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Tom Verlaine, il resto è soltanto letteratura (1949-2023)

Nel suo vibrante ricordo di Tom scritto per The New Yorker, Patti Smith descrive le qualità eteree e luciferine del grande musicista americano, con la consueta capacità di scarnificare i costituenti strutturali della frase, fino a rivelarne una luce nascosta. Il personaggio di un cartone animato, con la grazia di un derviscio. La distanza ironica dal mondo e l’improvvisa capacità di trasfigurare la realtà percepita in un prisma.

Nel mistero che alimenta la creazione poetica, Tom Verlaine abita la passione per i simbolisti francesi separando la parola dal suo referente, per assegnarle una connotazione evocativa. Più il suono del senso, più la sillabazione vicina ad un mormorio rispetto alla costruzione narrativa di un racconto melodico. La musica prima di tutto, e le altre intuizioni che Paul Verlaine indica nel metodo de “L’arte poetica”, dove l’esatto si unisce all’incerto.
Nell’intarsio tra voce e chitarra, la seconda segue la stessa gemmazione, proliferando dalla ripetizione, aprendosi verso derive che ci conducono altrove.

Nei suoi lavori solisti, dopo la folgorante e fulminea avventura con i Television, Verlaine sviluppa in forme ancora più estreme il dialogo tra la concisione del punk, già nella prima fase post-mortem, e l’espansione della tessitura sonora che lambisce i numerosi territori della musica freeform.
Ecco perché la geometria delle sue anti-canzoni torce il collo all’eloquenza, per volare libera anche da quella cornice iniziale.

La seconda esperienza con i Television risente maggiormente del lungo percorso solista, dal primo album omonimo del 1979 fino a quello che precede la reunion, The Wonder.

La tensione spirituale di Ayler e Coltrane investe Warm and Cool, prova generale del terzo album a nome Television, liberato totalmente dalla voce e con la band al completo ad eccezione di Richard Lloyd. L’album è un volo notturno dalle ambizioni cinematiche, che limita l’incidenza della realtà sul sogno, a partire dall’artwork, dove l’elettricità di una lampadina a bulbo è l’unica forma visibile in una notte senza uscita.

Quella parentesi strumentale, il cui senso viene rilanciato e capitalizzato con la ristampa Thrill Jockey nel 2005, quasi per stabilire un punto di partenza, un genoma, un nume tutelare per tutta la produzione post-rock veicolata dall’etichetta di Chicago negli anni novanta, rende esplicita l’inadeguatezza del linguaggio descrittivo a cui Verlaine, da sempre, si è opposto con una scrittura che coinvolgeva sullo stesso piano liriche, parola e strumenti.

Words from the front, più dei precedenti Tom Verlaine e Dreamtime, sfrutta l’impiego della ripetizione e del riflesso per risonanza nella scrittura delle liriche. Le frasi, dove ancora sussistono e non vengono contratte nel valore fonetico di una sola parola ripetuta, sono esche per qualcos’altro.
Persino la cornice bellica, utile oggi per gli algoritmi intelligenti che devono vomitare nuove playlist dedicate alle anti-war songs, è disancorata da riferimenti certi e sembra puntare, come tutto l’album, ad una ridefinizione del sentimento amoroso attraverso coordinate libere e spaventose, che conducono alla sovrapposizione tra libertà e solitudine.

Non c’è traccia di ego nel tormentato chitarrismo di Verlaine e basta questo album del 1982, l’anno in cui il metallo pesante impiegava il massimo di testosterone, per descrivere l’isolamento della coscienza rispetto ad una realtà esterna già in fiamme.

La flessione dell’album verso la dilatazione Dub, esplorata in modo più esplicito nel successivo Cover, genera una poetica abissale, dove ogni suono, elemento, parola, loop, sembra un’eco di resistenza umana.

Per la promozione, se si esclude Call Mr. Lee il singolo scelto in occasione della reunion dei Television del 1992, Verlaine si presta per l’unica volta alla diffusione di due videoclip.

Words from the front, la title track e Clear it Away, entrambi diretti da Ed Steinberg, fresco di videomusica con Everybody per Madonna e lanciato verso un futuro che lo porterà fino a Brimful of Asha per i Cornershop, sono attualmente invisibili, ad eccezione del primo, trapelato da una VHS registrata durante una rotation televisiva e messo nuovamente in circolo su YouTube dal canale VHS POETRY, bizzarro aggregatore di recuperi e lacerti video, registrati su nastro magnetico.

Le liriche del brano sono quelle più narrative dell’intero album e in superficie, descrivono le condizioni di un soldato al fronte, immerso in un mondo ostile e incerto sul suo ritorno. Il testo indica chiaramente due date, il 23 Gennaio e il ’17 come speranza di un possibile approdo entro l’anno. Verlaine, alieno a qualsiasi forma di comunicazione promozionale, nel video è un fantasma calato in un ambiente derealizzato, tra un cimitero di automobili, un orizzonte post-industriale e altre tracce di abbandono.
Sullo sfondo lo spettro di una figura femminile, sospesa alla propria danza, un pendolo ossessivo tra la realtà e il rito, il ricordo e l’oblio.

It is a love, not a plan
Remaining close to the matter at hand

Tom Verlaine e altre cose: Approfondimenti

La recensione del concerto dei Television del 17 giugno 2015 a Fiesole
Songs and other things di Tom Verlaine, la recensione
Patti Smith, Horses a Firenze. Un profilo critico.


Sandberg, Webcam pro per il live streaming di qualità: recensione e video test

Il mercato delle Webcam si è ulteriormente ampliato durante gli anni della pandemia come strumento per affrontare l’isolamento, ma soprattutto per adattarsi a nuove condizioni lavorative da remoto, che non erano ancora una consuetudine.

