mercoledì, Novembre 27, 2024
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Bob Dylan, ipnotico e intenso al Lucca Summer Festival: recensione

Dylan si é scocciato dei bootleg condivisi a cui da tempo la rete ha dato la stura. Video partecipativi, storie, frammenti che circolano in formato reel e canzoni intere registrate con lo smartphone, successivamente pubblicate sul tubo. Siderali i tempi in cui un bootleg registrato in analogico sbucava nei negozi di dischi con tanto di bollino SIAE.

Eppure, chi ha superato i quaranta ricorderà quanto fosse molto più capillare il controllo ai cancelli durante tutti gli anni ottanta, alla ricerca di qualche registratore da sequestrare.

Oggi abbiamo un solo dispositivo per assolvere ogni funzione connettiva disponibile, tanto da sostituire anche il fuoco degli accendini durante i momenti apicali di un concerto. In quelle occasioni, un’estesa luminaria digitale rimpiazza migliaia di fiammelle incerte.

Sono sicuro che per l’autore di Duluth non sia una questione di diritti, ma di qualità dell’esperienza. Negare il suono e le immagini selettive dei telefonini, così brutali nel restituire per eccesso o difetto quello che accade sul palco, é solo una parte del problema. L’altra, forse la più rilevante, é l’ossessione di inquadrare, riquadrare e portarsi a casa un pezzo di quella cornice, tanto da aver reso intollerabile, per nudità e intensità, l’esperienza spettatoriale caratterizzata dall’attenzione.

Sono d’accordo con Dylan. Sono d’accordo sulla necessità di recuperare quella nudità. Per chi scrive, la democrazia digitale declinata in modo pervasivo é una volgare idiozia, non ha niente a che vedere con i progressi della società liberale, casomai ne rappresenta la tomba.

Se la grande venue non favorisce come il teatro lo stesso livello di attenzione, i piani di realtà che l’esperienza collettiva consente sono numerosi. Tra questi, la capacità di accogliere le vibrazioni altrui, cercando conferme nei volti, nelle mani, nei corpi di chi é venuto a celebrare un rituale laico.

Le forme di distrazione durante un grande concerto sono moltissime e tutte vitali, perché restituiscono ciò che arriva direttamente dall’artista, nelle reazioni individuali e soggettive. Questo a dispetto di un’enorme platea seduta.

Senza uno schermo di mezzo, le microspie del nostro quotidiano finalmente non possono illuderci di scansionare quel punctum che si manifesta ogni volta nel luogo in cui un artista dona parte del suo percorso. Dylan sembra allora suggerirci di recuperare il valore del desiderio, stabilendo quella distanza necessaria tra creatore di mondi e cittadino che li può abitare.

In termini pratici i dispositivi vengono sigillati e riconsegnati subito ai legittimi proprietari dentro una borsa di stoffa preposta dalla ditta Yondr, uno standard veloce ed efficace che ricorda i metodi dell’anti taccheggio adottati dalle catene commerciali di abbigliamento.

É un’esperienza salutare mettere a dormire il proprio smartphone, aiuta a prepararsi per uno show che ha caratteristiche tanto emotive quanto interiori.

La scena si presenta come quella di un grande club, con la tenda del sipario illuminata dal basso, per evidenziare il rosso fuoco di uno spazio quasi lynchiano.

E fa pensare sempre a David Lynch la disposizione dei musicisti, statica e presente in una dimensione sospesa nel tempo, come quella del Club Silencio.

Il setting é molto vicino alle suggestioni di un’iconografia jazz, con la batteria dominata da Jerry Pentecost, che nei piú recenti concerti del 2023 ha sostituito il notevole Charley Drayton, mantenendo comunque un approccio fisico e sottile allo stesso tempo.

Un equilibrio difficile che divide l’elemento ritmico con l’alternarsi di basso e contrabbasso nelle mani di Tony Garnier, ombra di Dylan per la collocazione immutabile dietro l’artista americano, ma soprattutto per questa presenza sonora sotterranea, collocata tra cuore e cervello.

Bob Britt trascina l’andamento bluesy di tutto il concerto, tra la Les Paul e la Stratocaster, definendo i suoni in forma tagliente e tersa, con una versione dilatata e decisamente visionaria del lessico Americana.

Lo spirito di “Rough and Rowdy Days” si prende quasi il cinquanta per cento del concerto, con la tracklist completa ad eccezione dei diciassette minuti di “Murder Most Foul”, ma investe di senso i salti temporali dagli anni sessanta fino agli ottanta.

I brani dell’ultimo album cambiano, si espandono, non per durata ma per concezione, elaborando i confini di un blues ipnotico, ossessivo, spiraliforme, tanto da far pensare in alcuni episodi, più per essenza che per sonorità, allo spirito dei Velvet Underground durante una jam.

Doug Lancio, il secondo chitarrista é sulla destra del menestrello del minnesota e Donnie Herron, polistrumentista aggiunto, arricchirà con violino, lap steel e mandolino alcuni momenti dello show.

Bob Dylan occupa naturalmente il centro, ieratico e seduto dietro un pianoforte. Non é il mezzacoda dei recenti concerti spagnoli, più vicino al verticale esibito in quelli del 2022, almeno da quello che si poteva percepire da un quadro a distanza e volutamente ipovisivo.

A dispetto della collocazione quasi mentale del setting, lo spirito con cui Bob si muove sui tasti é confidenziale, vicino ai margini di un saloon, ma soprattutto al cuore dell’intrattenimento vaudeville, che emerge come fil rouge, talvolta alluso e invisibile, lungo tutta la carriera del nostro.

L’enfatizzazione honky-tonk che investirà “Phalse prohet” prenderà proprio quella direzione. In piedi o seduto, starà dietro la tastiera per tutta la durata del concerto, senza metter mano alla chitarra e imboccando l’armonica solo durante l’esecuzione di “Every Grain of Sand”, alla fine del set, quasi per scardinare la disillusione piú cruda delle liriche inanellate fino a quel momento, con la luce della rivelazione, l’unica che può ancora illuminare il crepuscolo dell’occidente.

Per tutta la serata l’incedere segue il groove narcolettico e tagliente senza mai perdere l’obiettivo: muovere continuamente le radici di un sentimento, mentre la voce e il piano del cantastorie deragliano e creano una crepa potentissima nell’edificio sonoro.

Può darsi che Dylan a 82 anni si sia inventato una strategia per coprire una gamma vocale sostenibile, é una questione che potremmo sollevare anche per il Bowie degli ultimi due album. Ma c’è dell’altro rispetto ad uno sguardo tecnicista che non ci interessa, ed é la costante di una voce mai riconciliata, che nel contrasto ha sempre cercato una dimensione emozionale tra la funzionalità dello storytelling e la trasformazione della parola in puro strumento.

E il Dylan del concerto lucchese era anche questo, nel dialogo tra la qualità percussiva e minimalista del piano e una voce che atterra sui suoni come una breccia di vitalità commovente.

Ipnosi, meditazione di uno spazio alieno dal quotidiano, ossessione, disillusione e improvviso rilascio. Caratteristiche di una musica dell’anima che supera la cornice asfittica dello standard per diventare dispositivo poetico e ambulante.

