Incredibile la prolificità del giovane virgulto del nuovo garage rock californiano Ty Segall: non fai in tempo a segnalare l’uscita di un suo nuovo disco (è di pochi mesi fa la recensione su Indie Eye dell’album licenziato insieme a White Fence), che eccolo subito fuori con l’ennesimo progetto. Questa volta il nostro aggiunge il suffisso “Band” al nome e cognome, come a voler ribadire che i suoi più che collaudati sodali (tra tutti quel Mikal Cronin autore di un debutto solista su Trouble In Mind Records dell’anno scorso che ha fatto ben parlare di sé) sono ormai un gruppo a tutti gli effetti. Ascoltando questo nuovo Slaughterhouse l’impressione di coesione e rocciosità che danno i quattro è effettivamente notevole; ciò che ne vien fuori sono 11 tracce che hanno ben poco a che fare con i precedenti lavori di Segall, ovvero il già citato Hair e Goodbye Bread. Se infatti, soprattutto in Goodbye…il sound virava verso lidi maggiormente cantautoriali, vicino a certe cose del buon vecchio Neil Young, placando in qualche modo le asperità lo fi e garage punk che avevano caratterizzato le precedenti uscite, in questa nuova fatica tutto è clamorosamente high energy, amplificato ed elettrico, veloce ed anfetaminico. Il problema è che si finisce per assomigliare in maniera quasi imbarazzante al gruppo dell’amico e collega John Dwyer (Thee Oh Sees). Stessa frenesia kraut space motorizzata all’eccesso, stesso gusto per la jam sintetica, stessa furia controllata ad arte; in più Ty ci mette un’energia proto hard punk sull’asse MC5-Stooges (Mary Ann, That’s The Bag I’m In), un paio di chicche melodiche sfuggite al suo vecchio repertorio che profumano ancora di Sixties (I Bought My Eyes, Tell Me What’s Inside Your Heart) ed una cover azzeccatissima del re Bo Diddley (Diddy Wah Diddy, tanto per far capire da dove si viene). È un baccanale di fuzz, distorsioni, schegge punk belle marce, quasi un retaggio dei conterranei Germs (la title track), chitarroni, orge di feedback e caotici rumorismi (la conclusiva ed emblematica sin dal titolo Fuzz War) in cui, siamo certi, i nostri si saranno divertiti da matti a sguazzarci dentro. L’impressione finale è proprio quella di un divertissement ben riuscito, in attesa dell’ennesimo disco solista di Segall, in uscita questo Autunno.