Quale Webcam scegliere per la propria attività lavorativa?

Le Webcam integrate con i notebook, i tablet e talvolta i monitor, non sono di qualità eccelsa, per questo è obbligatorio ricorrere a dispositivi autonomi, in grado di svolgere tutte le funzioni richieste dai software per le Conference call, e la ripresa di un evento live streaming con una qualità più stabile rispetto a quella offerta da uno smartphone.

Tra le caratteristiche fondamentali di una buona webcam: l’alta risoluzione, dal Full HD effettivo al 4K, una frequenza dei fotogrammi che consenta almeno il settaggio a 30fps, visibilità ampia, obiettivo luminoso, correzione automatica della luce e della messa a fuoco, facilità di utilizzo e quindi di interoperabilità con i principali sistemi operativi e in ultima istanza, funzioni “all in one” che integrino microfoni di qualità, così da non dover ricorrere ad un secondo dispositivo per l’audio.

Sandberg ConfCam EPTZ 1080P HD Remote, le caratteristiche principali

Tra i marchi che producono Webcam di qualità, Sandberg è tra quelli migliori per componentistica e funzioni.

Tra la vasta gamma di Webcam prodotte dall’azienda danese, i cui modelli arrivano fino alla risoluzione 4K, abbiamo avuto l’opportunità di testare la ConfCam EPTZ 1080P HD Remote, una full HD effettiva, quindi utilizzabile su computer anche di penultima o terzultima generazione che non richiedano un impiego enorme di risorse, senza rinunciare alla qualità e alla brillantezza dell’alta definizione.

Dobbiamo dire di esser rimasti favorevolmente impressionati dalla qualità costruttiva del prodotto, i cui componenti sono di metallo e altre leghe resistenti e non ricordano neanche lontanamente la fragilità delle plastiche utilizzate sui prodotti di fascia media, tant’è si tratta di un prodotto di un certo peso fisico e non è sempre adatto al fissaggio su monitor molto fini e fragili.
Consigliamo in questo senso un supporto dedicato oppure le soluzioni offerte da Sandberg, tra cui un treppiede non incluso con il prodotto standard.

L’obiettivo, di dimensioni davvero grandi, ha 2 megapixel di risoluzione ottica e si comporta egregiamente anche con una fonte luminosa naturale scarsa, come la luce che proviene da una finestra laterale. In dotazione un telecomando che consente di spostare l’angolo di ripresa, molto wide, a destra, a sinistra in alto e in basso e di attivare uno zoom 3x digitale per raggiungere, per esempio, un primo piano.

Questo aspetto e le caratteristiche audio integrate, grazie a due microfoni on board, rendono il dispositivo Sandberg appetibile per il live streaming dove si debba riprendere più di un interlocutore, per esempio durante una conferenza.

Sandberg fornisce infatti un cavo USB 2.0 di alta qualità per la trasmissione dati e di 5 metri di lunghezza. La lunghezza è tarata sull’effettiva capacità dei microfoni di catturare un suono dignitoso, fino a cinque metri di distanza dal dispositivo.

Sandberg, per sganciare il dispositivo dal computer, fornisce due soluzioni. La prima inclusa nella confezione, è un supporto a muro con materiale di fissaggio (viti e tasselli ad espansine), che consentano di assicurare la Webcam ad una parete. La seconda, l’adozione di un treppiede (non incluso), sempre prodotto da Sandberg e che non abbiamo testato.

Il test di Sandberg ConfCam EPTZ 1080P HD Remote: video unboxing e tutorial

Nel nostro video tutorial, oltre all’unboxing dettagliato del prodotto, abbiamo eseguito un test ad un metro e mezzo di distanza dalla Webcam, per valutarne le qualità video e audio, fissando la Webcam su un piano elevato.

Ricordiamo, che Sandberg non fornisce alcun software, questo perché il dispositivo è totalmente driver free, viene riconosciuto in automatico ed è compatiibile con tutti i software che si servono di un flusso video proveniente da una Webcam.

Nel nostro caso, per testare il prodotto, abbiamo utilizzato ManyCam nella versione light di libero utilizzo.

Sandberg ConfCam EPTZ 1080P HD Remote, tutte le caratteristiche tecniche

ConfCam EPTZ 1080P HD Remote è una Webcam Full HD di grandi dimensioni e con un ampio angolo di ripresa Wide. L’obiettivo, molto grande e luminoso, è con lenti di vetro, ha una risoluzione di 2 Megapixel Full HD 1080p a 30fps e uno zoom digitale 3X attivabile mediante telecomando incluso, che consente anche panoramiche di spostamento rispetto all’angolo di ripresa. L’interfaccia è USB 2.0, con un cavo ad alta qualità di trasmissione dati incluso, della lunghezza di 5 Metri. Il cavo serve anche a “sganciare” il dispositivo da un tradizionale computer e quindi utilizzarlo con un treppiede Sandberg (non incluso) oppure fissato ad una parete con apposito materiale di fissaggio (incluso).
Il sensore è un Sony IMX307 1/2.8″ HD color CMOS, 2.1 Megapixel. La Webcam supporta OSD ed EPTZ, la prima è la tecnologia che consente l’impostazione dei settaggi dell’hardware tramite display, la seconda si riferisce alla capacità della Webcam di orientare e inclinare l’immagine tramite Zoom (Electronic Pan Tilt Zoom), funzioni che la Cam Sandberg consente entrambe attraverso il telecomando in dotazione. Per quanto riguarda OSD, come abbiamo illustrato bene nel video allegato all’articolo, il menu dei settaggi è attivabile scegliendo il pulsante centrale del telecomando e consente di impostare molti parametri, dal bilanciamento del bianco all’autofocus, fino a tutti i valori di intensità, temperatura, saturazione colore e quelli di contrasto e luminosità.

