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Dolores di Micol Arianna Beltramini e Francesca Ciregia: recensione

Siamo convinti che i fumetti e in particolare le graphic novel, siano in grado di arricchire la conoscenza Storico-biografica più di qualunque altro mezzo, introducendo una chiave interpretativa molteplice che concede capacità connettiva ulteriore ai lettori. Dipende quasi sempre dalla relazione tra tavole e parola a dalle modalità con cui quest’ultima riesce a far spazio alla dinamica sequenziale dei disegni o anche al movimento interno ad uno solo di essi. Le biografie legate al contesto musicale popolare hanno trovato un nuovo impulso negli ultimi dieci anni e non troppo paradossalmente al di fuori degli Stati Uniti, individuando nel vecchio continente terreno fertile per la produzione e distribuzione di volumi legati alla storia del rock, osservata da un’angolatura più intima, stretta sui protagonisti e molto meno sulla dimensione agiografica o peggio ancora sociologica, croce e delizia di una critica dal fiato corto, che ha attecchito in modo disastroso anche in Italia.

Sorprendono le rare incursioni dei nostri creativi in un territorio che è maggiormente frequentato in Francia, Germania e in altri paesi europei, con risultati spesso notevoli.

È il caso di “Dolores“, il volume disegnato dalla talentuosa Francesca Ciregia, su testi di Micol Arianna Beltramini, autrice cagliaritana che si è sempre mossa tra racconto di formazione e romanzo grafico e che nell’ambito di cui stiamo parlando, aveva dato vita ad un sentito omaggio a Jeff Buckley, con i disegni di Gea Ferraris.

Come Last Goodbye, Dolores è pubblicato da Edizioni BD e affronta morte e traumi di una figura chiave del rock globale. La musica, la discografia e la carriera di Dolores O’Riordan diventano testi essenziali per mettere ai margini la cronistoria dei Cranberries e porre al centro un’analisi poetica e interiore della principale interprete.

Una ricerca che ha consentito alle due autrici di isolare alcuni elementi specifici in termini narrativi e visuali, ricorrendo ad un’eterogeneità di fonti, non solo direttamente biografiche, ma soprattutto legate ai testi delle canzoni e a tutto l’apparato visivo connesso alle produzioni dei Cranberries, dagli artwork per gli album, fino ai video musicali.
Da questo serbatoio ipermediale, emerge un tracciato interiore avvolto nel mistero, che cerca il significato della morte di Dolores tra le pieghe di quello che sappiamo o che potremmo apprendere leggendo qualsiasi biografia. Il procedimento è inverso rispetto alla costruzione documentale di un percorso artistico, nella definizione di quello interiore osservato dall’altro lato del palco.

Si cercano le origini dei traumi infantili, il radicamento di uno spirito ribelle, l’intima essenza irlandese nell’irriducibilità a qualsiasi schema imposto. Vengono allora privilegiati i silenzi, il ruolo allusivo della parola e quello evocativo del disegno, sospeso tra dimensione onirica e un crudissimo ingresso nella realtà tangibile del disagio, rispetto al senso condiviso della realtà.

Ciregia, che ha conquistato gli Stati Uniti con il suo tratto visionario, ma allo stesso tempo radicato ad una violenta asprezza realista, cambia costantemente registro, anche nell’uso diversificato delle inchiostrature bianconero, morbidissime quando il ricordo dell’infanzia diventa rifugio, geometriche ed espressioniste quando descrive il presente. Persino le rare incursioni nel colore, funzionano come improvvise epifanie dell’inconscio, dove è compito del lettore connettere motivi e forme ricorrenti, e tracciare una linea tra artwork, liriche e storia personale.

Se gli eventi legati alla vita dell’artista di Limerick sono noti e sembrano definiti da un’ufficialità ridondante in ogni media e contesto, la sensibilità delle due autrici riesce a condurre tutti questi elementi fuori dalla comfort zone dello svelamento, recuperando le qualità indicibili del mistero attraverso traumi solo apparentemente noti. Non sono allora i fatti ad essere il centro del loro lavoro, intelligentemente allusi, collocati al margine e mai rivelati nella loro crudezza esplicativa se non con il filtro delle numerose attività della coscienza. Il motore che muove il volume, al contrario, è la capacità di trattenere nello spazio della memoria, le motivazioni di un dolore più profondo e di un’acuta solitudine dell’anima che appartiene a tutti noi, anche nella relazione oppositiva tra il ruolo assegnato alle persone amate e l’irriducibilità dello spazio interiore.

Dolores è quindi viva e vitale, ribelle e indomabile, anarchica e improvvisamente annichilita dalla sofferenza. Negli sprazzi di vita che le due autrici ricostruiscono, il punto di vista è quello soggettivo senza che diventi onnisciente. Vede quindi più di quanto non possa il lettore, ma allo stesso tempo, non consente di chiudere il significato nello spazio del giudizio.

Anche nella morte, l’anelito di Dolores è verso la libertà da qualsiasi compromesso.

Dolores – Edizioni BD – 2022
Disegnatore Francesca Ciregia
Scrittore Micol Beltramini
Prefazione: Andrea Rock
ISBN 9788834910863
Formato 17×25 cartonato
Pagine: 136 b/n Colori
Prezzo: 18 euro

15 gennaio 2018: il corpo senza vita di Dolores O’Riordan viene ritrovato nella vasca da bagno di un albergo di Londra. Per un attimo è come tornare negli anni Novanta, la coda di luce di un mondo scomparso per sempre. Cosa ci ha spinti a consegnare il nostro cuore a Dolores, tanto da renderla impossibile da dimenticare? Da quali altezze, da quali abissi scaturiva la sua voce devastante e fragile? Un viaggio nel cuore segreto della nostra adolescenza, dove nostro malgrado conserviamo sogni invincibili e illusioni infrante. Una delle voci più uniche della sua generazione, raccontata nei suoi tormenti e momenti bui.

