Gli ultimi tre video di björk pubblicati per promuovere Fossora, testimoniano un processo di mutazione che interiorizza il rapporto tra natura, tecnologia e presenza umana che da sempre contraddistingue l’approccio sensoriale dell’artista islandese. In particolare, l’ipotesi delll’apocalisse climatica sembra spingere verso un’implosione di tutti gli elementi che costituiscono il paesaggio geologico e la vita biologica. Il corpo stesso di björk assume e innesta forme mutanti, condividendo escrescenze minerali e vegetali, come se fossero metastasi tumorali in atto. Non è un approccio nuovo per björk, soprattutto in termini visuali, ma qui sembra giunto ad una fase estrema, dove il corpo della stessa performer diventa spazio di un limite alieno. Dei tre, Ancestress è quello più tradizionale, dove gli interventi digitali sono ridotti al minimo, mentre costumi e make up diventano gli agenti principali della trasformazione, insieme ad un rituale funebre dedicato alla madre, morta nel 2018. In mezzo al paesaggio si cerca una comunione con gli elementi grazie alle connessioni tra vita e morte, nel superamento costante di un limite che ritrova rinnovata spiritualità nel ciclo naturale della vita. Lo spazio aperto, rispetto alle cattedrali delle religioni organizzate diventa il luogo del passaggio estremo, l’unico in grado di accogliere il percorso dello spirito.
björk, sacerdotessa di un nuovo culto pagano, si muove tra le rocce e le distese, distillando liquidi e linfa da una terra che geme tra le doglie del parto e quelle della distruzione, per rifondare una nuova chiesa matrilineare.
Jesse May Fisher è un’artista che ha messo al centro il corpo femminile come luogo di indagine, polarizzandosi tra trauma e seduzione, nel tentativo di superare limiti e confini delle cornici più consuete. Moda, fotografia e videoclip sono i campi dove ha applicato la sua ricerca, realizzando lavori per artisti come Luke Sital Singh, The Twilight Sad, Frightened Rabbit. In tutti i casi, identità femminili sul bordo dell’abuso, dell’alienazione e del riscatto, caratterizzano ritratti che vanno oltre l’occorrenza promozionale della videomusica. Il nuovo video realizzato per Etta Marcus, penetra la psiche dell’interprete e cerca di trasformarla in un’esperienza fisica attraverso l’uso del colore che esalta le componenti nere dell’immagine, fino ad utilizzare un gioco visual attraverso l’inchiostrazione dell’acqua. Più del precedente Crown, ancora legato all’estetica dei fashion movie, la Fisher parte sempre dai capelli di Etta per costruire un vero e proprio videoritratto che sovrappone la staticità del set al dinamismo interiore animato da suggestioni optical, fino ad avvicinarsi nella parte conclusiva del video alla forma psicoattiva dove luce e buio si alternano.
Sceglie uno scenario esplicitamente queer Floria Sigismondi nel suo ritorno ai video musicali. Unholy, realizzato per Sam Smith si ambienta nel sottobosco londinese dove The Body Shop, teatro di bizzarrie fluide, serve da catalizzatore per plasmare un vero e proprio quarto stato LGBTQ+ dove confluiscono i cameos di Violet Chachki, RuPaul, Gottmik, la porno star Paddy O’Brian. L’infedeltà di un marito modello viene messa a nudo pubblicamente all’interno del sex club, ma è un’occasione per liberare la moglie dal giogo dei tradimenti e della sessualità normativa subita.
C’è tutta la formazione personale e famigliare della Sigismondi, tra avanguardia e teatro, e non sarà difficile rintracciare un marchio di fabbrica che si è consolidato durante le sue collaborazioni con Bowie. Rihanna, Justin Timberlake e altri artisti. La clip, molto “staged”, è stata coreografata dal collettivo francese La(Horde), il cui contributo è tangibile nello sviluppo di una dimensione visiva orgiastica e legata a quella combinazione tra teatro e arte di strada.
La fotografia di Claude Cahun come riferimento principale e altre incursioni surrealiste, consentono al video di stare dentro e fuori dalla ricostruzione d’epoca, con un avvitamento equitemporale che ricorda le contaminazioni nel cinema di Baz Luhrmann. Al centro una celebrazione del corpo come luogo di transito possibile, dove l’apparente “disastro” coniugale, diventa occasione di gioco e di gioia.