In molti casi, anche con luce naturale scarsa, abbiamo rilevato un’ottima capacità degli automatismi nel settare luce e brillantezza giusta. Le prestazioni sono sorprendenti e definite anche senza un faro luminoso dedicato.
Il telecomando per controllare le funzioni, lavora con due batterie AAA, che non sono incluse nella confezione.
La Webcam di Sandberg include anche due microfoni on board di buona qualità, che restituiscono un suono in presa diretta chiaro e brillante, fino a cinque metri di distanza dal dispositivo.

Sandberg mette in commercio la ConfCam a 256 Euro dal suo store digitale in lingua italiana.
Non è un costo entry level, se si considera il prezzo medio di una Webcam HD venduta dai marchi più diffusi entro le 100 euro, ma è un tipo di prodotto dalle prestazioni molto alte, consigliato per chi voglia ottenere una qualità dell’immagine alta per conferenze, eventi di formazione a distanza gestibili da software come ManyCam e anche per dirette streaming di piccoli eventi come presentazioni dal vivo e live session negli stores, in virtù dell’ampia capacità grandangolare dell’obiettivo e della qualità audio on board.

ELLE, Nights of us. Il videoclip di Riccardo Sarti in anteprima esclusiva

Uscirà a marzo del 2023 per Urtovox Records il secondo album degli ELLE, trio romano attivo dal 2020. Ad anticiparlo, “Nights of us“, secondo singolo veicolato da un videoclip diretto da Riccardo Sarti, uscito a ruota dopo il precedente “Mother“.

Il video racconta una storia d’amore attraverso i gesti, dove il vissuto giornaliero di un uomo e di una donna viene descritto attraverso la recursività delle azioni e dei dettagli legati alla vita quotidiana.

Sarti, artista proteiforme, oltre all’attività come attore, doppiatore e cantante, fa il filmaker dal 2014 e si è dedicato in particolar modo alla forma breve dei videoclip. Per gli ELLE, ha già diretto il precedente Mother, che alterna forme tradizionali della videomusica ad un’attitudine visual, e Sleep, tratto dal primo album della band.

Nights of us, che presentiamo in anteprima esclusiva su indie-eye è un piccolo capolavoro di sintesi. Con un lessico più cinematografico dei precedenti, sembra astrarre tutti i gesti, i dettagli e i movimenti che hanno caratterizzato le nuove onde europee degli anni sessanta, in una reiterazione fisica e tattile dei sommovimenti interiori. Ciò che lo rende diverso dai videoclip correnti, ma assolutamente inserito in quella cornice, è l’attenzione al frammento come grammatica non solo ritmico-narrativa, ma soprattutto poetica.
L’intimità musicale degli ELLE risuona perfettamente con queste immagini così vicine alle mani e agli oggetti, eppure invisibili nell’esperienza quotidiana, perché traducono sul piano visuale l’indicibilità di un sentimento.

Nights Of us, la cui versione audio è uscita lo scorso 27 gennaio, si può ascoltare su questi store digitali, e come abbiamo scritto, insieme a Mother anticipa “Volume II“, il nuovo album degli ELLE in uscita il prossimo marzo con la storica Urtovox Records. Il trio, che cita tra i propri riferimenti Drake, Bon Iver, David Sylvian, Peter Gabriel, Tortoise, Blonde RedHead, è costituito da Miriam Fornari – Voce/synth, Marco Calderano– Batteria/synth e Danilo Ramon Giannini – Voce/synth.

Il video diretto di Nights of Us diretto da Riccardo Sarti, è interpretato dalle mani dello stesso e da quelle di Stefania Paternò.

Gli ELLE su Facebook
Riccardo Sarti su Youtube




Josephine Foster ‘Pendulum’ è il nuovo videoclip

Il palmo aperto di una mano cerca di varcare la soglia del visibile, sfiorando i confini di una sorgente luminosa. Un’immagine che nell’ultimo video di Josephine Foster rimane radicata, per recursività e per le analogie con tracce simili e famigliari di un certo immaginario, da Videodrome a Poltergeist, da Il signore del Male a Exotica.

Il gesto della percezione tattile è iconologia che cerca di superare gli ostacoli bidimensionali dell’immagine per porre un limite tra ciò che è formalmente inquadrabile in una cornice e tutto ciò che rimane fuori campo.

Se c’è una prassi che ci mette costantemente in relazione con ciò che non si può vedere, è quella del filmare, poco importa la qualità, aurorale o meno, dei dispositivi in gioco.

Josephine sceglie la bassa definizione, utilizza dispositivi e formati eterogenei, ma tutti ascrivibili alla portabilità digitale. Non ritaglia i formati, non li aggiusta, seguendo una prassi ormai acquisita del videomaking, ma spingendola verso la dimensione artigianale del costruire senso, trapassando la cornice formale.

Il gesto, così vicino a chi utilizza le mani come bio-tensori per cercare fluidi, sembra allinearsi alla qualità divinatoria del titolo.

Del resto, Domestic Sphere, l’imminente album di Foster che Fire Records pubblicherà il prossimo sette aprile su vinile e CD, viene descritto come una seduta spiritica, le cui energie confluiscono dal field recording inciso nei luoghi dove vive, da quelli dove si reca a suonare, fino al tentativo di restituire una dimensione interiore, con le voci famigliari di chi non c’è più.