Gloam Session #1 – Checco Curci, il video live

Lo scalpiccio dei cavalli, i campanacci del bestiame e tutti i suoni della natura che emergono nelle ore del crepuscolo. I musicisti, silhouette contro il paesaggio, mentre altri suoni si aggiungono come quelli di un’orchestra portabile che si accorda. Con il respiro di uno strumento a mantice inizia il primo numero delle Gloam Session, il nuovissimo format ideato e prodotto dal collettivo Stand Alone Complex, con l’attenta e minuziosa regia di Antonio Stea e il sound design in presa diretta, davvero miracoloso, di Gianvito Novielli. Al centro di questo primo numero, la musica di Checco Curci, che esegue Mezza Minotauro, brano tratto dal suo album d’esordio, previsto per il prossimo autunno su Dischi Uappissimi, con la supervisione artistica di Riccardo Sinigallia e la produzione di Giacomo Carlone insieme allo stesso Curci. All’interno della session, tutto il mondo di Checco Curci.

[La foto di copertina dell’articolo è di Anna Squicciarini ]

Gloam Session #1 – Checco Curci suona: “Mezza Minotauro”, in esclusiva per Indie-eye

Poche parole descrivono con realistica nitidezza scene di una ormai stanca e silenziosa convivenza.
Retropensieri e contorcimenti notturni trasformano la protagonista in una creatura ermafrodita semi-
mitologica, per tre quarti ancora umana, ma di cui è bene non fidarsi (Checco Curci)

Mezza Minotauro, i musicisti

Checco Curci (voce, pianola)
Giuseppe Amatulli (violino),
Gianni Console (sax baritono, smartphone)
Piero D’Aprile (chitarra classica)
Leo Steeds (fisarmonica)
Testo e musica: Checco Curci
Etichetta: Dischi Uappissimi
Edizioni: Nonsense

Il numero 1 di Gloam Session è stato girato a Noci (BA), il 17 di Agosto. Gloam Session è un prodotto Stand Alone Complex, collettivo formato da Antonio Stea, regista di videoclip musicali e film sperimentali e d’animazione, e dalla band quiet psych Violent Scenes. I nomi del collettivo dietro al progetto, oltre a quello di Antonio Stea sono quelli di Giorgio Cuscito, ufficio stampa e booking, Gianvito Novielli, tecnico del suono, Anna Squicciarini fotografie.

Checco Curci sul set di Gloam Session, foto di Anna Squicciarini

Checco Curci: Musica, città, passione e Cavalli

Checco Curci è nato a Noci, proprio nel luogo dove è stato girato il primo numero di Gloam Session. Si è avvicinato alla musica con lo studio del piano e del violoncello e ha fondato in giovane età un gruppo di ispirazione brit, fino a quando non ha scelto Venezia per lo studio dell’architettura. La specializzazione la fa a Milano, città dove lavora come insegnante di urbanistica presso il Politecnico. BucoBum è un’associazione che invece ha fondato nel 2009 e attraverso la quale cura, da ben dieci anni, l’omonimo festival che a Noci traghetta il meglio del cantautorato italiano e che ha visto avvicendarsi sul palco nomi come Dente, Dimartino, Giovanni Truppi, Levante, Maria Antonietta, TheGiornalisti, Motta, Moltheni, Edda.
A dimostrazione che il video di Antonio Stea prodotto da Stand Alone Complex è un prodotto sensoriale completo che porta dentro lo spirito stesso dell’artista, è importante ricordare che Curci, sia da studioso che come allevatore, coltiva la passione per i cavalli.

Gloam Session: Musica e radici, i video girati nel luogo di appartenenza degli artisti

Dal cantautorato all’elettronica. Un progetto ambizioso quello di Stand Alone Complex, collettivo che si muove intorno alla provincia di Bari e che mette insieme la creatività di musicist*, regist*, fotograf* che hanno gravitato e gravitano intorno alla band Violent Scene. A cadenza mensile, indie-eye lancerà in esclusiva i video delle Gloam Session, tutti rigorosamente girati durante le ultime ore del crepuscolo, tutti prodotti nei luoghi di appartenenza dell’artista ospite. Un servizio che oltre al valore promozionale, interpreta la musica dal vivo in termini visuali, portando dentro i suoni, i rumori e i sensi sollecitati dall’occhio, legati alla storia dei musicisti coinvolti. Il crepuscolo per Antonio Stea, regista dei video, è l’occasione per far emergere lo spirito dell’artista durante la performance. Nell’ombra emergono dettagli altrimenti invisibili, che evidenziano la morfologia dei suoni. Interpretando in modo inedito e originale lo spirito migliore di format storici dedicati alla musica dal vivo, come La Blogoteque, le Gloam Session sono qualcosa di più di un semplice video live.

Foto di Anna Squicciarini

Sara Franceschini – Avere niente o avere te, il video di Nicola Leone

Difficile non innamorarsi di Sara Franceschini, nello scarto che genera la canzone scritta per lei da Pino Marino, con un’interpretazione sul crinale difficile della leggerezza.

Il video diretto da Nicola Leone, talentuoso filmmaker, fotografo e art director nato a Firenze, lascia respirare il volto e i gesti di Sara nello spazio del ritratto, restituendo al movimento quelle possibilità dello sguardo inscritte in uno scatto intenso.

Sara gioca con il lip sync e lascia andare l’obbligo della sincronia tra parola e labbra, quasi per disinnescare le forme posturali di alcuni video.

Dolente, indolente, sensuale, assume il ritmo e il rimario di un Brasile interiore e trasforma l’onda nostalgica in forza vitale. Non solo il volto espressivo che traduce le liriche in una zona dove il gesto si fa segno, ma questo continuo lasciare andare il flusso, dimenticarsi la parola e riafferrarla nella lotta tra corpo e spirito.

Il tocco di Leone è allora in questo affidarsi e condividere l’area del controllo registico con la sua performer, libera di interpretare un sentimento come se cantasse davanti allo specchio.

Tutto scorre, anche il racconto amoroso, e nell’illusione del possesso, il punctum indicibile risiede tra l’identità e il niente.