Realizzato con il contributo di Lisa Jarvis per quanto riguarda i costumi, il video è una sarabanda opulenta, dove il Crazy Horse e il kitsch contemporaneo si incontrano
Un cantautore e un videomaker si incontrano per le strade d’Europa e tracciano una mappa ideale del continente con un format registrato dal vivo, mentre esplorano i luoghi delle città ospitanti. Longitude & Latitude Session nasce in questo modo, come sinergia creativa tra Riccardo Ranzani, conosciuto con il nome d’arte Strawman, e il regista Stefano Canavese, già attivo nel circuito festivaliero come autore di cortometraggi e documentari. Ranzani lascia per un attimo il progetto apolide dublinese Strawman & The Jackdaws e dedica le sue energie allo spirito selvaggio e immediato del busking, documentato come un vero e proprio diario di viaggio.
Scelgono il piano-sequenza come scansione temporale, ispirandosi lateralmente ai video di Vincent Moon diretti per il seminale La Blogoteque, e incorporando la presenza vitale di altri artisti, incontrati nei luoghi dove hanno viaggiato.
I primi due video post prodotti sono stati registrati a Cannes e a Genova, il primo è un omaggio alla musica di The Swell Season, un vecchio progetto di Glen Hansard allora condiviso con Marketa Irglova e che Indie-eye presentò in esclusiva nell’agosto del 2006 con un podcast realizzato in collaborazione con lo stesso Hansard. Il secondo rielabora in versione ancora più minimale un classico di Fabrizio De André come Fiume Sand Creek. Entrambi sono filmati in movimento per le strade della città e ospitano il contributo della cantante e polistrumentista mongola Celine.
Tecnicamente, come ci ha raccontato Riccardo, si è cercato di non rompere la magia dell’istante, microfonando gli strumenti con piccoli lavalier e scegliendo un taglio cinematografico per aspect ratio, frequenza dei fotogrammi e approccio documentale.
Longitude e Latitude Session ep #2
“Quello che cerchiamo di fare – ci ha detto Riccardo – è unire le idee di un regista, che si basano sulle scelte delle location, movimenti camera e color grading, con quelle di un songwriter, legate agli arrangiamenti, le scelte musicali e l’interpretazione dei brani“
Se questo sia un punto d’incontro tra Cinema e musica è difficile dirlo, certamente il tempo dell’immagine allontana la fruizione del repertorio dal rimario e dai tempi del videoclip, per renderlo più aderente all’esperienza stessa della flânerie.
Perdersi quindi nel tessuto cittadino, anche se i due creativi forniscono le coordinate dei luoghi nei titoli di testa dei video, come indicazione indirizzata alla curiosità di chi guarda.
I prossimi luoghi esplorati che prenderanno vita nelle session, includono esplorazioni finlandesi, svedesi, francesi, monegasche, tedesche, austriache e italiane.
Durante il risveglio della musica dal vivo dal lungo incubo dei lockdown, Longitude & Latitude Session è un semplice e bell’invito al viaggio.
Derya Yıldırım & Grup Şimşek sono una delle sorprese più interessanti nella generale rinascita dell’Anadolu pop degli ultimi anni. Ne abbiamo parlato approfonditamente da questa parte su indie-eye, cercando alcune connessioni possibili con la storia del pop turcofono. Stanziati a Berlino, cercano una definizione originale di quel metissage che dal 1960 fino al colpo di stato del 1980, ha caratterizzato un’esperienza già molto contaminata come quella del rock turco, vissuto tra forme della psichedelia occidentale e la rilettura di una lunga tradizione folk trasmessa oralmente. Il Baglama è al centro anche del suono di Derya Yildirim, ma viene spesso condotto in altre dimensioni sonore, che aggiornano il lessico strumentale e armonico di una tradizione rock, comunque sedimentata.
La nuova ballad si intitola GÜMÜŞ e dopo Bal, è il secondo singolo che anticipa la pubblicazione di Dost 2, nuovo album della band, previsto sulla svizzera Bongo Joe per il prossimo 11 novembre. Insieme, un videoclip con la direzione della fotografia di Sarah Balounaïck, attivissima nel cinema documentario e non accreditata in modo esplicito come regista nella descrizione del video.