Storie dei fantasmi della veglia che si accordano con il proprio spirito e quello del vento, per popolare un radiodramma extrasensoriale in due atti.

Il significato di questa definizione diffusa a mezzo stampa ha già alcuni spunti inscritti nei suoni e nel video di Pendulum.

La sovrimpressione, compresenza di mondi e stati percettivi, è il lessico principale, come se Refractions di Bobby Gentry venisse radicalizzata attraverso il filtro etnomusicale che appartiene alla poetica di Foster, per ottenere astrazioni e asimmetrie polifoniche.

Sovrimpressione di voci, suoni e riflessi aurali della natura, un’eco non indirizzabile, un’altra fuori dai cardini del tempo percepito.

Nel video sono alcune foto del paesaggio osservato di nuovo dai movimenti Ken Burns del software, quella della mano sul limite della dissoluzione formale nella luce, lo sdoppiamento di un secondo paesaggio filmato, Josephine seduta con la chitarra in mano, collocata in verticale come tutto il video, ma sovrimpressa in posizione “corretta”.

E poi, un gufo.

Un gioco casalingo che dialoga tra presenza e assenza, cercando di utilizzare i propri occhi e le proprie mani, per disattendere gli automatismi delle intelligenze artificiali, utilizzando i dispositivi preposti con l’intuizione di un rabdomante. Il gesto, nella sua dolce e disperata ricerca di un superamento, rimane una questione materiale.

Non dovrebbe allora sorprendere la maschera di una grande scimmia appesa ad un segnale destinato ai pescatori della città di Fort Collins, probabilmente nei pressi dell’innevato Sheldon Lake.

Quali popoli e quale tradizione, oltre i confini di un paesaggio tra luce e crepuscolo, si accinge a “documentare” la nostra Josephine?

Robbie Williams al Lucca Summer Festival 2023, unica data italiana

Robbie Williams al Lucca Summer Festival 2023, 28 luglio
Robbie Williams al Lucca Summer Festival 2023, 28 luglio

Robbie Williams festeggia 25 anni di carriera al Lucca Summer Festival, con un grande concerto nella location delle Mura Storiche cittadine, programmato per il prossimo 28 luglio. Si arricchisce il cartellone della manifestazione toscana, che include altri nomi di altissimo rilievo della musica britannica, tra cui Blur e Chemical Brothers.
Come per la band di Albarn/Coxon anche quella di Williams è una data unica, ma anche un ritorno in terra lucchese, dove aveva già suonato per il festival della D’Alessandro & Galli nel 2015 e nel 2017. Dalla location storica di Piazza Napoleone, il nostro passa direttamente al grande spazio delle Mura Storiche che negli anni precedenti ha ospitato artisti come Morricone, Roger Waters, The Rolling Stones.

Fresco di stampa, XXV è il nuovo album della popstar inglese che da il titolo anche al tour europeo. Uscito lo scorso settembre, celebra 25 anni di carriera solista dopo l’esperienza Take That, aggregati in una compilation della Columbia con i suoi maggiori successi, rivisti e corretti con la nuova orchestrazione e gli arrangiamenti della Metropole Orkest, super combo jazz olandese.

Un esempio del nuovo risultato sonoro è la versione di Lost uscita come singolo, veicolata da un video di Alex Southam, regista britannico tra i più talentuosi in circolazione, di cui abbiamo parlato spesso su indie-eye Videoclip.

L’occasione è quella di ascoltare tutti i maggiori successi dell’artista inglese sul grande palco delle Mura Lucchesi, con una formazione notevole. Oltre infatti ad una band di cinque membri che include Gary Nuttall alla chitarra, Guy Chambers alle tastiere, Jeremy Meehan al basso, Tom Longworth alla chitarra ritmica e Karl Brazil alla batteria, ci saranno tre coriste e i tre elementi degli Atlantic Horns ai fiati.

Un assaggio di quello che ci aspetta è il video di Eternity, registrato dal vivo durante una data del tour europeo.

Le prevendite della data di Robbie Williams al Lucca Summer Festival saranno attive dal prossimo 28 gennaio per quanto riguarda le vendite generali attraverso il sito ufficiale www.luccasummerfestival.it oltre ad una presale Radio 101 che sarà attiva due giorni prima, il 26 gennaio, per due giorni dalle ore 10:00 fino alle ore 9:00 di sabato 28 gennaio su www.r101.it

Il nome di Robbie Williams si aggiunge alla lista confermata di artisti per l’edizione 2023 di LSF che comprende tra gli altri anche Blur, The Chemical Brothers, Placebo, Sigur Ros, Simply Red, Norah Jones, One Republic, Kiss, Pat Metheny e Jacob Collier.

Gloam Session #4 – LELAND DID IT, il video live in esclusiva

Quarto numero per le Gloam Session prodotte da Stand Alone Complex e dirette da Antonio Stea con uno staff di creativi eccezionali, dal suono in presa diretta curato da Gianvito Novielli, alle foto promozionali scattate sul set da Anna Squicciarini, fino alla promozione di Giorgio Cuscito.

Dopo i primi quattro numeri, realizzati in esclusiva per Indie-eye, è il turno di LELAND DID IT, con “260“, estratto da “Hotel Moderno“, full lenght della band pugliese, in uscita per Dischi Uappissimi.

260, Gloam session #4 con LELAND DID IT: il video di Antonio Stea

Filmato da Antonio Stea con la consueta sensibilità per i limiti dell’illuminazione e della visibilità, “260” immerge i musicisti nel paesaggio vivente di Polignano a Mare, località dove è possibile sperimentare il confine aspro tra terra e acqua. Sulla rocca, tra la vegetazione e il mare a fare da sfondo, l’immagine assorbe più luce del solito.

