Shine”, “Warm in winter”, tutte fotografie del reale, intimi (auto)ritratti fedeli di una personale contemporaneità. Una sorpresa senza tempo, con la speranza di sentirli dal vivo il prima possibile anche in Italia.