Sara Franceschini – Avere niente o avere te, il video di Nicola Leone

Sara Franceschini: Cantante, interprete e insegnante di musica, anni di ricerca e un album che mette insieme Brasile, Italia e canzone teatrale: Musiche del ritorno esce nel 2022 per WoW Records/IRD e “Avere niente o avere te” è il primo estratto. Il lavoro, nella sua interezza, sarà presentato il prossimo Venerdì 7 ottobre alle 21.00, nel Teatro Studio Gianni Borgna dell’Auditorium Parco della Musica. “Musiche dal ritorno” è un concept di natura teatrale che recupera suoni in termini filologici, linguistici e musicali, dal Brasile a Napoli, mettendo al centro l’elaborazione della nostalgia come concetto trainante.

Nicola Leone: è regista, art director, fotografo con una vocazione pluridisciplinare. Si muove nei campi di moda, lifestyle ed entertainment e ha lavorato in numerosi contesti, dall’advertising alla musica, collaborando con brand e realtà di altissimo livello internazionale.

Gloam Session, live al crepuscolo in esclusiva per Indie-eye

Una session al mese, per coprire i generi più disparati dal cantautorato all’elettronica, filmata negli ultimi dieci minuti del crepuscolo, servendosi solo della luce naturale e del talento dei musicisti coinvolti. Questo è lo spirito delle Gloam Session

Gloam Session, un progetto Stand Alone Complex

L’idea è venuta a Stand Alone Complex, collettivo formato dalla band Violent Scene e dal regista Antonio Stea, autore di videoclip, film sperimentali e d’animazione: “Filmare al crepuscolo – ci ha detto Giorgio Cuscito responsabile della comunicazione – consente a Stea di riprendere lo spirito dell’artista, che si fa ben visibile a occhio nudo nonostante sembri quasi cercare il buio. Le Gloam Sessions vengono registrate nel luogo di appartenenza dell’artista, lì dove vive o dove è radicato e ogni volta, sarà la durata del crepuscolo (10/15 min.) a dettare l’inizio e la fine delle riprese. Dal cantautorato all’elettronica sarà la luce a dirigerne le emozioni e i toni.”

Checco Curci e band durante le Gloam Session. Foto di Anna Squicciarini

Gloam Session, in esclusiva per Indie-eye

Indie-eye ospiterà in esclusiva le Gloam Session con una scadenza mensile a partire da martedi 13 settembre quando lanceremo il primo episodio, dedicato a Checco Curci che per l’occasione eseguirà Mezza Minotauro, brano tratto dal suo album d’esordio, previsto per il prossimo autunno su Dischi Uappissimi, con la supervisione artistica di Riccardo Sinigallia.

Il brano eseguito per le Gloam Session segue quindi la promozione di Wind Day, il primo estratto dall’imminente lavoro di Curci per il quale lo stesso Antonio Stea aveva diretto un bel videoclip che anticipa l’estetica e le scelte visuali delle session che vedremo su indie-eye

Checco Curci – Wind Day, il videoclip di Antonio Stea

Gloam Session, il primo numero dedicato a Checco Curci in esclusiva su indie-eye dal 13 settembre

Nello spirito del progetto, le Gloam Session dedicate a Checco Curci sono ovviamente state girate nel luogo dove l’artista è cresciuto, a Noci (BA) il 17 Agosto 2022, per la regia di Antonio Stea, con il supporto di Gianvito Novielli come tecnico del suono, la produzione di Stand Alone Complex e le foto di scena scattate da Anna Squicciarini.

La line up di Mezza Minotauro è costituita da Checco Curci (voce, pianola), Giuseppe Amatulli (violino), Gianni Console (sax baritono, smartphone), Piero D’Aprile (chitarra classica), Leo Steeds (fisarmonica)

Checco Cucci profilo artistico

Checco Curci nasce e cresce a Noci, in provincia di Bari. Si avvicina alla musica attraverso il pianoforte e il violoncello. Al liceo suona in un gruppo d’ispirazione brit pop finché non si trasferisce a Venezia per studiare architettura. Nei primi anni universitari forma un trio in cui inizia a scrivere e cantare in italiano. Nel 2005 si stabilisce a Milano per specializzarsi in urbanistica, materia che oggi insegna al Politecnico di Milano. Nel 2009 fonda l’associazione BucoBum e per 10 anni cura la direzione artistica dell’omonimo festival che porta a Noci il meglio del cantautorato emergente italiano (Dente, Dimartino, Giovanni Truppi, Levante, Maria Antonietta, Thegiornalisti, Motta, Moltheni, Edda e tanti altri). Oltre alla canzone e all’urbanistica coltiva attivamente, da studioso e allevatore, la passione per i cavalli.

Peter Gabriel – In your eyes, la collaborazione con Graham Dean

La collaborazione tra Graham Dean e Peter Gabriel nasce da un’amicizia di lungo corso, cominciata nel 1978 dopo la visione comune di un film di Jodorowsky a Soho. La recente pubblicazione di Strange Beauty, il volume del pittore britannico che raccoglie molti dei suoi lavori più noti oltre ad una serie di acquerelli inediti, comprende un DVD con “Undercurrents“, il film in 16 mm diretto dall’artista nel 1981 e basato su alcuni suoi lavori tra i più disturbanti, legati alle malattie della pelle. Queste “correnti sotterranee” furono accompagnate da una colonna sonora scritta dallo stesso Gabriel con un’improvvisazione in studio durata tre giorni e tre notti, come viene evidenziato nella biografia autorizzata di Peter Gabriel, scritta da Spencer Bright.

I due artisti torneranno a collaborare in forma combinatoria per due videoclip, entrambi contenuti nel box da collezione con le opere di Graham Dean e prima ancora nel DVD “Peter Gabriel – Play, The videos“, pubblicato nel 2004 come raccolta che integra la videografia di Gabriel fino a quel momento, aggiornando la VHS intitolata CV, pubblicata nel 1987. Tra queste integrazioni, oltre ai video usciti regolarmente per la promozione di Us e di Up, gli album successivi a So, figurano anche “Solsbury Hill” e “In your eyes“, entrambi frutto della direzione artistica di York Tillyer, e realizzati con un approccio molto simile, che ricombinava stock footage e il materiale originale realizzato da Gabriel e Dean nei primi anni novanta, quindi diversi anni dopo rispetto alla pubblicazione dei rispettivi singoli.