Ricordiamo che le Gloam Session sono concepite a partire da un’idea radicale, legata alla presa diretta audio/video senza l’impiego di luci artificiali e sfruttando gli ultimi bagliori del crepuscolo.

Se osservate la qualità degli altri episodi, tesi a valorizzare la musica con un approccio visuale rarissimo nei video live, è proprio la scelta rigorosa della cornice tecnica a garantire una diversità flagrante nei risultati. Non tutta l’esperienza quotidiana del crepuscolo è identica; cambia in base alle condizioni atmosferiche, ma anche rispetto al paesaggio che ne riflette le qualità luminose.

260” brilla fino all’ombra, grazie ad un cielo che riflette la luce del mare. La musica dei LELAND DID IT, un post-folk sospeso tra il drumming di Lee Harris e l’esperienza dei britannici Hood, sembra fatta apposta per il paesaggio. O viceversa.

Il brano – dicono i LELAND DID IT – celebra la sconfitta, la resa. Rievoca il momento in cui è compiuta una scelta amara: quella di farsi da parte per il bene della persona amata. “Fading away” sembra la migliore delle possibilità per un uomo sfuggente, le cui promesse sono state vane, il cui amore è perduto per sempre.

Il ritrarsi che accompagna il sentimento della perdita, quando lo si impara a vivere, è ciò che ogni giorno ci viene suggerito dalla contemplazione del movimento marino sulla spiaggia o dal passaggio intermedio dalla luce all’oscurità che il gioco tra sole e atmosfera ci restituisce quotidianamente per due volte.

GUARDA TUTTE LE GLOAM SESSION DA QUESTA PARTE

Tutte le Gloam Session sono prodotte da Stand Alone Complex e dirette da Antonio Stea. Una serie di video live a cadenza mensile in esclusiva per Indie-eye. Dal cantautorato all’elettronica, gli artisti coinvolti saranno calati nei luoghi dove sono cresciuti, e filmati durante le ultime ore del crepuscolo. Stand Alone Complex è un circuito aperto. Se ti senti vicino o sei incuriosito da quello che il collettivo produce e vorresti partecipare come artista alle Gloam Session, contatta il collettivo alla mail: sacrecordings@gmail.com

Leggi l’articolo completo su: testo copiato da https://www.indie-eye.it/recensore/gloam-session-video-live-al-crepuscolo.html

LELAND DID IT sono in attività dal 2014, hanno prodotto e distribuito un EP “Cake_Tales” (2014), e un LP “TEMPO” (Piccola Bottega Popolare – 2016), oltre a numerosi remix e collaborazioni. Dopo due tour italiani promozionali (2015 e 2016), la band è selezionata al festival Linecheck di Milano fra i 4 progetti emergenti del 2016.

Al tour europeo (Francia, Austria, Germania, Svizzera) del 2017, e al tour italiano del 2018 segue un momento di pausa, in cui avviene un cambio di formazione. Da 5, gli elementi passano a 4, sperimentano un sound differente, entrano nel roster di Dischi Uappissimi e avviano le registrazioni del nuovo album.

GLOAM SESSION, tutti i link

LELAND DID IT in rete
Antonio Stea in rete
Gianvito Novielli in rete
Anna Squicciarini in rete
Dischi Uappissimi in rete
Stand Alone Complex Recordings in rete

The Chemical Brothers al Lucca Summer Festival 2023: i videoclip più belli

Ed Simons e Tom Rowlands arricchiscono il già portentoso calendario del Lucca Summer Festival; The Chemical Brothers saliranno sul palco di Piazza Napoleone il prossimo 23 luglio per scatenare le danze al suono del loro crossover tra techno, dance e breakbeat allucinati tra elettronica e rock psichedelico.

Ad accompagnarli sul palco, la premiata ditta Smith & Lyall, che tra video musicali ed arte visual, caratterizzano tutto l’apparato visivo dei loro live, trasformandoli in un’esperienza immersiva.

Solo otto mesi fa, il duo festeggiava il 25ennio di Dig Your Own Hole, il secondo acclamatissimo album che li consacrò globalmente tra pubblico e stampa e che conteneva classici come Block Rockin’ Beats, Elektrobank e Setting Sun.

Per una breve preview di quello che ci aspetta il 23 luglio, agevoliamo una versione live di MAH, brano tratto dal nono e a tutt’oggi ultimo album in studio del duo intitolato No Geography. I visual sono quelli di Adam Smith e Marcus Lyall

Le prevendite per il concerto dei The Chemical Brothers al Lucca Summer Festival 2023 sono cominciate lo scorso 21 luglio presso i circuiti Ticketone e le fasce di prezzo variano dalle 51,75 euro per i posti in piedi, passando per il pit a 74 euro, la tribuna numerata a 92 euro e il settore statua gold a 103,50 euro.

Anche se è presto per prevedere la setlist del concerto, quelli attualmente in corso includono una carrellata esaustiva della loro carriera discografica, dagli esordi fino a The Darkness that you fear, nuovo singolo pubblicato a tre anni di distanza dall’ultimo full lenght del 2019.

In attesa dell’evento lucchese, ricostruiamo una storia visuale dei The Chemical Brothers attraverso i loro videoclip più belli.

Cominciamo con la lunga collaborazione che i nostri hanno imbastito con Dom & Nic, creativi dal grande talento che hanno segnato lo sviluppo della videomusica per svariati decenni insieme al producer John Madsen.