Se il Dylan live ha offerto al proprio pubblico cambi repentini di scaletta, sorprese continue, riscritture in corso d’opera, questo interminabile tour si avvicina a quelli della rinascita cristiana tra la fine dei settanta e l’ottanta, per la costruzione del set intorno al perno di nuovo materiale.

Si alternano le cover durante le serate e ieri é toccato ai Grateful Dead, ma tutto rientra in un discorso narrativo ben preciso dove la trasformazione é interna e progressiva agli stessi brani, basta pensare a cosa é diventata “Black Rider” rispetto alla versione su disco.

Quasi alla fine, i versi di “Mother of Muses” ci preparano ad un commiato dove la luce passa come un bagliore: “I’m traveling light and I’m slow coming home”. Questi si riflettono sulle liriche che chiudono la conclusiva “Every Grain of Sand”.

Appesi sull’orlo di un progetto perfettamente concluso, come granelli di sabbia, si rimane attoniti per il modo in cui l’immagine di Dylan compare e scompare dai confini del palco, senza bis e con il buio che se lo inghiotte nuovamente, spazzando via anche l’impero della mente a cui crediamo di aver assistito.

La videocamera di un telefonino non avrebbe potuto testimoniare questo potente stato di transito, tra la vita e il fantasma, la realtà e il suo velo.

Naomi Berrill – Sea Warrior: il video della violoncellista e cantante Irlandese in esclusiva

Sea Warrior anticipa il nuovo album della cantante e violoncellista irlandese Naomi Berrill.
Accompagnata dal producer e musicista Lorenzo Pellegrini, insieme al batterista Andrea Beninati, l’artista stanziata a Firenze propone una nuova dimensione in trio che le ha consentito di dar vita in modo fluido ad un sound che rimane sospeso tra folk, jazz e classica,.
Mentre “Inish“, titolo del nuovo lavoro, uscirà il prossimo autunno, Indie-eye propone in anteprima esclusiva il videoclip di Sea Warrior diretto da Jon Conway di Búlabosca Films e prodotto dalla stessa Berrill insieme alla Casa Musicale Sonzogno.

Attraverso il racconto di formazione di una bambina, descritto con i gesti e il lessico della danza, Sea Warrior allude in modo più ampio alla capacità di resilienza delle donne nel percorso quotidiano di autodeterminazione.

Un video tutto al femminile che trasmette un messaggio più ampio e inscritto nella contemporaneità: “Ogni donna nella sua quotidianità può essere eroica e avventurosa senza bisogno di solcare mari e oceani – ci ha detto Naomi – ma merita lo stesso rispetto che si è guadagnata la piratessa Grace O’Malley.

Sea Warrior – il video ufficiale di Naomi Berrill diretto da Jon Conway e con le coreografie di Ramona Caia

Naomi Berrill è una violoncellista, polistrumentista, compositrice, autrice e cantante Irlandese. Si è stabilita a Firenze ormai da diversi anni. La sua sperimentazione sullo strumento come accompagnamento alla voce è cominciata dopo la fine degli studi classici compiuti in Scozia e Svizzera.

Il video di Sea Warrior incarna perfettamente il flusso ritmico del brano, facendolo risuonare attraverso la scansione dello spazio sondato dai corpi. Il mondo e la sua genesi diventa emanazione stessa della danza. Un gesto può incendiare la fiamma di un lavoro arcaico, oppure aprire la relazione del corpo con la forza elementale della terra. Questa dimensione creativa appartiene alla potenza del femminile.

Più di altri video che abbiamo presentato su indie-eye, Sea Warrior individua lo spazio di convergenza del videoclip, sospeso tra sinestesie possibili, visualizzazione dell’elemento sonoro, arte performativa.

Questo video parla di Grace, piratessa e guerriera del mare d’Irlanda che rasatasi i capelli per sembrare un maschio, si nasconde sulla nave del padre con la quale comincia a solcare i mari

Così ci ha spiegato il video Naomi, raccontandoci alcune scelte precise.

Naomi Berrill e il suo Silver Cello: foto di Edoardo De Lille

Girato in Italia, insieme al regista John Conway, è caratterizzato da alcuni aspetti specifici: “Abbiamo deciso di filmare la produzione del violoncello in alluminio, elemento molto scenografico – ha aggiunto Naomi – che rappresenta un simbolo di protezione, così da infondere al video stesso contorni magici

Il resto del clip, girato dove vive l’artista irlandese, è servito ad avvicinare la narrazione ad una dimensione più intima e allo stesso tempo concreta.

La bambina che vediamo all’inizio del video – ci ha detto – legge un libro sulla storia della Piratessa Grace. Affascinata, sogna di diventare coraggiosa e forte come lei. Lo sviluppo successivo la vede per le strade dell’Isolotto, quartiere fiorentino dove vivo. In quei luoghi, tramite danza e movimento, entra in uno stato di trance che la trasforma in donna forte, fiera, coraggiosa e capace di realizzare quello che vuole. Esattamente come Grace

Le scene in interni sono state invece girate presso I Cantieri Goldonetta di Virgilio Sieni.

Qui la ragazza trova una guida, caratterizzata da una danzatrice più matura che le insegna a muoversi secondo la sua natura e a coordinare i propri movimenti per raggiungere il suo desiderio di emancipazione

La danzatrice e coreografa è interpretata da Ramona caia, artista dal grande talento che ha collaborato con la compagnia di Virgilio Sieni a partire dal 2004. “Rappresenta una metafora della piratessa Grace – ha aggiunto Naomi – con i suoi capelli corti e forti

Le sequenze vicino al mare sono ambientate a Quercianella. L’estremo meridionale del comune labronico “serve come luogo di ispirazione e fonte di forza per queste Piratesse – ci ha spiegato Naomi – Qui la ragazza si muove con maggiore disinvoltura e come un giovane uccello impara dai suoi genitori a prendere il volo con determinazione

Naomi Berrill – foto di Edoardo De Lille

C’è in questa trasformazione un’influenza eminentemente irlandese. “Nel mio paese – ci ha detto Naomi – la tradizione è frutto di un passaggio generale in cui chi impara, fa suo un patrimonio senza tempo che viene tramandato. In questo senso, i gesti dei due personaggi femminili sono ispirati dal modo in cui immaginiamo questa piratessa, un’eroina senza tempo che ha lottato soprattutto contro i pregiudizi e ha trovato il suo linguaggio e la libertà con forte determinazione, imparando a sopravvivere in un mondo fatto di uomini

Gesti e movimenti incarnano quindi una forza irriducibile alla base della quale c’è “una potente femminilità” ci ha detto Naomi.

Naomi Berrill – foto di Edoardo De Lille

I frammenti del video in cui si scorge il lavoro artigianale del metallo, sembrano come dicevamo un prolungamento del gesto. Sono immagini che catturano il lavoro di Damiano Costagli, fabbro, che con grande perizia realizza il Silver Cello di alluminio che Naomi ha utilizzato per registrare il brano.
Questo violoncello è un’arma – ha precisato Naomi – un’arma potente e magica che protegge Grace e che io uso per raccontare questa storia

Il carosello di volti femminili che caratterizza il momento di tensione apicale del video, è costituito dai ritratti di donne vicine a Naomi stessa: “per me rappresentano le guerriere del quotidiano. Sempre pronte ad affrontare la vita con forza, positività e dolcezza

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Le foto dell’articolo che ritraggono Naomi Berrill sono tutte di Edoardo De Lille, fornite per gentile concessione da ufficio stampa Guido Gaito

Kraftwerk, l’imperdibile show fiorentino: cosa aspettarsi dalla nuova “stravaganza” live

Come si è aggiornato l’immaginario ideato nel lontano 1970 dal duo di Düsseldorf?