Parte delle immagini di “In your eyes” sfruttano il patrimonio dei Prelinger Archives in modo pionieristico, se si considera che l’archivio di Rick Prelinger aveva cominciato il suo percorso nel 1982 e che la digitalizzazione del materiale verrà avviata solo nel 2002, quando il progetto potrà contare sul sostegno dell’Internet Archive, già accessibile per Tillyer al momento di mettere insieme la clip.

Oltre a questo, vengono aggiunte alcune immagini realizzate da Michael Coulson per il video di “Happiness is…“, singolo dall’album Coming Home dell’artista Buddhista Tibetana Yungchen Lhamo, pubblicato nel 1998 dalla Real World.

Mentre il video di Solsbury hill, al di là del transito da pittura a videoarte curato da Graham Dean, è un prodotto decisamente discontinuo, “In your eyes” mantiene una flagranza originale con il materiale realizzato dal pittore britannico insieme a Gabriel nel 1993. Se le integrazioni fanno pensare ad un lavoro completato nel tempo con le strategie dello stock footage, al fine di trovare alcune analogie dirette tra immagini e liriche, la parte girata in lip sync non è così lontana da certi lavori di Tony Oursler sui volti, ma si allontana da quel tipo di videoarte per avvicinarsi maggiormente alla riflessione di Dean sospesa tra pittura e video. Le tecniche utilizzate dall’artista inglese consistono in estrema sintesi nell’impiego di un supporto cartaceo che proviene dall’India meridionale e che gli consente di applicare diversi strati di colore e allo stesso tempo, di sottoporre il supporto a lacerazioni e forme di usura artificiali. Corpi e volti fatti a pezzi o immersi in una dimensione psichica frammentata, dove il difetto, lo strappo e anche l’anomalia fisico-epiteliale, suggerisce una realtà ultra-corporea destinata alla ricostruzione del fruitore. Come abbiamo già raccontato per Heart Under, secondo album dei talentuosi Just Mustard per i quali Graham Dean ha realizzato l’artwork, la prassi è definita dallo stesso artista come “archeologia inversa”, ovvero il contrario dell’esfoliazione e della spoliazione di un’immagine e allo stesso tempo, la spinta verso il degrado dei materiali stessi, per transitare dal corpo alla psiche.

Il video cerca di ricreare la stessa dimensione con l’impiego delle luci e l’utilizzo di sovrimpressioni che mantengono una qualità più organica che illuminotecnica. Il volto di Gabriel sembra abitare quel luogo tra la deformità e la maschera tribale, che aveva rappresentato tutta la parabola pre-umana e rituale della sua immagine.

“In your eyes”, per occorrenze anche promozionali, diventa combinazione tra diverse discipline e suggestioni visuali, dalla pittura al filmaking, dallo stock footage al prodotto promozionale, evidenziando quel territorio di convergenza da cui il videoclip assume forme e vita.

The Cure – The Head on the Door: tutti i videoclip

The Head on The Door è il sesto album dei Cure ed esce il 26 agosto del 1985 ad un anno di distanza dal precedente The Top. Pubblicato durante un biennio discograficamente frenetico, rappresenta la ritrovata conciliazione dopo un periodo di crisi, dove erano comunque emersi una serie di progetti eterogenei. Questi, oltre ad includere la pubblicazione del primo lavoro dal vivo, comprendono l’extended play The Walk e il side project Blue Sunshine, uscito a nome The Glove, formazione che riuniva Robert Smith insieme a Steve Severin dei Siouxsie and the Banshees. Secondo dei cinque album realizzati da Smith insieme al produttore inglese David M. Allen, viene affidato, per quanto riguarda l’artwork al designer Andy Vella, collaboratore di lungo corso della band. Lo scatto realizzato da Porl Thompson, ritrae Janet Smith, sorella minore di Robert e sarà successivamente manipolato utilizzando un cotton fioc, carta fotografica e candeggina per uso domestico.

Oltre a Smith e Lol Tolhurst, la line-up vede il ritorno del bassista Simon Gallup, uscito dopo il tour di Pornography e quello di Porl Thompson, di nuovo a bordo dopo la militanza nelle primissime formazioni che precedevano la fondazione effettiva del progetto The Cure. La batteria è quella di Boris Williams, ex Thompson Twins e già con i Cure nei live del 1984.

L’esperienza di Smith con i Banshees nell’album Kaleidoscope e lo psych pop di Blue Sunshine influenzeranno il risultato dell’album, raccolta eterogenea di tutte le intuizioni che i Cure avevano esplorato sino a quel momento, dove la tendenza più pop viene messa maggiormente a fuoco, per veicolare innesti e contaminazioni più sperimentali.

Per la promozione dell’album vengono realizzati quattro videoclip tra il 1985 e il 1986, tre dei quali vengono diretti dal sodale Tim Pope, mentre il quarto, The Blood, sarà realizzato da Gerard de Thame.

Indie-eye dedica uno speciale dedicato ai quattro videoclip di The Head on the door, con una serie di approfondimenti dedicati a ciascuna clip, raggiungibili attraverso i link preposti.

In Between Days di Tim Pope (1985) – la recensione del video

Close to me di Tim Pope (1985) – la recensione del video

A night like this di Tim Pope (1985) – la recensione del video (UPDATE, il video fu realizzato nel 1986, vedi successione delle note in calce all’articolo, a partire dalla più recente)

The Blood di Gerard de Thame (1986) – la recensione del video

NOTA 2 – UPDATE 25-08-2022

Ci ha scritto Michele Franzinelli, del fan Club The Cure Italia, Out of This World, presente anche su facebook con un gruppo privato, raggiungibile da questa parte. Michele, che svolge un attento lavoro di ricerca e raccolta materiali dedicati all’attività della band di Robert Smith, ha stabilito negli anni contatti diretti con i componenti della band. Ci ha inviato oltre alle sue preziose considerazioni, alcuni documenti e due testimonianze che attestano la produzione di “A Night like this“, come congiunta a quella di “Boys Don’t Cry“, il video girato da Tim Pope per la VHS “Staring at the sea, The Images” nel 1986 e pubblicato nell’aprile dello stesso anno dalla Fiction / Palace Video con distribuzione Elektra.
La prima osservazione che Michele ci ha fatto è relativa al look di Robert Smith nella copertina del singolo di Boys Don’t Cry, scatto realizzato durante la produzione dei due video. Il look è lo stesso che vediamo nella clip di “A Night like this”