La visione delle emergenti nuove tecnologie, lo sdoppiamento mente corpo, nuove capacità aumentate direttamente dal dancefloor. Setting Sun, uno dei video storici di Dom & Nic per The Chemical Brothers

La sinestesia psicotropa di Dom & Nic per The Chemical Brothers: lo storico videoclip di Block Rockin’ Beats

Forse il capolavoro di Dom & Nic per The Chemical Brothers: il video di Hey boy, hey girl

The Test, il video più esplicitamente astratto e allo stesso tempo narrativo tra quelli realizzati da Dom & Nic per The Chemical Brothers

Il video di Believe per The Chemical Brothers diretto da Dom & Nic

The salmon dance: il video ufficiale di Dom & Nic per The Chemical Brothers

Il goblin di Midnight Madness, ideato da Dom & Nic per The Chemical Brothers

Dom & Nic tornano a collaborare con The Chemical Brothers dopo otto anni di assenza nella produzione di videoclip. Il precedente video, Midnight Madness, era l’ultimo di una lunga collaborazione cominciata con il duo inglese nel lontano 1996. Wide Open è video interpretato dall’attrice ballerina Sonoya Mizuno e uscito nel giugno 2016.

In un mondo governato da cani, meglio che i Cani provino a governare il mondo. Tra tenerezza e divertimento videoludico, il video dei Chemical Brothers diretto dal talentuoso regista scozzese, Ninian Doff: We’ve got to try

Borderless, l’imbarazzante corto “gay” sull’amore tra un ucraino e una recluta russa

É necessaria una premessa. Abbiamo scelto di pubblicare sul portale videoclip di Indie-eye la recensione di Borderless, il lavoro diretto da Nicolas Morganti Patrignani su sceneggiatura e musica dell’artista messinese Rosario Gorgoni, perché le scelte estetiche e narrative lo avvicinano maggiormente ad una long form invece che ad un cortometraggio.

Il lessico è quello del video musicale senza particolari sconfinamenti rispetto a certe semplificazioni narrative del genere. L’approccio è infatti diametralmente opposto a lavori come Umshimi Wan, che supera i quindici minuti di durata, rimanendo a cavallo tra cinema, documentario e videoclip.

La musica extradiegetica di Gorgoni è quindi in primo piano per undici minuti ed è su quella che vengono modellate le immagini senza altre interferenze, la cui drammatizzazione subisce un’amplificazione per ridondanza con una strategia desunta dall’advertising.

Quella che i realizzatori definiscono quindi come un’opera ibrida, non lo è affatto, se non nei modi in cui il videoclip dell’era catodica, nel passaggio dai promo allo sviluppo di un’industria modellata sulle televisioni tematiche, imboccava una strada narrativa e tradizionale, elaborando un mondo cinematografico ridotto in scala che sembrava tornare indietro, prima dell’invenzione del sonoro.

Qualsiasi musica, tranne rare eccezioni, avrebbe potuto funzionare su certi piccoli filmetti.
Smalltown Boy dei Bronsky Beat ci sembra l’esempio più calzante, per chiarire i termini, anche se il video diretto da Bernard Rose, storiellina a parte, conteneva già il germe della ripetizione e della manipolazione dell’immagine in un’ottica ritmica e visual, senza attivare ardite sinestesie.

Non è questo il caso di Borderless, che sarebbe potuto durare anche due minuti e mezzo, senza cambiare scelte, modalità produttive, linguaggio e occasioni distributive, a quanto pare legate quasi esclusivamente alla diffusione virale. Ciò che quindi potrebbe collocarlo nella cornice dei cortometraggi è solo in virtù degli undici minuti di durata.

Ovviamente non siamo d’accordo.

Per il team della REA Film c’era quindi la necessità di avere più spazio per raccontare una storia con il linguaggio di molti altri videoclip fotoromanzati, contraendo spazio e tempo secondo principi narrativi lungamente e largamente frequentati. E francamente non se ne capisce il motivo, né la necessità.

La costruzione è a tesi: l’amore apparentemente perfetto tra due uomini, come l’ha definito lo stesso Morganti Patrignani in un’intervista per Varese News, viene minato dalle conseguenze della guerra in Ucraina.

Sempre per il regista, il ragazzo ucraino e la recluta russa protagonisti del video, sono vittime del contesto al quale si oppongono con forza per manifestare il diritto di amarsi in una condizione normale, mentre la guerra stessa assumerebbe un valore simbolico come immagine di tutti i pregiudizi e gli ostacoli che ogni giorno delegittimano questo stesso diritto.

Come elefanti in una cristalleria, gli autori di Borderless entrano a gamba tesa in un teatro di guerra caldissimo, rivendicando una supposta levità estetica che in realtà taglia fuori l’esperienza con modalità brutali.

Ad eccezione dei primi 30 secondi dove una serie di immagini con funzione iterativa sintetizzano l’inizio dell’aggressione russa in territorio ucraino del 24 febbraio scorso, i rumori della guerra vengono cancellati per favorire la visione neoromantica scaturita dalla musica per piano scritta da Gorgoni.

L’Ucraina, grande assente materiale del video diventa allora un pretesto. Gli attori, tutti italiani, si muovono tra Roma e Rieti, e l’intensità che passa attraverso la loro esperienza è mediata dall’immaginazione.

Eppure, anche se volessimo scomodare continuamente Xavier De Maistre, tornato di gran moda durante i giorni della quarantena di Stato, i viaggi intorno alla propria camera possono diventare pericolose approssimazioni se non sono guidati da strumenti culturali adeguati.

