Musicalmente più prolifico di un coniglio, Ty Segall chiude il 2012 con ben tre uscite: dopo lo split con White Fence e l’album a nome Ty Segall Band (tutti recensiti puntualmente su Indie-Eye), Twins è il suo quarto disco da solista. Diciamo che, rispetto alla sarabanda heavy psych fuzz del precedente Slaughterhouse ed ai toni più sommessi e lievemente folk dell’ultima prova da solista (Good Morning Bread) il nuovo lavoro del giovane californiano intende riallacciare i legami col passato più recente, ovvero con quel Melted (il secondo album, giusto per fare un po’ di chiarezza nel mare sterminato delle sue uscite) che lo aveva visto distaccarsi un pochino dalla scena ultra underground di San Francisco. La chitarra fuzzosa – quasi sempre grassa e distorta – e la caratteristica cadenza segalliana sono sempre ben presenti, ormai diventate un vero e proprio trademark in ambito garage contemporaneo, così come l’amore per i Sixties e per le sfuriate punk. La compulsione di Ty nel comporre musica non provoca abbassamenti qualitativi né tentativi di infilare degli stanchi riempitivi: Twins è, ancora una volta, un buon disco: che si lasci pervadere dalle già citate tentazioni Sixties (l’iniziale Thank God For Sinners sono i Beatles senza farsi la doccia per una settimana) o che parti per la tangente in feroci rivisitazioni del punk che fu (You’re The Doctor, The Hill) queste sono canzoni che sanno dove andare a colpire. Tutto viene frullato dal piccolo genietto della West Coast, perfino lo stoner alla Nebula/Fu Manchu di Ghost, o la psichedelia strafatta di Would You Be My Love, la ballata elettrica e narcolettica di Inside Your Hearth. C’è il folk acustico di Gold On The Shore e perfino una certa atmosfera generale che profuma di melodie e sapori British. La matrice è il garage punk/psych della cui pasta sono fatti anche i fratelli Thee Oh Sees, all’interno della quale ogni sottogenere del rock viene sezionato, rielaborato e sputato fuori col timbro Segall ben stampato sulla fronte; il ragazzo ha stile, non c’è dubbio.