Boys Don’t Cry – New Voice mix – Artwork – 1986
Screen shot – A night like this, video (Dir: Tim Pope, 1986)

Uno dei documenti che Michele ci ha inviato è relativo ad una pagina del volume scritto da Andy Vella nel 2014 e intitolato Obscure: Observing the Cure. Vella, lo ricordiamo, è l’autore della maggior parte degli artwork dei Cure, oltre di una nutrita serie di fotografie che hanno documentato la trasformazione della band a partire dal 1981. Nel volume in questione, che è una summa del suo lavoro con una prefazione di Robert Smith, c’è una pagina che non possiamo agevolare per questioni di copyright, dove accanto ad una serie di scatti realizzati sul set di “A night like this” c’è scritto: “video shoot, a night like this, london 1986“.

Ancora più dettagliata la testimonianza di Mark Heatley, l’attore che nel video di “Boys Don’t Cry” intepreta Robert Smith nella versione infantile. Michele ci ha inviato l’estratto da un’intervista che ha tradotto personalmente e diffuso tra i membri del Fan Club, ma della quale non è rintracciabile al momento la fonte originaria. Nell’intervista Heatley rivela dettagli molto interessanti sulla lavorazione dei due video, che riportiamo nella traduzione di Michele Franzinelli: “Ci sono state nel corso degli anni varie storie sui tre ragazzi nel video così vi fornirò qualche dettaglio. Io ero il ragazzino che interpretava la parte del giovane Robert. Anche gli altri due ragazzi erano iscritti alla stessa classe amatoriale di recitazione e venimmo mandati alle audizioni a cui partecipavano centinaia di ragazzi. Fummo scelti perché non provenivamo dalle scuole più titolate. La versione originale della canzone non aveva un video e loro volevano realizzarne uno così da poterlo inserire nella compilation video che stavano per pubblicare. Le immagini sullo sfondo vennero girate una o due settimane prima e ci furono spedite su una vhs. Solo che la ricevemmo il giorno prima delle riprese, così non abbiamo avuto molto tempo per imparare i movimenti delle nostre ombre – abbiamo fatto il massimo possibile. Avremmo potuto fare molto meglio se avessimo avuto più tempo. Gli strumenti che usavamo erano molto piccoli, quasi delle miniature e questo probabilmente è il motivo per cui non corrispondono esattamente con quelli veri suonati dalla band. Le riprese durarono un giorno e venne usata una camera frontale per proiettare le immagini girate su uno schermo color argento alle nostre spalle e riprendere l’insieme. Nello stesso momento i Cure stavano girando il video di A Night like This nello studio accanto così una volta finito andammo a vederli mentre finivano le riprese. Entrambi diretti da Tim Pope. Avevo 11 o 12 anni al tempo, adesso ne ho 46 e sembra ancora come se fosse ieri. A proposito, se vi chiedete perché in alcune riprese non tocchiamo le corde degli strumenti, il motivo è che l’avevamo fatto per tutto il giorno e le nostre dita erano a pezzi…

L’update precedente (24-08-2022) viene mantenuto come documentazione del processo di acquisizione delle informazioni e anche come traccia del metodo di lavoro di indie-eye per il confronto e la verifica delle fonti, quando lavoriamo, dal 2005, ad articoli e approfondimenti.

NOTA – UPDATE 24-08-2022

In seguito ad alcune mail giunte in redazione che indicano il video di “A night like this” come produzione realizzata appositamente per la VHS “Staring at the sea – The Images“, insieme ai video di Boys Don’t Cry, Jumping Someone Else’s Train e Killing an Arab che Tim Pope girò per il prodotto della Fiction Video / Palace Video distribuito da Elektra nel 1986, dobbiamo fare alcune precisazioni, nonostante le osservazioni abbiano buonissime ragioni per essere considerate valide. Buona parte delle discografie ufficiali, inclusa la dettagliatissima pagina Discography di Wikipedia UK, indicano “A night like this” nel blocco produttivo del 1985, mentre The Blood, escluso dalla video compilation su VHS viene inserito tra i video realizzati l’anno successivo insieme ai tre citati. Se IMDB riporta la data 1986 senza alcuna nota di produzione (location, studio, data di produzione), numerose altre fonti, tra cui il volume The Cure FAQ: All That’s Left to Know About the Most Heartbreakingly Excellent Rock Band the World Has Ever Known di Christian Gerard inseriscono “A night like this” tra i video prodotti nel 1985. Non abbiamo ancora potuto consultare le annate Billboard 1985 / 1986, pubblicazione molto dettagliata sui video in produzione, né ci sono informazioni specifiche tranne un riferimento ad un presunto comunicato stampa della Elektra pubblicato nel 1986 e riportato su Worldcat che recita: “Their new home video, chronicles the profound success of Staring at the sea, the images. It features thirteen tracks from the album plus four additonal videos and rare anecdotal footage“. Il riferimento a quattro video addizionali includerebbe ovviamente anche “A Night like this”, ma questo attesterebbe la destinazione del video e il contenitore con cui è stato diffuso, non l’anno di produzione che è cosa differente. In mancanza di dati di produzione specifici, abbiamo preferito mantenere l’anno di riferimento al 1985. Va da se che lo stile “visual” del video, esattamente come quello di Jumping someone else’s Train e soprattutto di Boys Don’t Cry, come tra l’altro avevamo già scritto, si riferisce ad un approccio molto simile e allo stesso tempo diverso dall’architettura narrativa e produttiva dei video realizzati per la promozione di The Head on the door (In between Days e Close to me), questo fa pensare ovviamente ad una produzione ravvicinatissima. L’altro aspetto fondamentale che va considerato è la presenza di un singolo dodici pollici promo di “A night like this”, diffuso nel 1985 in vinile 12 pollici, senza artwork (numero di catalogo ED 5130) con sleeve die-cut ed escluso dalla vendita. Questo attesterebbe l’esistenza di un singolo destinato alla programmazione nelle radio durante il 1985 e quindi una corrispettiva e ipotizzabile rotation del video nelle TV tematiche, durante lo stesso anno. L’idea che sia stato girato “insieme” a Boys Don’t Cry, presumibilmente quindi nello stesso studio, non è peregrina quindi, ma dalle fonti in nostro possesso deriverebbe da una data riportata in alcune videografie (Marzo 1986) desunta sia per “Boys Don’t Cry” che per “A night like this” da un’indicazione presente sulle schede corrispondenti pubblicate su Internet Movie Database. In realtà IMDB indica chiaramente Marzo 1986 come date di uscita, non di produzione (sono concetti diversi), per “Boys Don’t Cry” e per “A Night like this”. Per uscita, per quanto IMDB sia spesso molto impreciso per i videoclip, si intende rotazione ovviamente, tempistica probabile per promuovere la pubblicazione della raccolta video VHS, prevista per il novembre successivo, in concomitanza con altre operazioni promozionali come la pubblicazione del nuovo Mix di Boys Don’t Cry, pubblicato su Fiction nell’aprile del 1986.