Ciò che manca a Borderless è proprio l’esperienza traumatica del confine, anche quello che non può essere superato nella Russia di Putin, dove le restrizioni dei diritti LGBITQ+ sono state confermate e rafforzate dalla Duma l’ottobre scorso; una vera e propria dichiarazione di guerra contro ogni modello libertario immaginabile.

Ciò che allora sorprende negativamente nel video di Patrignani / Gorgoni, è il rimario di una storia romantica qualsiasi, raccontata quasi esclusivamente per close-up, dettagli e primi piani, cioè vicinissima ai corpi e lontana dai luoghi.

Paradossalmente, impostata una distanza incolmabile con la Storia, rivendica a gran voce e in modo pretestuoso una collocazione precisa e definita.
Se non fosse per le didascalie, per i 30 secondi introduttivi e per alcune rimediazioni televisive utilizzate in forma esplicativa, come nello stucchevole passaggio che ci conduce al confine moldavo, nessuna di quelle immagini sarebbe indirizzabile all’esperienza traumatica di una terra stuprata come l’Ucraina di oggi.

Invece di innescare uno sguardo universale, Borderless è allora un lavoro monco che ha bisogno di un surplus di comunicazione per viaggiare sul binario dell’attualità bellica.

Lo conferma l’enorme battage a mezzo stampa e il tentativo di agganciare chiavi di ricerca spendibili, tra cui “gay short film”.

La tematica omoerotica in particolare sembra affrontata con la stessa naïveté con cui si introduce a forza quello sfondo Ucraino visualmente rimosso.

L’Ucraina e la Russia non ci sono nel video della Rea Film, ma si pretenderebbe che l’assimilazione simbolica dei due amanti ne facesse le veci.

Ci chiediamo in che modo, se il cammino dei diritti LGBITQ+ in terra russa è storia di violenta repressione, culminata con l’allucinante reprimenda del Patriarca Kirill, dove l’equiparazione tra occidente e grandi parate Gay, ha alimentato una delle giustificazioni della chiesa Ortodossa per benedire il massacro in corso.

E dove sono le tracce del percorso ucraino che ha portato durante questi mesi alla petizione per spingere verso il disegno di legge sul matrimonio egualitario, cercando di colmare un vuoto legislativo che nel contesto bellico ha moltiplicato i pericoli per la comunità LGBITQ+?

Senza pretendere da un prodotto del genere un approfondimento capillare, crediamo che ricorrere a forme narrative simboliche liberate da tutti gli ostacoli del reale, sposti intenzioni e risultati in una dimensione idealistico-spiritualista molto vicina alle astrazioni del pacifismo coevo.

Ci viene in mente a questo proposito il bel video del britannico Greg Davenport diretto per i Frightned Rabbit nel 2016 e interamente girato a Kyiv. In Get out, l’amore tra due donne si esprime attraverso l’unione e la collisione danzante dei corpi, come in Borderless. Ma a differenza del video della Rea Film, Davenport li immerge in modo vivo al centro del patrimonio architettonico della città, contrapponendo un punto di rottura alla fissità monumentale dello spazio immaginato dall’ideologia sovietica.

In Get Out quindi si mette in gioco una relazione tra corpi e ambiente, facendo reagire la dimensione simbolica con quella di una viva esperienza urbana, incluse le stratificazioni storiche che questa incorpora. In Borderless si cancella l’Ucraina, si elimina il desolante paesaggio di rovine plasmato dalla violenza russa, si fa finta che Roma e Rieti siano la stessa cosa e si cuce addosso alle immagini dei corpi un significato intercambiabile.

Sfortunatamente non si tratta di un Western girato in Almerìa per ragioni economiche e con le migliori idee dell’ingegno italico che fu, questo perché le sofferenze del popolo ucraino non sono intercambiabili, né si può raccontare un’ipotetica storia di diserzione russa in questo modo, collocandola nel solco di una romanticizzazione che di romantico non ha niente. Se per romantico ci rifacciamo alla definizione di Novalis come sguardo qualitativo sul mondo, dobbiamo ricordare che questo include l’idea di senso, indissolubile da quella di responsabilità.

E se Denys riceve gli anelli dei genitori presumibilmente morti nella penombra della sua casa di Kharkiv nel maggio 2022, poco prima di riattivare una dimensione della memoria amorosa proprio in uno spazio contiguo, grazie ad un’ellissi temporale tanto superficiale quanto rischiosa, gioverà ricordare che quel calendario per la città e la regione Ucraina indica un mese tragico, dove tra varie atrocità, la Casa della Cultura di Dergachiv, sede del centro umanitario, veniva rasa al suolo dall’artiglieria russa.

Fa quindi un certo effetto questo uso delle indicazioni di tempo che scandiscono la vicenda, perché sembrano provenire da un mondo parallelo dove le date non hanno alcuna relazione con la Storia, proprio quella sulla quale gli autori del video vorrebbero appoggiarsi.

Alla base, la promozione della neonata Rea Film, società di servizi audiovisivi che si colloca in vari ambiti, dall’advertising alla comunicazione video, fino al noleggio di attrezzature per la produzione. E non manca niente da questo punto di vista, neanche il product placement per il brand di una nota serie di pianoforti a coda, uno dei quali viene suonato da Gorgoni alla fine del video, epicamente collocato su un ampio terrazzo con vista urbana, durante le fasi del crepuscolo.
Da quel punto di vista privilegiato, che ci riconduce alla centralità del performer nei videoclip tradizionali, chissà se si poteva immaginare meglio la sofferenza di un popolo.