Anche dopo la scomparsa di Florian Schneider, Ralf Hütter ha continuato ad oliare e perfezionare la macchina live, con una discografia assestata fino al 2003, anno di pubblicazione di Tour de France Soundtracks, undicesimo album da studio pubblicato dai Kraftwerk.
E quella macchina funziona a meraviglia, se si pensa al Grammy Award ricevuto nel 2018 per 3-D The catalogue, secondo album dal vivo per i tedeschi, tutto orientato a valorizzare la componente visual con un box che conteneva l’intero show in versione Blu Ray. In quel contesto giocavano con la mappatura geometrica dello spazio scenico e con un’immersività retrofuturista come quella caratterizzata dall’uso di occhialini 3D, che gli spettatori fiorentini del Teatro Dell’Opera, hanno avuto modo di sperimentare qualche anno fa.

In questa dimensione aumentata della musica del duo, dove le intuizioni di quarant’anni indietro vengono perfettamente riattualizzate in un viaggio che preconizza il futuro delle intelligenze artificiali, con la stessa prospettiva politica con cui ComputerWelt intuiva la futura ubiquità della dimensione digitale, Falk Grieffenhagen può essere considerato, almeno fino ai concerti del 2022, come il vero, nuovo Kraftwerk insieme alle radici storiche sopravvissute. Mentre tastiere e percussioni sono state arricchite fino a questo momento da Fritz Hilpert e Henning Schmitz, Grieffenhagen ha contribuito a definire, costruire e integrare l’intero apparato visuale degli show dal vivo.

«Siamo davvero entusiasti di comunicare a tutti che nel 2023 i Kraftwerk saranno in tour con una nuova produzione – ha detto Schneider per introdurre il tour – Dopo anni di grande successo con il nostro spettacolo in 3D, abbiamo lavorato a una nuova stravaganza visiva e non vediamo l’ora che tutti la vedano»

L’evoluzione dei set live per gli show dei Kraftwerk meriterebbe una storia a parte ed è un aspetto in continuo movimento sin dalla fine degli anni settanta, dove l’implementazione progressiva di schermi interattivi e di una componente visuale che riconfigura la stessa morfologia del palco, è diventata centrale decennio dopo decennio, in base ad una combinazione tra nuove tecnologie e un approccio vitale e assolutamente empirico alla materia. La transizione verso l’estetica laptop del ventesimo secolo ha lasciato spazio alla fine del ventennio ad una fase tridimensionale e immersiva.

Questo significa che ogni avventura dal vivo, può essere considerata come un vero e proprio nuovo set creativo.

Cosa aspettarsi allora dal nuovo show fiorentino del 2023, che andrà in scena in una cornice splendida en plein air, come quella dell’Anfiteatro Ernesto De Pascale, immerso nel verde del parco delle Cascine?

Come affronteranno i Kraftwerk tutta la componente visual in uno spazio che conserva ancora tutti gli elementi costitutivi della struttura novecentesca?

Difficile anticipare qualcosa di effettivo, tranne due cose. La prima è la capacità di adattamento dei set ideati dal team di lavoro, che oltre a Ralf Hütter include il già citato Falk Grieffenhagen e Georg Bongartz, entrambi alternativamente dedicati allo sviluppo degli straordinari effetti visuali.

La seconda, è relativa ai primi resoconti dai concerti più recenti, dove si è confermata la componente empirica in base alla venue. Quello che è certo è che non ci sono occhialini, ma proiezioni a LED che sembrano offrire una nuova concezione dello spazio tridimensionale, vicina all’esperienza ologrammatica. Se la immaginiamo all’Anfiteatro delle Cascine, immerso nel verde e con un tappeto di stelle a sovrastare, vengono già i brividi per gli innesti possibili.

Di più non possiamo né vogliamo dire, perché l’effetto meraviglia e la componente sorpresa fanno parte di un mondo sonoro e visuale che è riuscito nei decenni ad adattarsi alle sollecitazioni delle nuove tecnologie, rilanciando un repertorio sonoro che incredibilmente funziona per ogni stagione.

Multi, cross e transmediali, ma ad un passo dalla fisicità del dancefloor, i nostri saliranno sul palco dell’Anfiteatro Ernesto De Pascale il prossimo 7 luglio alle 21,15.

I biglietti sono posti numerati da 74,75 e 80,50 euro e sono disponibili su www.ticketone.it e nei punti prevendita www.boxofficetoscana.it/punti-vendita. Per chi avesse già acquistato i biglietti della data del 9 settembre scorso, poi posticipata, restano validi i tagliandi che riportano la data.

Il concerto è una delle date di punta del programma Ultravox Firenze, di cui abbiamo parlato da questa parte.

Per prepararsi al concerto, vi consigliamo il nostro approfondimento, pubblicato in vista della data fiorentina, dove vi abbiamo raccontato la storia e le immagini legate alla carriera dei Kraftwerk e alcuni dei videoclip seminali dei nostri dal 1976 al 1986

Radio Activity

Antenna

Trans-Europe Express

Showroom Dummies

The Robots

Musique Non Stop


Bob Dylan il 6 Luglio al Lucca Summer Festival: cosa aspettarsi dal concerto

In un’intervista del 1989, Bob Dylan raccontava l’imponderabilità creativa di un live: “Non esistono due concerti uguali – diceva – potrebbe trattarsi della stessa canzone, ma al suo interno può emergere uno spazio possibile da elaborare, a cui non avevi pensato la sera prima

Questa musica che si libera dalla pagina scritta, per attivare nuove connessioni tre parole e cornice sonora, è una caratteristica anche dell’ultimo, infinto tour di Dylan, cominciato nel novembre del 2021, interrotto momentaneamente durante l’acutizzarsi della pandemia, coadiuvato da uno speciale show online, pubblicato di recente con il titolo di Shadow Kingdom ed infine riattivato a pieno ritmo attraverso Stati Uniti, Giappone ed Europa.

Il Rough and Rowdy Ways World Wide Tour approderà anche a Lucca il prossimo 6 luglio come una delle date più attese del Lucca Summer Festival 2023.

Dylan torna in Italia dopo cinque anni per presentare una setlist che oltre a proporre una manciata di brani dal suo ultimo album del 2020, salta da un’era all’altra lungo la sua vasta discografia.

Ci sarà spazio quindi per Most Likely You Go Your Way (and I’ll Go Mine), brano del 1966 tratto da “Blonde on Blonde”; I’ll be Your Baby Tonight del 1967, estratto da “John Wesley Harding”, il suo ottavo album; To be alone with you, la prima canzone che Dylan registrò per “Nashville Skyline”, il nono album del musicista americano, pubblicato nel 1969; Watching the river flow, frutto di una lunga session registrata nel 1971 al Blue Rock Studio e pubblicata su singolo dalla Columbia durante lo stesso anno; Gotta Serve Somebody, traccia d’apertura di “Slow Train Coming” del 1979; Every Grain of Sand, uno dei brani più intensamente spirituali del nostro, scritto a pochi anni dalla conversione evangelica e contenuto su “Shot of love” del 1981.