The Cure – In Between Days, il video di Tim Pope

Il sodalizio tra Tim Pope e la band di Robert Smith aveva già dato ottimi frutti con i primi quattro video realizzati dal 1982 al 1984. Inaugurato con la clip di Let’s go to bed, era riuscito a consolidarsi attraverso un lessico preciso, a partire dalla centralità performativa di Robert Smith. L’artista inglese, fluida Alice in wonderland, viene calato all’interno di set sempre più contratti e con l’inserimento di props che restituiscono un’esperienza incongrua dello spazio scenico, quasi sempre legato all’esperienza privata, psichica e onirica. Prospettive esacerbate, punti di vista vicini alla macrofotografia scientifica, prossimità di corpi, oggetti e un micromondo ad altezza insetto, che il geniale regista inglese realizza con una combinazione vitale tra ottiche e set design.

In between days rappresenta una sintesi di quelle intuizioni, ma soprattutto la capacità di superarle, piegando le regole più consolidate della videomusica a partire dallo sfruttamento estremo dello spazio performativo. Rivisto oggi a distanza di quasi 40 anni, sembra dialogare con l’ecologia dell’immagine contemporanea, fatta di rispecchiamenti continui, di centralità esasperata del soggetto, con una prossimità che già preconizzava le webcam, le body-camera, i dispositivi action, le sinapsi tra gesto e smartphone.
Eppure questa apparente immediatezza e intimità performativa, si cala in mezzo al set con un’architettura sicuramente “leggera” rispetto alla magniloquenza di altri lavori coevi, ma più ingombrante di quello che si può immaginare.

In Betweeen Days, Making of – The Box (archive.org) la cinepresa assicurata al manico della chitarra per il video diretto da Tim Pope

Filmato in pellicola bianco e nero con la direzione della fotografia di Chris Ashbrook, e l’integrazione successiva di alcune sequenze a colori, realizzate sfruttando i raggi ultravioletti, l’attento make-up di Yashi e un intervento di pittura e animazione in post, riorganizza uno spazio performativo neutro, immergendosi letteralmente nel gioco dei musicisti come parte attiva di quel movimento. Tim Pope assicura la cinepresa al manico della chitarra con alcune cinture, ne issa un’altra su un’altalena lanciata verso Robert Smith, o al contrario da questo verso il vuoto. Agganciata come una protesi che diventa tutt’una con l’andamento ritmico del brano, la cinepresa riesce a rimbalzare tra strumenti e corpi, con un’intuizione che solo due anni dopo sarà estremizzata da Godley & Creme per il video di Hip to be square, realizzato per Huey Lewis And the News. Ma se in quel caso i due creativi sconfinano tra mondo televisivo e strumenti scientifici, impiegando un dispositivo destinato alle esplorazioni endoscopiche, Tim Pope rimane ancorato ad un’idea fieramente artigianale nella decostruzione immaginifica della performance. L’occhio, per quanto parzialmente disincarnato, è ancora legato al trucco e alla fantasia meliesiana, all’invenzione del punto di vista e al corpo a corpo tra dispositivo e attori in gioco.

In Betweeen Days, Making of – The Box (archive.org) la cinepresa assicurata ad un altalena e lanciata contro Robert Smith per il video diretto da Tim Pope

Le liriche del brano, inafferrabili proprio quando si presume di comprenderne il significato, si legano comunque alle riflessioni di Smith sul tempo, i mutamenti e la dimensione affettiva, con una messa in abisso continua tra più versioni del proprio sé. Tim Pope, che cerca quasi sempre il senso attraverso il movimento,le luci e i colori, affida proprio alla lotta tra Smith e la cinepresa l’esortazione ad allontanarsi dal dolore. La versione ectoplasmatica dell’artista inglese, una costante nella videografia della band tra riflessi e doppi, evidenzia quell’essere “inbetween”, che si verifica quando passato e presente collidono.

In between days viene filmato in soli tre giorni negli studi Fulham di Londra e con due settimane aggiuntive di post produzione solo per le sequenze dipinte e animate, escluso l’editing effettivo.

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The Cure – Close to me, il video di Tim Pope

Quando Robert Smith invia a Tim Pope una prima versione di Close to Me per la realizzazione del video, la sezione ritmica ossessiva e il respiro del musicista inglese che accompagna tutto il cantato, gli suggeriscono subito un’ambientazione claustrofobica e la definizione di uno spazio confinato e secluso.
In qualche modo, Close To Me, prosegue quel racconto per immagini inaugurato da Let’s go to Bed, dove l’intimità quotidiana diventa il luogo principale per la manifestazione del perturbante.
Il regista inglese interpreta in modo esemplare i contrasti del brano, sospeso tra dance, ricerca sonora e incursioni Jazz, traducendoli sul piano visivo in termini squisitamente sensoriali.