Perché alla fine, Borderless probabilmente rispetta la mission della Rea Film: realizzare numerosi prodotti “in stile” cinematografico. L’impostazione, comune a numerose case di produzione cresciute come funghi negli ultimi quindici anni, per evidenti ragioni alimentari assimila le forme della comunicazione integrata tra web e audiovisivo e mette in un solo calderone, sapientemente o meno, l’advertising, la promozione virale e il linguaggio cinematografico.

Non è quindi peregrino associare il risultato di Borderless alle strategie di product placement, non solo per il noto pianoforte di cui parlavamo, ma anche per le modalità con cui alcuni ingredienti del video, vengono combinati con la stilizzazione necessaria per veicolare un prodotto dell’ingegno che ambisce ad una diffusione virale, sfruttando keywords più o meno appetibili.

Ciò che stride non sono quindi le scelte estetiche e il linguaggio utilizzato, che soggettivamente non ci interessano né ci piacciono, ma il contesto politico internazionale su cui fanno leva, con una semplificazione talmente imbarazzante da diventare offensiva.

Per chi vuole, Borderless si vede da questa parte.

Nemahsis – Criminal: il video di Tom Andrew & Sam Davis

Sam Davis & Tom Andrew sono due artisti formidabili. Tom Andrew in particolare lavora sfruttando la tecnologia motion capture, affrontata con una metodologia “al volo”, durante la lavorazione dei suoi video e conferendogli un aspetto spesso selvaggio e lo-fi. Nei lavori condivisi con Sam Davis, che si occupa della parte 3D, il lavoro in post è ridotto al minimo, basta guardare Under the tallest arch, clip diretta per Daniel Avery, dove una performer indossa un vestito MO della Neuron mentre la piattaforma software Notch, uno strumento per performance grafiche in real time, proietta effetti particellari sulla performer stessa. Ma è lo stesso vestito della Neuron e quindi i movimenti della performer a muovere le proiezioni.

Questo approccio empirico e performativo torna nel bellissimo video realizzato per Nemahsis.

In Criminal l’artista palestinese stanziata in Canada è sotto sorveglianza e frammentata da una serie di dispositivi video che segmentano la sua identità fisica. Le videocamere a circuito chiuso intrappolano tutti i suoi movimenti. Con il set design di Ash Halliburton a fare la differenza, è un video che utilizza una tecnologia diversa rispetto agli altri lavori della coppia, ma che giunge allo stesso risultato.
Lo spazio performativo dei videoclip torna al centro, ma assegnando di volta in volta al performer stesso un margine creativo amplissimo nella sinergia fisica tra corpo, movimento e produzione di elementi visuali. In questo caso non è la tecnologia MO che fa da tramite tra il corpo, lo spazio e l’arena dell’immagine video, ma la frammentazione generata dall’occhio di sorveglianza e il cambio continuo di vestiti da parte di Nemah Hasan, vero nome di Nemahsis, elemento centrale del suo discorso artistico e politico.

La sua è una visione controversa e complessa e riguarda la possibilità di rafforzare l’identità culturale e femminile attraverso l’ostensione dell’hijab; aspetto che ha caratterizzato il suo successo sui social e su piattaforme come tiktok prima di intraprendere la carriera come musicista.

Il video dei due creativi, ridefinisce lo spazio della videomusica per come ci ostiniamo a ricordarla, rimettendo al centro il performer, ma allo stesso tempo lasciando ampio margine affinché possa creare la propria posizione e la propria immagine durante la sessione performativa. Se in questo caso l’ottimo montaggio di Steve Shaw, sembra ricombinare l’occhio, la centralità di Nemahsis è in grado di moltiplicare il proprio potenziale, sfruttando la frammentazione dei dispositivi.

1789 – Alderaan: il video di Domenico Migliaccio e Gianluca Danaro

Ultimi di una lunga catena di dispositivi che sanciscono la separazione tra persona e media, i Droni incorporano questa logica nell’industria bellica e in quella dell’intrattenimento. Aspetti come la sorveglianza, l’annichilimento di obiettivi civili come nel recente caso dei modelli iraniani utilizzati per colpire l’Ucraina e le possibilità che queste stesse funzioni siano spendibili per l’entertainment, connette in modo inevitabile militarizzazione e cinematizzazione della realtà. Guardare da distanze prima impossibili, con un “eye in the sky” che mima l’occhio onnisciente di un Dio. L’occhio che consente di combattere da lontano è al centro di un film di Andrew Niccol non perfettamente riuscito, ma che si interroga sull’atto di uccidere depotenziato dall’assenza di intensità.

Un’assenza che attraversa l’uso estensivo dei Droni nell’ambito dell’advertising, dei video per il turismo, dei servizi giornalistici.

Domenico Migliaccio e Gianluca Danaro, in arte 1789, si sono serviti del supporto tecnico di Fabio Forcellino, operatore Drone, per concepire il video di Alderaan, da loro scritto e diretto. Dal campo medio di Giorgia Insarauto, attrice, seduta sul pontile di un lago, il drone si allontana fino a perderla come parte ormai invisibile del paesaggio. Il tutto con un piano sequenza che non ha alcuna interruzione di montaggio fino al minuto 2:21, quando si comincia a giocare con le prospettive, con gli effetti di aberrazione rgb e altre trovate in funzione “glitch”, cioè per determinare artificialmente il difetto e l’imprevisto, entro un movimento che non ne prevede.

I precedenti Eva-02 e Loot, erano costruiti sugli stessi principi, incluse le liriche che occupano la sezione centrale dello schermo e il ricorso al difetto ricombinato in post.

Oltre ad innescare una riflessione sul nostro ruolo rispetto ai dispositivi che disincarnano la ripresa, c’è una chiara intenzione visuale, nella ricerca di analogie grafiche capaci di assegnare identità al progetto complessivo.