La scaletta ha subito lievi variazioni nelle date dell’ultimo mese, alcune di queste riguardano la cover di Stella Blue dei Grateful Dead, che si aggiunge ad una più recente della stessa band, West LA Fadeaway, e allo standard That old Black Magic, tra gli altri portato al successo da Frank Sinatra, eseguito da Jerry Lewis nello splendido “The Nutty Professor” e incluso dallo stesso Dylan nel suo secondo album di standards pubblicato nel 2016 e intitolato “Fallen Angels”

Anche se le costanti rappresentano il 90 per cento dello show, cambia l’approccio, l’umore, la vita stessa della canzone, in un processo di riscrittura spesso radicale, che in alcuni casi ha messo in difficoltà i conoscitori più accaniti nell’individuazione del brano al primo colpo.

Durante il concerto Dylan siede spesso ad un piano verticale e suona l’armonica in alcune occasioni, in particolare durante la parte conclusiva di Every grain of sand. Insieme a lui, una band di cinque elementi: Bob Britt alle chitarre, Tony Garnier al basso e al contrabbasso, Charley Drayton alle pelli, Donnie Herron al violino, mandolino, pedal steel e lap steel, Doug Lancio alla seconda chitarra.

Le norme per il concerto, come avevamo annunciato nel precedente redazionale, sono strettissime per quanto riguarda i telefoni cellulari, che non possono essere utilizzati durante lo svolgimento del live per fotografare, riprendere i brani, pubblicare momenti della serata sulle stories dei social. Grazie a Yondr, la società incaricata di gestire l’utilizzo dei dispositivi, ad ogni spettatore sarà fornita una borsetta di plastica con chiusura a sigillo, dove il cellulare sarà custodito e riconsegnato immediatamente al proprietario. Questo significa che non ci saranno sequestri o custodie forzate, ma sarà adottato un metodo sostenibile, per consentire a chiunque di mettere da parte il proprio telefono.
La borsa potrà essere aperta solo in caso di emergenza, per effettuare eventualmente chiamate nelle zone preposte della stessa venue.

[Foto dell’articolo di Alberto Cabello from Vitoria Gasteiz, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, via Wikimedia Commons ]

Mediceo Live Festival, la seconda edizione al Palazzo Mediceo di Seravezza

Giunge alla seconda edizione il festival allestito al Palazzo Mediceo di Seravezza.

Dal 2 all’11 agosto la cornice, riconosciuta come patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ben dieci anni fa, accoglierà un festival dai suoni e dai colori pop destinato al pubblico più giovane.
Al centro la scena indipendente italiana con alcuni dei nomi più rilevanti della nostra scena.
Organizzato da Cristiano Ceragioli, figlio d’arte di Battista Ceragioli, musicista di grande esperienza e specializzato in eventi musicali, con il supporto della fondazione Terre Medicee diretta da Davide Monaco e The Cage, inaugura le danze il 2 agosto con una serata dedicata ai talenti della regione, intitolata Generazione Toscana, progetto sperimentale legato alla necessità di trovare spazi per esibirsi da parte delle band locali. Un format che valorizza il territorio e che prevede la partecipazione di numerosi artisti.
Throwback Party è invece la grande festa del 3 agosto, che riparte dagli anni zero del nuovo millennio per fare un bilancio di tutte le suggestioni musicali che hanno inaugurato il secolo. Animeranno il dancefloor Luca Ciurli, conosciuto con il nome d’arte di Charlie Dee, resident dj della storica Capannina di Franceschi e Master Freeze, alla consolle per lo Yab di Firenze.

Saranno i Coma Cose il primo nome nazionale a salire sul palco del Mediceo Live Festival. Il 7 agosto il duo milanese costituito da Fausto Lama e California, porteranno sul palco i brani di “Un meraviglioso modo di salvarsi“, l’ultimo album che contiene anche L’addio, traccia presentata in concorso all’ultimo Festival Di Sanremo.
Naska, al secolo Diego Caterbetti porterà il suo sound tra pop e punk il prossimo 8 agosto, a pochi mesi di distanza da “La mia stanza“, secondo album per il musicista di Loreto.
The Dark Side Orchestra chiuderà il festival l’11 agosto, con un concerto che celebrerà il notissimo album dei Pink Floyd con gli arrangiamenti orchestrali eseguiti da una trentina di elementi, un coro e una live band.

I biglietti del festival sono disponibili su circuito Ticketone e Vivaticket

67. Festival Internazionale di Musica Contemporanea, domani le prevendite

Non solo Brian Eno con l’imperdibile Ships di cui abbiamo parlato da questa parte, ma anche sperimentatori come Marcus Schmickler, i seminali Autechre, Lamin Fofana, Jerome Ellis e Jace Clayton aka Dj Rupture, Steve Goodman aka Kode9, Loraine James e tanti altri tra cui Wolfgang Mitterer, Kali Malone, John Zorn, Andrea Marcon, Luca Scandali nel programma del Festival Internazionale di Musica Contemporanea diretto da Lucia Ronchetti e prodotto dalla Biennale di Venezia, in scena dal 16 al 29 ottobre 2023.

Biglietti e abbonamenti saranno in vendita a partire da Lunedi 26 giugno alle ore 15:00 presso l’indirizzo ufficiale della Biennale www.labiennale.org

Tra tutti i pacchetti disponibili, molto interessante quello per 3 concerti del festival al prezzo speciale di 60 euro, che per studenti e giovani under 26 scende ulteriormente al prezzo di 36 euro.

Per accedere a tutte le installazioni e alla fruizione del video documentario su Brian Eno programmato all’Arsenale, c’è un biglietto speciale di 10 euro che consente di visitare anche gli spazi espositivi della Mostra di Architettura, allestita nella medesima location.

Per 35 euro è disponibile anche l’offerta Architettura/Biennale Musica che consente di godersi un concerto del 67. Festival Internazionale di Musica Contemporanea con l’ingresso alla 18. Esposizione Internazionale di Architettura.

Dedicato al digitale, il 67. Festival internazionale di Musica Contemporanea, mette al centro l’imperdibile concerto di Brian Eno con il progetto Ships previsto per il prossimo 21 ottobre insieme alla Baltic Sea Philharmonic diretta da Kristjan Järvi, l’attore Peter Serafinowicz, il collaboratore storico e chitarrista Leo Abrahams, il tastierista Peter Chilvers, in interazione con le atmosfere orchestrali diffuse ed elaborate per lo spazio acustico del teatro.

Segnaliamo il live degli Autechre, e quello di Steve Goodman aka Kode9, oltre ad un progetto che coinvolgerà il suono diffuso degli organi veneziani curato da Wolfgang Mitterer, Kali Malone, John Zorn, Andrea Marcon, Luca Scandali.

Vi ricordiamo che Il Leone d’Oro alla carriera va al compositore e produttore Brian Eno; il Leone d’Argento al matematico, programmatore, teorico e performer Miller Puckette.

