Sembra far fede al titolo l’album d’esordio dei milanesi Wemen, pubblicato da Black Candy Records (a cui dobbiamo l’ascolto in anteprima dell’album, in uscita il prossimo 13 Gennaio) ad un anno di distanza dallo split condiviso con The Hacienda, in fondo una piccola dichiarazione di intenti che promette contaminazione. L’oriente, l’est, i balcani se ci sono, fanno parte di quel mondo che si respira all’interno di un’europa multiculturale, dove qualsiasi elemento storico-sonoro occidentale è già il pezzo di un’altra storia. Albanian Paisley Underground è una raccolta di brani veloci ed efficaci, legati alla tradizione più trasversale del post-punk britannico, già compromesso con i ritmi africani, con tutte le derive del dub e riletto da ogni angolatura possibile, inclusa la stagione brit dei primi novanta. Conta davvero poco in un contesto del genere, che mette insieme il Folsom Prison Studio di Prato, il prezioso lavoro al mixer di Taketo Gohara e quattro ragazzi milanesi, snidare i riferimenti, allineare la passione dell’ascoltatore a quella dei musicisti, anche perché la cover di Kingston advice dei Clash potrebbe essere già una recensione perfetta per l’album. Ci si chiede se durante le registrazioni al Folsom, Ricardo Della Casa, Carlo Pastore, Francesco Peluso e Alberto Pilotti si siano fatti un giro per le strade che si sono sviluppate intorno a via Pistoiese e abbiano visitato un po’ di Cina pratese, tra vita e clandestinità, regole e assenza delle stesse; ce lo chiediamo perché un suono, ma anche solo una passione vitale e sofferente, ispirata alla nostra, disastrosa via al multiculturalismo, quella delle storture causate dalla bossi-fini e dal proibizionismo, non ci è mai capitato di sentirlo. Forse è davvero meglio chiudersi in camera, tirar giù dallo scaffare i vinili di The Wire, Pere Ubu, Big Black, i primi Ultravox, Joe Jackson degli esordi, i Jam e continuare a fare gli studenti di lettere fuori corso; forse. Non è una considerazione peregrina, è un’attitudine diffusa, quasi da “telefoni bianchi”, a lasciar completamente fuori tutta la realtà, anche quella più sudicia, e a replicare modelli ormai già “digitalizzati”, lo spiega chiaramente Carlo Pastore nelle note di copertina del Cd scritte, ovviamente, in lingua inglese: “Dopo aver finito la registrazione degli strumenti. prima che i ragazzi facessero ritorno a milano e io lavorassi alla registrazione delle voci, abbiamo parcheggiato la nostra macchina vicino alle puttane che aspettavano clienti sul marciapiede e siamo andati a mangiare in un Diner Americano situato nella periferia industriale di Calenzano, un piccolo nucleo vicino alla bellissima città di Firenze. Eravamo esattamente nel luogo di nascita della lingua italiana, a mangiare Hamburgers, con le cameriere sui pattini vestite anni ’50, circondati da vecchie Cadillac, stelle, strisce e bandiere ovunque. Assurdo vero? Questo mi ha fatto pensare alla musica che suoniamo, e mi è venuta in mente la recensione di un nostro concerto, scritta qualche settimana prima da un giornalista: – dopo alcuni brani incomprensibili, ho avuto un’illuminazione alla fine del loro set, I Wemen suonano quello che avrebbe potuto essere il “Paisley Underground” se fossero stati albanesi – Io non sapevo cosa fosse il Pasley Underground e non ero mai stato in Albania. Ma eravamo proprio qui, nell’esatto luogo di nascita della lingua italiana, con le puttane la fuori che aspettavano i clienti, noi che mangiavamo hamburgers in una specie di Diner Americano, parlando di Rock’n’roll. Music is a state of mind” ; appunto.