Il concept, è una visionaria rilettura di alcune suggestioni mitologiche, con un riferimento che ci è sembrato esplicitamente desunto dal mito di Ermafrodito. Quello che allora sembra ad una prima visione un rituale di passaggio dalla vita alla morte, è in realtà una trasformazione identitaria che stride moltissimo con le ultime, feroci dichiarazioni di Erdogan sui diritti LGBTIQ+
Derya assume la posizione del narratore, con una sovrimpressione filmata da Cécile Embleton. Il risultato è più vicino al cinema delle avanguardie che alla videomusica coeva, nell’attenzione per i dettagli, nella forma incorporea della luce e in quella fusione tra figura umana e natura, una costante nei video del combo apolide turco.
La prima compilation Grape Fruit dedicata all’esplosione del pop britannico di cinquant’anni fa, Cherry Red l’ha pubblicata nel 2020. Era un vastissimo compendio di musica pop dei primi anni settanta che chiariva la linea di una contaminazione feconda, quella tra le sonorità più glam dell’hard rock coevo, con il pop melodico del decennio precedente. Musica dalla vocazione radiofonica, emerge spesso nello spazio circoscritto del singolo, documentando un’ipertrofia che non sempre centra l’obiettivo in termini di ricezione e successo. Ecco perché il lavoro enciclopedico fatto da Cherry Red mette insieme una selezione magmatica e altrimenti inaccessibile di brani dimenticati, artisti bruciati nell’arco di un paio di brani, prodotti creati dall’industria della comunicazione, pseudonimi che nascondono lo stesso team creativo, per raggiungere gli spazi radiofonici disponibili.
Bubblerock is here to Stay, VOL 2 – Video Unboxing e pre-ascolto
Un percorso che continua nel Volume due di questa amplissima ricognizione, con altri 79 brani distribuiti su 3CD, dove le bizzarrie si sprecano, dal glam al vaudeville, dal pop psichedelico alle incursioni fuzz. Una storia difficilmente sintetizzabile e fortemente disorganica nella sua episodicità. Viene in aiuto il curatissimo booklet che accompagna i CD, un sostegno storico di 47 pagine illustrate, dove ciascuno dei quasi ottanta brani della compilation, viene trattato dettagliatamente.
Si parte con “Shake A Tail Suzy” di Barry Green, lanciato come idolo glam-pop con “Dancin’ (On a satuday night)“, brano scritto insieme a Linsey de Paul e pubblicato dietro il moniker di Barry Blue. Il brano nella raccolta è un raro singolo pubblicato in formato flexi e distribuito come disco promozionale per pubblicizzare le motociclette della Suzuki. La già citata Linsey De Paul è presente con “sugar me“, anche questa scritta insieme a Green. Il brano si piazzò nella top five britannica ed ebbe un successo anche maggiore in altri paesi europei. Altro collezionista di hits è Jonathan King, di cui viene selezionata “It’s a tall Order for a Short Guy“, brano che veicolava l’album Pandora’s Box. Tra gli esempi di formazioni nate come esperimenti da studio, The Brotherhood of Man, combo messo insieme dal produttore Tony Hiller e costituito da cinque animali da session dalla grande esperienza. Debuttano nel 1969 e l’anno successivo conquistano la top ten con “United We stand“, il brano presente nella compilation, ricco di armonizzazioni e un incedere orchestrale tipico del pop anni settanta.
Sul solco di Mamas and The Papas, The Beach Boys e The Association, 22nd Street sono uno dei progetti che non decollano e che caratterizzano molte delle rarità presenti in questa capillare e peculiare raccolta. “Sunny Sleep late” è il loro singolo di debutto, una cover dal primo album degli Sweet che non riesce a piazzarsi e che prelude ad un precoce scioglimento.
Non mancano numerose starlette della terra d’Albione, tra cui la caldissima Coldagh Rogers, di origini irlandesi, con le gambe assicurate per un milione di sterline e precocissima nell’industria discografica, grazie alla tutela del produttore Shel Talmy, che la lancia nel firmamento radiofonico sin dalla tenera età di quindici anni. “Everybody go home, the party’s over” è un lussurioso brano pop di matrice orchestrale, che in parte ricorda le incursioni meno soul di Dusty Springfield, e che non ebbe successo come altri singoli dell’artista irlandese. Dal nostro punto di vista è una delle numerose perle da riscoprire che il cofanetto contiene.
Tornano anche gli Hotlegs; presenti anche nella compilation precedente, sono uno degli pseudonimi dei più noti 10CC di Kevin Godley e Lol Creme, che con “Lady Sadie” ripropongono l’hard rock muscolare e demenziale che li aveva resi famosi con Neanderthal Man, hit da prima posizione anche nel belpaese.