Il programma completo del festival si consulta da questa parte.

Brian Eno, Leone alla Carriera

Luar, il festival che inonda d’Africa il dancefloor: oggi a Firenze HHY & The Kampala Unit

Non possiamo sapere quando vi ricapiterà di godervi il set incendiario dei HHY & The Kampala Unit, il combo nato in seno alla seminale etichetta Nyege Nyege e costituito da Jonathan Saldanha, sound designer portoghese e la trombettista ugandese Florence Lugemwa.

Stasera 25 giugno suoneranno a Firenze insieme ad altri ottimi musicisti nel contenitore “Luar“, festival stimolante e contaminatissimo, incredibilmente a ingresso gratuito presso Lo Spazio Instabile – Culture in movimento in via della Funga 27/b, zona Bellariva e organizzato da UR Suoni, Funkamari, Ghiaccoli & Branzini in collaborazione con la venue che li ospita e la stessa Nyege Nyege Tapes.

Saldanha e Lugemwa, acclamati dalla critica internazionale, hanno già suonato in contesti di altissimo rilievo come il Centre Pompidou di Parigi, il festival Unsound in Polonia e la Triennale di Milano.
Sono nata ballando con mio padre che faceva il DJ per le feste casalinghe, mentre mia madre distribuiva per tutti birra e cibo – ha raccontato Lugemwa – “Ho la musica nel sangue

La tromba nella sua vita è arrivata appena compiuti i dieci anni, fino a quel momento suonava il tamburo laterale per la banda della scuola. Ha suonato per matrimoni, compleanni e tutti gli eventi della comunità. Una borsa di studio, l’esperienza di residenza che la Nyege Nyege ha favorito in Africa e che è alla base della nascita del progetto, ha consentito a Florence di spendersi come formatrice all’interno dei quartieri più disagiati di alcune città come Katogo, dove insegna a suonare i tamburi ai bambini, una forma concreta e positiva di attivismo.

Come HHY & The Kampala Unit hanno all’attivo un album intitolato Lithium Blast, pubblicato tre anni fa, dove dub, techno vengono declinati in una dimensione spettrale più vicina alla trance music. C’è un’allure sci-fi nel loro discorso musicale, che alterna ritmiche oscure ad una tensione drammatica già indicata dal titolo del disco, che probabilmente si riferisce al progetto cinese di produrre più di 5000 veicoli elettrici all’anno nella città di Kampala. Il litio, materiale infiammabile e tossico, è quello delle batterie che alimentano i veicoli. Si definisce quindi un terreno selvaggio, a tratti crudissimo, che descrive l’attuale contesto ugandese, sospeso tra modernizzazione e disastro ecologico.

Guarda il set live su Nyeg Nyege

Lithium Blast, il video di HHY & The Kampala Unit diretto da Jonathan Uliel Saldanha

Oltre agli headliner, LUAR propone i set di Lampredonto, l’unione di Lampreda e Tonto, al secolo Simone Vassallo e Francesco Zedd, che con due batterie elettrificate contaminate da frammenti elettronici e suonate rigorosamente dal vivo, hanno esordito nel 2022 per UR Suoni con l’EP “! WASTED !” dove ha collaborato il grande Mark Stewart (qui intervistato su indie-eye e una seconda volta per l’uscita di Citizen Zombie) mente dei seminali Pop Group, scomparso recentemente. Il full lenght è uscito nel 2023 e si intitola “WORKOUT | WORSHIP”, caratterizzato da numerose collaborazioni.

Lampredonto feat. Mark Stewart

Il secondo set che precede gli healiner è quello dei ravennati Il cloro. Usciti con “Sponga” nel 2019 per UR suoni dopo l’esordio su Lepers Produtcions, combinano le intuizioni più estreme del post-rock, con la lezione no-wave, nella versione rielaborata e riletta da etichette come Skin Graft. Campionatori, chitarra, batteria, per un set organicissimo e violento, che abbiamo documentato in video su indie-eye ai tempi della loro prima uscita.

Il Cloro, il video ufficiale di Fiume Nera

Last but not least il DJ set degli apolidi Funkamari, qui rappresentato da Fanqueiro nella sua ricerca etnomusicale lungo la penisola, che supera e oltrepassa i confini, per lanciarsi verso il sud del mondo. Un insieme di vibrazioni positive tra il brazilian boogie, l’afro e il turkish funk, fino a lambire le propaggini dell’electro cumbia, per uno show che riconduce il dancefloor alla sua essenza percussiva e rituale originaria.

L’ingresso per i concerti è totalmente libero e il progetto è stato reso possibile grazie al cofinanziamento dell’Unione Europea, fondo Europeo di Sviluppo Regionale, nell’ambito del Programma Operativo Città Metropolitane 2014-2020.

La Prima Estate: tra noise, funk, pop e Jazz. La giornata del 23 giugno

È approdata al secondo weekend La Prima Estate 2023, con una giornata intensa e proteiforme, ricca di storie e suoni anche in contrasto tra di loro, segno di una vitalità che si spera abbia lunghissima vita, per qualità della proposta e anche per la scelta, azzeccatissima, di una location che mette insieme lo spazio di un grande city park, con tutte le possibilità del relax balneare.

Quattro gli show della serata, connessi da una dimensione avvolgente che ha comunicato a diversi livelli: strumentale, illuminotecnico, emotivo e sensoriale. C’è un dialogo non diretto, ma ideale nella vocazione diversamente strumentale dei Just Mustard è di DoMi & JD Beck. L’industrial-noise dei primi disegna paesaggi acquatici e virtualmente sospesi tra incubo e meraviglia, così come la colonna sonora del duo jazz-fusion emerge alla luce del sole con un gioco dialettico capace di mettere insieme più storie generazionali. E Chet Faker ha molto da condividere con quest’ultimi, ma anche con i primi per approccio intimo e una combinazione mai riconciliata tra le lusinghe del pop e l’impatto strumentale e visionario del groove. Il suo set, davvero travolgente, ha caratterizzato attraverso consolle e strumenti più tradizionali un vero e proprio flusso funk’n’club.
Forme antipodali che si verificano anche nel suono nell’approccio su palco degli alt-J, tra epica rock e introspezione, nella statificazione tra gli anni settanta e pattern ritmici più contemporanei, che fa parte dei suoni del loro ultimo lavoro.

Ma una qualsiasi giornata de La prima estate, comincia alcune ore prima delle 18:30, ora d’avvio dei concerti. Appassionati ed addetti ai lavori possono godersi uno degli incontri programmati nel corso della mattinata, mentre comincia a prender forma il villaggio allargato che include le attività parallele al Lido di Camaiore, tra sessioni di Yoga con Irene Traina, la scuola di Surf e le escursioni nell’entroterra.

