Gli US Christmas sono una formazione di Marion composta da 6 elementi, tutti musicisti eccezionali. Entusiasticamente accolta dalla stampa già con il terzo e precedente Eat The Low Dogs, la band del North Carolina m’ingenera una simpatia di natura sincronica, più di ogni altra cosa stimo una certa certa indecifrabilità, l’inadeguatezza degli addetti ai lavori alle prese con la definizione del genere: sono state coniate adorabili mostruosità critiche per orientare gli US Christmas in questo quell’altro scaffale di una ideale discoteca underground. Il progetto definito post rock/metal psichedelico ma pure hard rock/stoner rock, Space Rock e Psychedelic/Rock/Blues (forse la definizione migliore, quella sul profilo myspace) altro non è che una elaborazione barocca della deriva contemporanea di zona Neurosis (con Neurot Recordings tutt’altro che estranea al progetto e varie collaborazioni all’attivo) redenta giusto in tempo dalla profondità rituale degli US Christmas. La band, attiva dal 2002, dopo aver recuperato il meglio delle prime due autoproduzioni a favore del mercato internazionale presenta con Run Thick in the night una sintesi (sin troppo) compatta dello stile che l’ha resa celebre. In the night è un’apertura pesante, rituale, ipnotica che si fregia dell’ottima conclusione dove condotto da una splendida chitarra il suono si addensa fino ai rivoli psichedelici della coda, uno schema invariabile per tutta la durata dell’album che limita, di certo, gli accenni space-rock ad introduzioni e chiusure ma, proprio con una simile cifra stilistica, dimostra la cura in fatto d’arrangiamento e produzione, di un progetto curato fino all’estremo limite della cellula-canzone. Wolf of Anareta è un pezzo molto tirato con voce al limite (del tollerabile?) c’è qualcosa di metal ed il gioco interessante di fiati e chiatarra al servizio del Wah. Fire is sleeping vira l’atmosfera all‘intimità, il risultato è ottimo con archi melanconici in primo piano, voce U.S. un po’ sopra le righe, americana, ma dotata di personalità Ancora particelle sintetiche in entrata per Fonta Flora tuttavia è solo cosmesi. In primo piano le percussioni pesanti per uno sviluppo lento da post-rock; fa capolino lo spettro dei Tool, per chi non l’avesse presentito, a proposito di US Christmas si scrive metal in vece di Tool, parafrasi o sillogismi. Lo sviluppo affascinante di Fonta Flora è della varietà che gioca bene le sue carte fra asprezze e melodie oniriche. Ephraim in the Stars è uno dei brani più interessanti, una ballata, la chitarra folkeggiante è corretta dagli archi ancora scuri e corposi, le percussioni si fanno spazio al momento giusto immemori della voce muliebre che nulla aggiunge e nulla toglie. The Leonids viene introdotta dalle profondissime pulsazioni del basso, subito in contrasto con il suono acuto della chitarra, il violino delinea ancora uno splendido lamento sotto la pesante coltre atmosferica che caratterizza il brano, considerata in quest’ottica, Maran sembra piuttosto liberatoria, asfittica in qualunque altro contesto qui si reinventa consolatoria, di facile ascolto con una chitarra in coda ad evocare i migliori esperimenti art-rock di tent’anni fa. The Quena si sviluppa a partire dalla fascinazione psichedelica degli US Christmas con un synth esoterico condotto al sicuro dal prog. Con Deep Green siamo alla ripetizione, megalomane l’emotività della chitarra, peccato. In Mirror Glass il discorso non cambia, siamo alla ripetizione della struttura-ballata per gli US Christmas, esattamente come Deep Green era la sistematizzazione della cavalcata elettrica per la band di Marion. Mirror Glass, ad ogni modo, è una bella ballata, un’ottima chiusura. US Christmas resta, nonostante tutto, un progetto affascinante, anche se l’ascolto del singolo brano o di una manciata di pezzi è certamente più emozionante dell’intera esperienza Run Thick in The Night. Tutto vero ma, nella decade telematica, vai a vedere che importa.