Nel Regno Unito questi ragazzi hanno scosso le orecchie a parecchie persone uscendo allo scoperto con un Ep, Mirrors, che mostrava pochi dubbi sulle intenzioni future. Loro si chiamano Young Guns, e si lanciano in cerca di affermazione con il debut album, All our kings are dead. Si presenta subito d’impatto, con una open track che sa di Punk , Rock e Metalcore, Sons of apathy, con chiare derivazioni Hard Rock. Difficili da collocare nell’immediato e questo può essere un punto a favore per il quintetto inglese. Il quadro che si prospetta poco dopo è molto più configurato e assegnabile, infatti Crystal Clear , appare proprio come l’esatta proporzione tra Punk melodico e gomitate qua e la di Rock e Pop. Mi tornano in mente gruppi come 30 Seconds to mars e The Automatic e i Fightstars, e questo per l’intera durata dell’album, fatta eccezione per D.O.A, dove il riff sembra uscire da un album Metal in spalla ad un doppio pedale che martella senza ritegno. Ancora un balzo indietro invece se consideriamo Stitches, dove torna il mantello di Pop melodico fuso al canonico post hardcore. Arrivati a metà dell’ascolto, non trovo guizzi di originalità che meritano particolare attenzione, se non l’alternarsi della ritmica e la struttura degli stessi brani. Le aperture dei ritornelli appaiono fin troppo simili tra di loro, meritano invece le sporadiche cavalcate chitarristiche che hanno una propria forma e dimensione. Considerando il clamore suscitato oltremanica, e considerando che questi giovani fanciulli hanno aperto un live di Sir. Bon Jovi, mi viene facile pensare che sono molto importanti le derivazioni che hanno queste “Giovani pistole”, le quali hanno ,senza ombra di dubbio, trascinato una buona fetta di seguaci al proprio mulino. Senza scordarci che si tratta pur sempre di un debutto e che gli abbagli sono dietro l’angolo. Vero anche che la loro dimensione sonora permette pochissime variazioni o spazzolate di originalità, però io mi domanderei davvero il perché di tutto questo stupore.