Protagonista del talk del 23 giugno, prima dell’incontro con alcuni degli artisti che si esibiranno in serata, Fabio Zaffagnini, guarda caso ex geologo marino, adesso fondatore e CEO di Rockin’1000, progetto consolidatosi durante i momenti più difficili della pandemia, dove tutte le energie sono confluite verso il successo dell’intuizione iniziale. La più grande Rock Band del mondo costituita da 1000 musicisti che nel 2015 aveva suonato all’unisono Learn to Fly dei Foo Fighters, dopo i 58 milioni di visualizzazioni su Youtube, ha concluso il marzo del 2022 la campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma Mamacrowd, per dare impulso ad una vera e propria startup che si è creata intorno al progetto. Questa community globale che ormai ha superato quasi i trentamila musicisti in tutto il mondo, consente a chi ne fa parte di suonare negli stadi, favorendo così oltre ai principali attori anche i promoter, secondo principi di inclusività e di crescita economica. I numerosi investitori che hanno preso parte alla fase di crowdsourcing, hanno consentito un potenziamento dell’app preposta alla selezione, oltre allo sviluppo e al coinvolgimento della community stessa, attraverso il perfezionamento dello show e di tutte le strategie di promozione e distribuzione dell’evento. I concerti per ora allestiti in Italia, contano numerose città e location non convenzionali, come l’aeroporto di Linate a Milano. Alla base c’è anche il progetto FA R Evolution di Orienta Capital Partners, che mette al centro innovazione, tecnologia, ecosostenibilità e transizione digitale. Dalla musica partono allora infiniti vettori, tra cui quello della bio-sostenibilità edilizia.

Il modello di reclutamento dei musicisti attiva anche un sistema di formazione funzionale all’evento, dove vengono preposte forme di e-learning che consentono ai partecipanti di provare e allinearsi con la setlist dei concerti. Ogni paese, con la propria cultura e anche le diverse modalità di ricezione, ha consentito a Rockin’1000 di attivare approcci e linguaggi in continua mutazione, e soprattutto di affinare in termini pratici l’idea di inclusività. Le potenzialità di un sistema di rectuiting innovativo, hanno consentito al modello di essere adottato da 18 comuni dell’Emilia Romagna, per la gestione e la distribuzione sul territorio di tutti quei volontari che hanno aiutato e stanno aiutando la regione a risollevarsi dal recente alluvione.

Il racconto di Zaffagnini, oltre che un modello economico capace di rileggere e rilanciare in forma sostenibile l’ecosistema dei grandi eventi in un momento complesso come quello post-pandemico, si lega perfettamente al concept de La Prima Estate, come evento inserito nel territorio attraverso lo scambio attivo tra musica internazionale, realtà locali, natura e città.

L’incontro con gli artisti, curato dai colleghi di SkyTg24, ha ospitato nello spazio allestito alla Santeria Belmare, Katie Ball e David Noonan, rispettivamente voce e prima chitarra dei Just Mustard, quintetto irlandese reduce dal successo di “Heart Under“, secondo lavoro sulla lunga distanza, pubblicato su Partisan Records. Dopo una serie di aperture illustri, tra cui quella per il recente concerto dei Depeche Mode al Malahide Castle di Dublino, la band torna in Italia a distanza di quattro anni, ma per la prima volta su un palco di dimensioni importanti. Dai tempi di “Wednesday“, primo lavoro pubblicato nel 2018 per la piccolissima Pizza Pizza records, hanno affinato un metodo di composizione che condivide molto con le attitudini della musica elettronica, nella possibilità di espanderne forma e confini proprio con la dimensione live. Il loro è un set di matrice e impostazione fortemente elettrica, legato in parte al noise degli anni novanta a cui aggiungono una propensione industrial e un’espansione del mondo sonoro che oscilla tra il clubbing più visionario e medidativo e un’originale versione elettrica dell’estetica trip-hop.

Sono loro che alle 18:30 in punta aprono le danze del grande palco collocato in cima al Parco Bussoladomani del Lido di Camaiore. L’assalto noise con cui aprono è quello di Seven, brano di transizione dal primo al secondo album, pubblicato solo su singolo e che mostra chiaramente la radicalizzazione del loro suono, che si lascia alle spalle le influenze britanniche dell’era Creation, spostando le tessiture verso territori industrial-noise molto marcati, tanto da creare un contrasto davvero suggestivo tra i soundscapes chitarristici e la voce trasognata di Katie Ball.
Il catalizzatore è quindi “Heart Under“, album tra i più celebrati del 2022, soprattutto fuori dai nostri confini e che in Irlanda ha conquistato il primo posto delle classifiche indipendenti per diverse settimane.

Il lascito della cultura post-punk è quello legato all’angoscia del presente che i nostri riescono ad intercettare trasformandone gli aspetti estetici e performativi in un’abbacinante avventura psichica e interiore. Ieratici e immobili sul palco, attivano reminiscenze che fanno parte dell’immaginario Factory e delle posture shoegaze, trasposte entro una cornice più confidenziale e diretta. La luce del contesto per un set della durata di circa 45 minuti, li ha colti in pieno giorno, senza poter sfruttare quell’oscurità amniotica che in altre venue è un tratto distintivo dei loro live, insieme ad una serie di lievi strisce luminose che immergono le loro figure in un’illuminotecnica acquatica e azzurrognola. Ma l’energia oscura e rumorosa che riescono a generare era tutta li, solida come una parete sonora, cangiante per quantità di sfumature e livelli che consentono di entrare in un mondo avvolgente e a tratti spaventoso. Tra i clangori metallici e il grido di creature post-umane, il suono dei Just Mustard suggerisce varie forme di inabissamento. La confidenza che dimostrano con un palco di grandi dimensioni è sorprendente per una band al secondo album. Formano uno spazio alternativo con l’architettura sonica costruita da David Noonan, Rob Clark e Mete Kalyon, mentre la voce di Katie Ball sembra fluttuare come corpo acquatico in una wasteland di relitti.

Quasi avessero appreso e risemantizzato la lezione di Metal Machine Music, l’album meno ascoltato e ascoltabile di Lou Reed, investono il pubblico con un impatto sonoro violentissimo, capace di catturare l’anima e abbracciarla in uno spettro di emozioni mutevoli, dal terrore alla meraviglia.
Osservata con attenzione dalle prime file del Parco Bussoladomani, la tecnica strumentale dei Just Mustard ha una qualità empirica emozionante, che fa da contrappunto all’apparente ieraticità dei corpi.
Ciò che è accaduto in studio per altre vie, qui si scatena nell’impiego non convenzionale ed eminentemente fisico degli strumenti. Una vera e propria bestia sonora che disorienta e spiazza, per consentire l’ingresso negli incubi di Katie, la cui voce è forse l’esperienza più vicina a quella di uno strumento per attitudine, scelte fonetiche e risonanze. La fissità sul palco corrisponde allora ad un vero e proprio stato di trance, lo stesso indotto da certa drone music, dove gli elementi antitetici di rumore e sogno, levità e violenza, si aprono con la forza di un rituale. Occorre allora abbandonarsi a questa esperienza dei sensi, anche quelli che non riconosciamo più. La setlist privilegia i brani di “Heart Under”, ma recupera gli episodi di passaggio da “Wednesday” all’ultimo lavoro, tra cui la bellissima “Frank”, nenia onirica circolare pubblicata solo su singolo, che in questo contesto viene trainata da una straordinaria onda elettrica.

