Il “personal Juke box” di Franco Battiato, ad ascoltarlo tutto d’un fiato, in quel rapporto spesso sbilanciato tra le condizioni dell’ascolto e gli ingranaggi di una macchina live collaudatissima, si rivela al contrario vivo e pulsante, come uno spiazzante racconto esoterico che sfiora la memoria collettiva di un paese intero.
L’affluenza record in occasione della tappa Pratese di “Up patriots to arms” conferma una comunione mai interrotta tra l’artista Siciliano ed un pubblico eterogeneo, inafferrabile, in continuo ricambio, descrivendo una relazione complessa fatta di viscere e di spirito, di amore per il gioco e di volontà di superarlo. E’una luminosa superficie pop quella che Battiato ha scelto di portare sul palco per questo lungo tour, un vero e proprio dispositivo in grado di toccare molteplici corde; tra queste, quella nostalgica si manifesta come strana sovrimpressione tra la memoria popolare e la qualità interna al suo comporre, due binari che imboccano strade diverse, per chi ascolta è forse l’immagine di una stagione di grande creatività Pop, attualissima proprio per il suo essere esemplarmente assente dal panorama Italiano contemporaneo; mentre per il tessitore, è “un’altra vita”, un vortice di rimandi, frammenti di una lingua fuori dalle convenzioni, un tracciato sempre diverso che innesca diversi processi di identificazione.
Brani come Up patriots to arms, Povera patria, Inneres auge, No time no space, l’Animale, Summer on a solitary beach, insieme ai vecchi amanti di Brel, al di là della loro forma im-mediata nell’involucro “canzone”, vengono spinti in un tempo dove lo spazio non è quello del fantasticare ma può assumere le caratteristiche della meditazione. Ecco che questo particolare tour di Battiato, nel farsi fortemente comunicativo anche per la portata della sua Storia, invece di cristallizzarsi nella “raccolta di successi”, ancora una volta si situa in quel crocevia tra sogno e veglia dove vive la sua musica; da una parte il corpo del Pop, con i suoi agganci mnemonici e un’alchimia di tipo combinatorio, dall’altra la qualità di una voce che ancora riesce a suggerire altro, in quel dissidio tra sogno e poesia che John Keats descrive distinguendo il Poeta dal sognatore, il primo “versa un balsamo sul mondo, l’altro lo tormenta”.
I segni di una nazione ferita a morte, dove lo stato di diritto è un miraggio prendono forma sui volti e nei corpi di chi ascolta, nella reazione emotiva e transgenerazionale alla forza invettiva di alcuni testi dell’artista Siciliano, per come la definisce Christian Zingales nel suo bel libro pubblicato per Arcana Edizioni (qui la nostra recensione); allora Up Patriots to Arms diventa una cosa sola con Povera patria e Inneres Auge, una forza che smuove ritmicamente e interiormente, una coincidenza di opposti che risuona, per metamorfosi, anche sul pubblico, disposto ad accogliere in forme diverse, gli elementi che costituiscono la complessità di un “sentimento popolare”.
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