Tra oscurità e fulgore, Bubblerock è un must have per chi vuole approfondire un periodo furibondo e compulsivo nella produzione discografica britannica degli anni settanta, ma anche una raccolta di gemme pop da riscoprire, tra genio e sregolatezza Kitsch
Leslei Kong, leggendario produttore cino-giamaicano, è al centro di questa raccolta proposta in un set da 2CD da Cherry Red Records. Tutta la storia della Beverley’s Records tra il 1966 al 1968 con alcuni artisti seminali per quanto riguarda il suono rocksteady e reggae. La label ha privilegiato nomi più oscuri lasciando fuori le grandi hit di un produttore troppo spesso stigmatizzato dai puristi del reggae come un personaggio attaccato fortemente al profitto.
Passano in rassegna nel primo CD nomi come The Rio Grandes, Freddie McKay, The Spanishtonians, Eric Morris, Glen Adams, il mitico George Dekker, The Mellotones e molti altri. Il secondo CD è invece dedicato all’arte di un sassofonista fondamentale per questi suoni, ovvero Roland Alphonso, che nella seconda metà dei sessanta inciderà moltissimi brani strumentali dietro la sigla “Dream Land“, tutti confinati come b-sides di 45rpm e attualmente irreperibili.
Cherry Red ne mette insieme ben 22, incluso materiale mai pubblicato, inediti e assolute rarità.
Nel nostro video unboxing, un pre-ascolto di alcune tracce di “In a Rocking Mood”
Il marchigiano Loris Cericola è un artista proteiforme che si muove tra musica, sperimentazione e arte visuale. Ossessionato dai formati a bassa definizione, incorporati nel vortice semantico del ri-utilizzo, cerca in realtà di rintracciare energie sepolte all’interno dei frammenti recuperati. Lo spirito è quello del rabdomante, nel tentativo di far emergere ciò che l’occhio e l’orecchio non hanno né visto né percepito. Oltre al lavoro che ruota intorno ai suoi progetti sonori, uno per tutti il notevole Metaphysical Graffiti, è regista di videoclip non convenzionali, sospesi tra visuals e found footage vitalissimo, condotto sul solco di altri autori come Stefano P. Testa e Antonio Stea, che mettono al centro cassette e videocassette nel loro lavoro di scavo visuale.
Per Little Pieces of Marmelade, il duo di Filottrano reduce dall’edizione 2021 di X-Factor, realizza il video di Canzone 10 su nastro, non rinunciando al suo mondo concettuale, dove l’apparato è quello che richiama l’utilizzo dei sistemi VHS, del video feedback su schermi RCT e della conseguente randomizzazione del cortocircuito visuale. Tutti elementi presenti nel video di Canzone 10, dove i Little Pieces of Marmelade vengono calati in un parco di oggetti ri-utilizzati, molto vicino al gioco artistico e identitario dei R.E.M. di Radio Free Europe, di cui abbiamo parlato approfonditamente da questa parte.
Al di là dei riferimenti, il risultato è un vitale video-diario che ben di adatta al percorso sonoro dei LPOM, tra forma e istinto.
I Little Pieces of Marmelade con Canzone 10 promuovono Ologenesi, nuovo album uscito lo scorso 7 ottobre, prodotto da Manuel Agnelli,
Cherry Red Records pubblica uno dei cofanetti più succulenti tra quelli curati dalla benemerita label britannica. Un’incursione esaustiva nel folk inglese più “esoterico” e oscuro tra il 1968 e il 1975.
Oscuro perché virtualmente sconosciuto e inaccessibile. Mentre artisti come Fairport Convention, Steeleye Span, Lindisfarne e Strawbs portavano fuori dal circuito più intimo i suoni della musica folk, l’attività dei piccoli club continuava a produrre e a crescere, tanto che a metà dei sessanta si contavano circa 300 locali dediti alla diffusione del genere in tutta l’Inghilterra.
Una rete che rimane intatta soprattutto a nord-ovest, dove il riposizionamento in odor di controcultura con i club che diventano Arts Lab, risultava più arduo e difficile.
In questo contesto nasce l’etichetta Heritage, fondata da Alan Green nel 1968, ex chimico che aveva acquisito un equipaggiamento audio dismesso dalla BBC per allestire uno studio di registrazione e post produzione nella sua casa vicino Manchester.