Un discreto salto e forse anche un risveglio quello che sancisce il passaggio dai suoni oscuri degli irlandesi, alla solarità giocosa di Domi e JD Beck. In fondo sono due proposte eminentemente strumentali, la prima per spirito, la seconda per precisa impostazione. Scoperti e prodotti da Anderson .Paak e per certi versi vicini al suo mondo sonoro, di cui offrono una versione più essenziale e fisica, hanno pubblicato il loro primo e unico album intitolato “No tight” sulla prestigiosa Blue Note, mettendo insieme ospiti di grande rilievo, tra i quali spicca il nome di Herbie Hancock.

Arrivati sul palco alle 19:45, hanno proposto una setlist aderente a quella dell’album.

DoMi controlla tastiere, mentre JD, posto di fronte, è immerso nel suo drumming frenetico e spezzato. Un setting ormai consueto e che nei grandi palchi come il Coachella e questo del Parco Bussoladomani, ha abbandonato l’approccio provocatorio dei piccoli club, dove DoMi, vestita con tuta confortevole da dopolavoro, sedeva comodamente sulla tazza di un cesso, accessoriato con relativo supporto per carta igienica.

Colori e spirito che suggeriscono un approccio giocoso alla materia, ma che non dimentica una ferrea disciplina, se consideriamo lo spartito ben visibile sul leggio della musicista francese, allora come adesso.

Apparentemente più formali e inscritti nello scenario, conservano l’outfit di una gioventù pop e contaminata, per trasporre sul piano musicale, lo stesso approccio. Lui vestito come un blue collar, lei con giacchina sportiva da ciclista, calzoncini cortissimi e calzette nere con fiocco bianco. Dei finti bonsai che sprigionano fiori di pesco rosa shocking circondano la batteria di JD e il roland stage 4 di Domi.

Dal vivo, la jazz-fusion atipica del duo, acquista calore e ridefinisce attraverso lo spirito della jam, tutti quegli elementi apolidi che caratterizzano la loro scrittura, dalle suggestioni di certa jungle, al campionario di riferimenti radicati nel simulacro degli anni settanta. Per quanto il groove sia una dimensione fondamentale del loro suono, l’eclettismo virtuosistico della costruzione armonica, su disco conduce verso spazi più meditativi, mentre dal vivo acqusisce fisicità e urgenza davvero coinvolgenti. In questo senso è interessante assistere all’ipnosi che un grande pubblico come quello de La Prima Estate è disposto ad accogliere, dimostrando una partecipata attenzione nei passaggi più astratti. Un’ora di live passa velocissima nel dialogo tra questi due straordinari musicisti, dove il gioco fa da padrone nelle loro interazioni. “Odio parlare” dice Domi a un certo punto, per continuare con una schermaglia insieme al compare, che sancisce la forma diversamente intima di tutto il set. JD per tutto il live si prenderà gioco del pubblico, annunciando per cinque volte l’ultima canzone del concerto. I due pezzi cantati sono una breve incursione in un mondo strumentale dove i florilegi della musica si rivolgono verso l’esterno, per libertà e invenzione, come nel pezzo di Jaco Pastorius con cui hanno chiuso il loro set.

Scoccano le 21, minuto più minuto meno, quando Nicolas James Murphy, meglio conosciuto con il nome d’arte di Chet Faker, sale sul palco de La Prima Estate. Con se porta un approccio confidenziale non dissimile dagli ospiti precedenti e dedica un terzo del concerto ai brani dell’ultimo album pubblicato due anni fa in piena pandemia. Scava nel passato e propone anche una cover davvero notevole di “No Diggity” dei Blackstreet. Ma sono i visuals oscuri proiettati su grande schermo che introducono una notte trascorsa all’Hotel Surrender. Una dimensione apparentemente minacciosa, che vive nel simulacro di un interferenza elettrostatica, dove l’immagine d Nicholas e i visuals, sembrano una via di mezzo tra elaborazioni frattali e un segnale trasmesso da un altro spazio tempo. La distanza dell’immagine, viene nettamente disattesa dalle vibrazioni dance delle tastiere, un’attitudine clubbing che inonda il parterre senza alcuna mediazione. Il set, suonato tutto da solo in controtendenza ai concerti più recenti gestiti in trio, è un concentrato ipnotico tra groove e melodia, che su palco privilegia l’impatto dei bpm combinandolo con una dimensione soulful davvero sorprendente per capacità comunicativa e coinvolgimento. Come scrivevamo, l’artista canadese crea un vero e proprio funk’n’club, cavalcando la spiritualità laica della musica soul, in quel territorio d’ibridazione che è il Djing, qui praticato attraverso una prospettiva diretta e di commovente onestà.

A qualche mese di distanza dai festeggiamenti per il decennale del loro primo album che ha registrato il tutto esaurito in numerose venue internazionali, il trio di Leeds alt-J occupa il palco de La Prima Estate a partire dalle 22:30, davanti ad un affollatissimo Parco Bussoladomani.

La voce e la chitarra di Joe Newman sono accompagnate dalla batteria di Thom Sonny Green e dalle tastiere di Gus Unger-Hamilton. Tutt’intorno una spettacolo illuminotecnico di notevole impatto che riprende la geometrizzazione dei visual. Per concept e fluidità promana dai suoni stessi. Un’energia che punta alla tangibilità, nonostante la fissità esecutiva.

Al centro, ma non in modo esclusivo, le tracce di The Dream, quarto album pubblicato dalla band, quello che più dei precedenti, attiva un dialogo simmetrico tra gli anni settanta e le sollecitazioni del loro sound.

Sviluppato nell’alternanza ricercata tra tutti e quattro i capitoli della loro discografia, lo show restituisce grande omogeneità per scelte sonore e impatto.

La doppia anima di The Dream, sospeso com’è a livello di produzione sonora tra introspezione e incursioni di matrice elettronica, house e funk, viene allora potenziata su palco, tanto da trasformare tutti gli aspetti più crepuscolari dell’album in un crescendo emotivo di forte presa sul pubblico che culmina con l’esecuzione di Matilda, uno dei classici della band tratto dal loro primo lavoro.

Quel debutto, come dicevamo già festeggiato durante gli show di marzo, viene omaggiato a dovere anche durante la serata versiliese, con una serie di incursioni che determinano comunque l’andamento del concerto. Un dialogo, tra il primo e l’ultimo capitolo della loro carriera, che stabilisce un collante perfetto per i fan, sul piano dell’intensità intensità visuale e sonora.

La prima estate, da oggi al Lido Di Camaiore il grande festival-vacanza

Comincia oggi La Prima Estate, la nuova creatura della D’Alessandro & Galli che combina musica, spiaggia, esperienze sensoriali e scoperta del territorio a partire dalla suggestiva cornice del Parco Bussola Domani al Lido di Camaiore.
Due Weekend all’insegna della buona musica con la terza giornata del 18 giugno completamente gratuita. L’annullamento del dj set dei Bicep che era previsto per quella data ha consentito agli organizzatori di proporre un rimborso dei biglietti, pur essendo confermati tutti gli altri ospiti: Dardust (Electronic Set – Left Hemisphere), Nation of Language ed Elasi. La giornata del 18 quindi per chi non ha acquistato in prevendita sarà ad ingresso gratuito. Per chi ha già acquistato verrà rimborsata la quota corrispondente. Per i biglietti acquistati online su siti web e app (Ticketone e Dice): i biglietti verranno rimborsati automaticamente sullo strumento di pagamento utilizzato in fase di acquisto. Per i biglietti acquistati nei punti vendita Ticketone: la richiesta di rimborso dovrà essere effettuata tramite la pagina www.rimborso.info entro e non oltre il 28 giugno 2023.