Gli oggetti dell’armadio, un pettine, una melodica, Robert Smith che soffia come un gatto, due piccoli pupazzi, rappresentano le dimensioni di un mondo infantile che improvvisamente rovescia la gerarchia percettiva da piccolo a grande, nella contrazione del mondo esperito. L’annichilimento si verifica in un luogo dove è impossibile venire a capo delle proprie facoltà motorie e dove la performance stessa diventa teatrino per pupazzi. Il burattinaio ancora una volta è la sostanza psichica e interiore a cui Smith/Pope offrono una figurazione concreta e allo stesso tempo, declinata con il lessico di un gioco per bambini. Tragico e grottesco, colorato e abissale, Close to me è una bizzarra immagine della depressione che buca le convenzioni della videomusica di quegli anni, assecondandone i parametri, per poi rovesciarne segni e risultati. L’acquario televisivo, con queste immagini così vicine e così lontane, non è più rassicurante.

La testa sulla porta compare nelle liriche del brano ed è in una recente intervista che Smith ha raccontato l’origine infantile della visione, causata dal delirio febbrile di alcuni giorni con la varicella. Quest’incubo tornato ad essere ricorrente durante la registrazione dell’album, aggiunge poco al mistero interiore di un brano che trova la sua forza nel gioco continuo e stridente tra registri opposti.

Questo contrasto va di pari passo con l’andamento slapstick del video, soprattutto durante il volo libero dell’armadio da uno scoglio di Hastings, immagine senza speranza eppure inscritta nella libertà giocosa dell’ordito.

I pupazzi, che compaiono anche nella sequenza dell’annegamento danzante, assolvono quella funzione simulacrale che nei video dei Cure, come dicevamo per In Between days, è una costante.

In una delle interviste per Video Killed the Radio Star, il format televisivo che sky diffondeva a partire dal 2009, Pope racconta come il video abbia indirizzato le sonorità del brano stesso, spingendo Robert Smith a remixarlo durante la lavorazione, per ottenere un risultato ancora più claustrofobico e consegnare in fase di montaggio la versione che conosciamo. Questo testimonia uno scambio creativo fecondo e il ruolo dei video come espansione di un formato come il singolo per tutti gli anni ottanta e i novanta.

Nel 1990 Tim Pope dirige una nuova versione del video per il remix del brano contenuto in Mixed Up. La clip è un vero e proprio follow up, che si impegna a raccontare il viaggio dei nostri negli abissi marini, poco dopo il volo libero dell’armadio dagli scogli di Beachy Head. Attaccati da polipi antropomorfizzati, i Cure si divincolano tra tentacoli e indumenti fuoriusciti dall’armadio, tra cui quei calzini multicolore che esondano in versione animata dal pianoforte di In Between days, proprio all’inizio del video. Al di fuori di questa connessione, che spiega la dimensione intima di entrambi i brani nel tentativo di superare una prigione interiore, il video aggiunge ben poco e non esce dal solco di un divertissment pop.

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The Cure – The Blood, il video di Gerard de Thame

Diciamolo subito, a scanso di equivoci. The Blood ha una storia totalmente a parte nella videografia dei Cure. Pur essendo presente sul canale Youtube ufficiale della band, insieme ad altri video pubblicati in HD, era legato originariamente ad un’operazione promozionale connessa al mercato spagnolo. Uscito l’anno successivo rispetto agli altri tre singoli, fu pubblicato in edizione limitata solo per la Spagna e veicolato da un video che circolava solamente nelle televisioni della penisola iberica.
Diretto da Gerard de Thame, professionista che durante il 1986 collaborerà anche con gli Erasure, non è stato incluso nelle raccolte video pubblicate dai canali ufficiali e rimane un oggetto creativo tutt’ora alieno rispetto alla sinergia espressiva, poetica e tecnica che Robert Smith e i Cure hanno stabilito negli anni con altri registi, da Tim Pope, con il quale hanno condiviso quasi 40 clip, fino a Floria Sigismondi e Sophie Muller in tempi più recenti.

Girato in bianco e nero come In between days, assegna la scena a due ballerini di flamenco, mentre il loro movimento viene sottolineato da animazioni cinetiche sul modello di quelle che sperimentavano in quegli anni Annabel Jankel con Donald Fagen, Steve Barron con David Bowie e via dicendo.

De Thame cambia spesso il punto di vista con inquadrature dall’alto e introducendo la coppia che calpesta la proiezione di un murales, barando sulla prospettiva. Da li in poi i movimenti circolari e rotatori dei ballerini investono anche una serie di oggetti del patrimonio storicoartistico. In successione compaiono, dettagli del ritratto di Johann Kleberger dipinto da Albrecht Dürer mentre ruota come un disco insieme ad un particolare del viso della Vergine nell’Annunciata di Palermo di Antonello da Messina e una croce di Cristo. Altri elementi sono La signora con ventaglio di Velazquez, il costato di Davide che viene fatto sanguinare nel Davide e Golia di Caravaggio, il libro di geremia e il Vangelo di Matteo disposti su un altare.
Il sangue cola da un grande calice sacerdotale sui libri sacri mentre i versi del brano ripetono la sezione più enigmatica I am paralysed by the blood of Christ.

Insomma, un suggestivo pasticcio visuale che cerca una connessione letterale, sia con la dimensione flamenco del brano, che con gli elementi più espliciti delle liriche, ma senza andare a fondo come aveva fatto Tim Pope per Close to me e In between days. Se da una parte lo stesso Robert Smith ha liquidato il brano come un gioco etilico, dove la frase citata sarebbe una licenza poetica adottata dopo aver personalmente testato una bottiglia di Lacryma Christi portoghese, l’ambiguità combinatoria delle liriche è la stessa di altri brani contenuti all’interno di The Head on the Door, dove tra incubo, desiderio, memoria e illusione, si combatte per cercare una via dal buio alla luce.

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The Cure – A night like this, il video di Tim Pope

A Night Like this uscì solamente come videoclip. Tim Pope ricrea una performance in studio come se si trattasse di un set live, in modo molto simile al lavoro fatto con Boys Don’t Cry per quanto riguarda ombre e impianto illuminotecnico, anticipando Just Like Heaven, di cui sembra una prova generale senza bluescreen e l’immagine epica da still life.