Da questo momento la Heritage incide e pubblica artisti legati al circuito dei folk Club, con una tiratura limitatissima, che solo in pochissimi casi supera le cifre a due zeri.
L’approccio é quello DIY con gli artisti che si appropriano di metà tiratura per vendere i dischi ai concerti.
La raccolta Cherry Red, pubblicata per la divisione Grapefruit, include tre CD e un booklet storico indispensabile.
I brani complessivi sono 68, e si riferiscono a discografie irreperibili, se non in rarissimi casi e per cifre inarrivabili. Artisti notevoli che niente hanno da invidiare a nomi come Gerry Rafferty, Barbara Dickson e Alan Hull, ovvero quei nomi che sono emersi durante quegli anni, dagli stessi circuiti regionali.
Nel nostro video unboxing di ben 10 minuti, proponiamo un pre-ascolto di una decina di brani, utili a farsi un’idea di questo preziosissimo cofanetto. Vi ricordiamo che il box è il terzo di una serie pubblicata sempre con marchio Grapefruit, dedicata al folk britannico underground. I due titoli precedenti erano ‘Dust On The Nettles’ e ‘Sumer Is Icumen In’.
Bella iniziativa quella promossa da Quindi Records in collaborazione con UR Suoni, due realtà fiorentine che promuovono e pubblicano musica di qualità con passione e giusta ferocia underground. Le due label questa volta entrano in sinergia per portare sul palco del NOFClub, locale collocato nel centro storico e in quello nevralgico della movida fiorentina, YL Hooi e SILZEDREK, eccellenze della musica australiana sperimentale, legate alla scena elettronica del loro paese e spesso insieme per alcuni progetti condivisi.
La prima, al secolo Valya Ying-Li Hooi, si è fatta conoscere nella scena underground di Melbourne sin dal 2017, militando in formazioni come Kallista Kult, progetto che ha condiviso con Tarquin Manek, il cui moniker attuale è appunto quello di SILZEDREK. Prima tra le discoveries 2021 del prestigioso Boomkat, distro mancuniano storico, online dal 2002 e che al semplice carrello della spesa ha sempre accompagnato un livello critico superiore alla media di qualsiasi rivista di settore, YL Hooi ha pubblicato il suo primo lavoro intitolato “Untitled” su vinile grazie a Efficient Space l’anno scorso, ristampa dell’ormai irreperibile nastro pubblicato due anni prima.
Per chi conosce il lavoro dei conterranei HTRK, inclusa la nuova deriva acustica introdotta dal primo album solista di Jonnine Standish, non sarà difficile rintracciare uno spirito affine, condotto da Valya in una direzione ancora più psichica e visionaria. Sovrapposizioni vocali, atmosfera onirica, elettronica space age, dub siderale, riflessi percussivi, corruzioni aurali che connettono numerose declinazioni della sperimentazione, sempre sospesa tra mondi analogici e riletture sintetiche. Sul palco, insieme a Tarquin Manek, tutto viene riscritto con un ensamble che all’elettronica aggiunge un setting acustico ed elettrico: tromba, clarinetto basso, chitarra, basso elettrico, drum machine. Quello che ci aspetta è un mix seducente tra struttura, improvvisazione e groove da un’altra dimensione.
A seguire, Tarquin Manek con il nuovo moniker SILZEDREK, nella sua esplorazione sonora che parte dal clarinetto basso, per rielaborare un retaggio personale e popolare legato alle sonorità dell’est Europa. Gwen Pen, che si può ascoltare da questa parte su bandcamp, è un suggestivo esempio di questa world music straniante, dove dub, folk e jazz si combinano in un metissage evocativo che ha molto del patrimonio creativo legato al mondo delle colonne sonore. Con questa fusione vitale tra oriente e occidente, SILZEDREK si è meritatamente conquistato una posizione nello storico Tapper di The Wire, il numero 56 delle preziose compilation proposte dalla seminale rivista britannica.
Lo Show al NOF, in Borgo S. Frediano, 17/19r, Firenze è previsto dalle 21:00 alle 00:00 ed è a ingresso libero.
In chiusura il DJ Set di Rufus, Dj, agitatore culturale, conduttore radiofonico (Controradio, Radio Amblè) e fondatore storico di Quindi Records, etichetta nata nel 2019 dopo una lunga esperienza con altre realtà di settore. Nel roster della label, artisti come WOO (GB) Cabaret du Ciel (Treviso) Dead Bandit (Chicago / Canada)