Sono sei i giorni di concerti de La Prima Estate, 16-17-18 giugno e il week end successivo, 23-24-25 giugno.
La giornata ancora da chiudere era quella del 25 e adesso ha un nome che completa la line up. Si tratta di Bu Cuaron, cantante italo-messicana molto legata al nostro paese e cresciuta tra Londra e Pietrasanta. All’interno di “Music inspired by the film Roma“, l’album che contiene tutta la musica diegetica del film diretto dal padre Alfonso Cuaron, c’è anche il suo singolo di debutto intitolato Psycho, che figura accanto ai brani di Beck, Billie Eilish e Patti Smith. In attesa del suo primo EP in uscita questo autunno, il pubblico del Lido di Camaiore potrà gustarsi il suo sound, frutto di una contaminazione riuscitissima tra hip-hop, musica pop indipendente e incursioni elettroniche.

Le danze vengono accese oggi con la giornata rap dell’intero festival. In cartellone NAS, Geolier, Noyz Narcos, e il Dj Set di Bassi Maestro. Abbiamo approfondito da questa parte la musica di questi artisti, insieme alla giornata folk del 17 giugno, che oltre a nomi indiscutibili come Bon Iver e Kings of Convenience, vede in cartellone i talenti emergenti di Japanese Breakfast e di Guinevere, a cui abbiamo dedicato un podcast-intervista da questa parte. Il weekend si chiude con la giornata gratuita del 18 giugno di cui abbiamo già parlato, per riaprirsi la settimana successiva, con la giornata Indie pop del 23 che vedrà sul palco un mix tra noise ed elettronica, con i nomi di Alt-J, Chet Faker, Domi & JD Beck, il noise degli irlandesi Just Mustard, rivelazione dell’ultimo anno e in scuderia con la prestigiosa Partisan Records. Ne abbiamo parlato da questa parte con un approfondimento dettagliato di tutti i loro videoclip.

A tutto funk il 24 di giugno con il groove di Jamiroquai, Nu Genea Live Band, Studio Murena e Bruno Bellissimo. Mentre il 25, giornata di chiusura che include anche i suoni e il talento di Bu Cuaron, comprenderà i live di Metro Boomin, Bigmama ed Elle A, potentissima rapper avellinese di cui abbiamo parlato qui, in relazione alla sua esibizione a La Prima Estate.

Ma non ci sarà solamente musica a La Prima Estate, perché tra talk, bruch musicali, mattinate di Yoga, esplorazioni in bicicletta del territorio circostante al Lido e le notti nei locali versiliesi alla fine dei concerti, il festival si presenta come una vera e propria vacanza a 360 gradi, basta solo pensare che durante la notte del 24 si esibiranno i Body Heat, collettivo che combina Dj Set e musica live per una serata tra electro, house e funk-soul.

Tra gli eventi da non perdere, i talk a ingresso gratuito proposti ogni mattina alle 10 presso Santeria Belmare, Via Sergio Bernardini 580, sempre al Lido di Camaiore ovviamente

Segnaliamo il 16 “Mu$icbiz: l’industria musicale ai tempi dello streaming”, con l’AD di Rockol Giampiero Di Carlo. Il giorno successivo il produttore e ingegnere del suono Taketo Gohara parlerà della figura del produttore artistico: dal demo al disco. Il 18 il giornalista e scrittore Fabio De Luca parlerà della mitica estate del 1983 tra i tormentoni dei Righeira. Il 23 Fabio Zaffagnini dedicherà il suo talk a musica e crowdsourcing, mentre il 24 giugno si parlerà di Intelligenza Artificiale, con Alessio Bertallot.

L’ultima mattinata è affidata a Luca De Gennaro, che racconterà “Live, Io c’ero“, la seconda stagione del podcast.

Ogni giorno, alla fine dei Talk è previsto un incontro con gli artisti della giornata.

Info e prevendite: https://laprimaestate.it/

[Immagine dell’articolo – Jamiroquai Live by Robbie Drexhage, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons ]

Kraków Loves Adana – Hiding In My Room, il video d’animazione candidato ai Berlin Music Video Awards 2023

Illustratore, designer e animatore, lo svedese Johannes Helgelin privilegia nei suoi lavori le inchiostrazioni organiche, in controtendenza con il predominio del digitale. Allo stesso tempo cerca una dimensione anti-normativa, spingendo i confini dell’illustrazione oltre la cornice di riferimento. Una parte del suo lavoro, quella dedicata all’animazione, ha preso forma attraverso uno studio specifico, chiamato Hannes&Johannes, progetto che condivide con il connazionale Hannes Elltorp.

L’agenzia, che ha doppia sede a Berlino e Uppsala, allarga i confini e oltre alle animazioni 2D, propone anche elaborazioni 3D e un approccio più contaminato. Al di là dei commercials per brand di alto livello, Hannes e Johannes hanno realizzato alcuni videoclip d’animazione, giocando molto con uno stile cartoonistico che mette insieme l’essenzialità e l’urgenza del fumetto con la grafica underground, da Robert Crumb in su tanto per fissare un punto di riferimento non esclusivo.

Per la dark wave di Kraków Loves Adana, band tedesca costituita da Deniz Çiçek & Robert Heitmann avevano già realizzato il video di Dream House, ispirato alla cultura horror giapponese degli anni 70. Tornano a collaborare per Hiding in My Room, singolo che veicola il nuovo album del duo, intitolato “Ocean Flowers“, pubblicato lo scorso febbraio.

Questa canzone è una ribellione contro la depressione, l’isolamento, la disperazione – ha detto Çiçek – È anche una testimonianza autobiografica, legata al modo in cui sono uscita da una prigione mentale molto oscura. La musica aiuta. La terapia aiuta ancora di più. Sono orgogliosa di quanto tutto questo mi abbia condotta lontano

Deniz Çiçek

Helgelin, che ha diretto il video e l’ha animato insieme a Hannes Elltorp, Jonatan Jönsson & Daniel Nääs precisa che il tema centrale è quello dell’identità: “I prerequisiti per formarne una di successo, e quanto sia importante averne una per potersi avventurare nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta

In questa elegia dell’hikikomori, l’isolamento dal mondo prende forma in una camera da letto occupata da segni e frammenti della cultura audiovisiva tra gli anni ottanta e i novanta. Questa viene affrontata dalla coppia di animatori con uno stile bidimensionale, un’animazione ridotta all’osso e una rilettura retroattiva della pixel art. Nella seconda metà del video, la finestra immaginale aperta dal personaggio principale, esplode in una suggestiva rassegna di icone televisive e cinematografiche, che inanella mecha robots, serie televisive, videoclip storici e l’universo di David Lynch. Questa ipertrofia culturale viene rielaborata attraverso una rimediazione della computer art di quarant’anni fa, riscrivendo la storia dell’immaginario cinetelevisivo come se promanasse dalle vecchie consolle videoludiche.

Affascinante, tenero e inquietante, il video è candidato nella sezione delle migliori animazioni al Berlin Music Video Awards 2023