sabato, Novembre 2, 2024

WhoMadeWho – Dreams: la recensione

Uno dei crucci di moltissime band pop-/alt- rock è stato quello di unire “la qualità della danza” alla qualità delle canzoni, cercando di accorpare le strutture ripetitive della dance con i suoni classici della chitarra elettrica e della batteria acustica. Unire un’estetica da bulli e fare musica per le pupe: senza l’esempio dei Kiss forse nessuno avrebbe varcato la soglia del ridicolo, chiamandola kitsch. Saltando Rod Stewart e i Rolling Stones, solo per attenerci alle grandi firme, sarà l’avvento dei Daft Punk e di tutto l’indie rock da dancefloor che porterà al paradosso: replicare tale impresa con originalità sembrava impossibile, senza scadere nell’estremo dance o nell’estremo rock. I danesi WhoMadeWho, per qualche strano motivo di alchimia, sono riusciti a portare basso, chitarra e batteria nel dominio della electro studiata e sofisticata. Con il disco di esordio del 2005 (anno di Human After All dei caschi laminati Daft Punk, mentre 12 mesi dopo sarebbe uscito Bring It On dei Goose a suggellare questa nuova unione tra rock e musica da discoteca) si sono permessi di coverizzare Satisfaction di Benny Benassi in versione rock, hanno tirato fuori una piaciona Space for Rent da Bee Gees in California. Col successivo The Plot si riaffermano come rock band, e poi incastrano la queer Space for Rent, altri esperimenti con synth e bassi sfasciaculi come Motown Bizarre, The Plot, I Lost My Voice. Dal 2009 in poi, questa ricerca forzosa di identità che porti con sé un connubio di anime viene a mancare. Knee Deep, Brighter e l’attuale Dreams recano l’abbandono del versante rock: i bassi pompano sempre più, le tastiere passano in prima fila nei concerti e nei programmi di editing sonoro, di sperimentazione sonora si trova sempre meno. Specialmente in Dreams, ultimo approdo di questo anno, l’uniformità del disco appare chiara a prima vista, e potrebbe sdegnare i fan della prima ora. Attenzione: non parliamo di canzoni scadenti, ma solamente di stile acquisito e ripetuto in larga scala. Right Track parrebbe un remix dei White Lies, il singolo The Morning si lega all’ondata energetica dei Ou Est Le Swimming Pool, Heads Above richiama i The xx,come buona parte del disco, soprattutto per la rarefazione dell’atmosfera. New Beginning, Another Day, Your Better Self le uniche che si legano al vecchio ciclo della band. Su tutte c’è da dire che non si sorpassano i 120 bpm nemmeno per errore, e dai “sogni” sembra non svegliarsi mai. La quotidiana solitudine raccontata in Every Minute Alone (Knee Deep) e in Keep Me In My Plane (The Plot) passa la palla alle bizzarre apparizioni notturne, soffuse, inquietanti, ingestibili. Le piste da ballo sono ormai un ricordo di una notte passata, ora che il mattino punta i raggi del sole sugli occhi e il sonno tarda ad andare via. Per apprezzare questa nuova situazione ci vuole uno stato d’animo che in quattro-cinque anni il gruppo ha provato a creare. Per ora si dimostra la sfida più grande: sperimentare un rientro su canoni più convenzionali. Da riascoltare ed assimilare.

Elia Billero
Elia Billero
Elia Billero vive vicino Pisa, è laureato in Scienze Politiche (indirizzo Comunicazione Media e Giornalismo), scrive di dischi e concerti per Indie-eye e gestisce altri siti.

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