Quello che è interessante è il loop visuale in cui Pope incastra Robert Smith, con la ripetizione dello stesso travelling all’indietro, così da creare una falda claustrofobica che in qualche modo possa dialogare con il dittico più importante di The Head on the Door: Close to Me e In Between Days.
Il tema della separazione, di una perdita affettiva o se si preferisce di una sconnessione inconciliabile tra passato e presente, ripete quel movimento che all’interno del video di In Between Days consentiva a Smith di lanciare via la cinepresa, allontanando l’occhio televisivo. Ma in questo caso c’è meno libertà e Smith sembra condannato ad una coazione a ripetere, bloccato nel cono d’ombra della memoria, nonostante le prospettive di cambiamento.

Ancora una volta Pope, con mezzi più semplici e apparentemente di circostanza, interpreta il senso più profondo delle liriche, evitando semplici analogie e rintracciando le stesse suggestioni nelle luci e nella sostanza del movimento.

I want it to be perfect
Like before
I want to change it all

NOTA 2 – UPDATE 25-08-2022

Ci ha scritto Michele Franzinelli, del fan Club The Cure Italia, Out of This World, presente anche su facebook con un gruppo privato, raggiungibile da questa parte. Michele, che svolge un attento lavoro di ricerca e raccolta materiali dedicati all’attività della band di Robert Smith, ha stabilito negli anni contatti diretti con i componenti della band. Ci ha inviato oltre alle sue preziose considerazioni, alcuni documenti e due testimonianze che attestano la produzione di “A Night like this“, come congiunta a quella di “Boys Don’t Cry“, il video girato da Tim Pope per la VHS “Staring at the sea, The Images” nel 1986 e pubblicato nell’aprile dello stesso anno dalla Fiction / Palace Video con distribuzione Elektra.
La prima osservazione che Michele ci ha fatto è relativa al look di Robert Smith nella copertina del singolo di Boys Don’t Cry, scatto realizzato durante la produzione dei due video. Il look è lo stesso che vediamo nella clip di “A Night like this”

Boys Don’t Cry – New Voice mix – Artwork – 1986
Screen shot – A night like this, video (Dir: Tim Pope, 1986)

Uno dei documenti che Michele ci ha inviato è relativo ad una pagina del volume scritto da Andy Vella nel 2014 e intitolato Obscure: Observing the Cure. Vella, lo ricordiamo, è l’autore della maggior parte degli artwork dei Cure, oltre di una nutrita serie di fotografie che hanno documentato la trasformazione della band a partire dal 1981. Nel volume in questione, che è una summa del suo lavoro con una prefazione di Robert Smith, c’è una pagina che non possiamo agevolare per questioni di copyright, dove accanto ad una serie di scatti realizzati sul set di “A night like this” c’è scritto: “video shoot, a night like this, london 1986“.

Ancora più dettagliata la testimonianza di Mark Heatley, l’attore che nel video di “Boys Don’t Cry” intepreta Robert Smith nella versione infantile. Michele ci ha inviato l’estratto da un’intervista che ha tradotto personalmente e diffuso tra i membri del Fan Club, ma della quale non è rintracciabile al momento la fonte originaria. Nell’intervista Heatley rivela dettagli molto interessanti sulla lavorazione dei due video, che riportiamo nella traduzione di Michele Franzinelli: “Ci sono state nel corso degli anni varie storie sui tre ragazzi nel video così vi fornirò qualche dettaglio. Io ero il ragazzino che interpretava la parte del giovane Robert. Anche gli altri due ragazzi erano iscritti alla stessa classe amatoriale di recitazione e venimmo mandati alle audizioni a cui partecipavano centinaia di ragazzi. Fummo scelti perché non provenivamo dalle scuole più titolate. La versione originale della canzone non aveva un video e loro volevano realizzarne uno così da poterlo inserire nella compilation video che stavano per pubblicare. Le immagini sullo sfondo vennero girate una o due settimane prima e ci furono spedite su una vhs. Solo che la ricevemmo il giorno prima delle riprese, così non abbiamo avuto molto tempo per imparare i movimenti delle nostre ombre – abbiamo fatto il massimo possibile. Avremmo potuto fare molto meglio se avessimo avuto più tempo. Gli strumenti che usavamo erano molto piccoli, quasi delle miniature e questo probabilmente è il motivo per cui non corrispondono esattamente con quelli veri suonati dalla band. Le riprese durarono un giorno e venne usata una camera frontale per proiettare le immagini girate su uno schermo color argento alle nostre spalle e riprendere l’insieme. Nello stesso momento i Cure stavano girando il video di A Night like This nello studio accanto così una volta finito andammo a vederli mentre finivano le riprese. Entrambi diretti da Tim Pope. Avevo 11 o 12 anni al tempo, adesso ne ho 46 e sembra ancora come se fosse ieri. A proposito, se vi chiedete perché in alcune riprese non tocchiamo le corde degli strumenti, il motivo è che l’avevamo fatto per tutto il giorno e le nostre dita erano a pezzi…

L’update precedente (24-08-2022) viene mantenuto come documentazione del processo di acquisizione delle informazioni e anche come traccia del metodo di lavoro di indie-eye per il confronto e la verifica delle fonti, quando lavoriamo, dal 2005, ad articoli e approfondimenti.

NOTA – UPDATE 24-08-2022

In seguito ad alcune mail giunte in redazione che indicano il video di “A night like this” come produzione realizzata appositamente per la VHS “Staring at the sea – The Images“, insieme ai video di Boys Don’t Cry, Jumping Someone Else’s Train e Killing an Arab che Tim Pope girò per il prodotto della Fiction Video / Palace Video distribuito da Elektra nel 1986, dobbiamo fare alcune precisazioni, nonostante le osservazioni abbiano buonissime ragioni per essere considerate valide. Buona parte delle discografie ufficiali, inclusa la dettagliatissima pagina Discography di Wikipedia UK, indicano “A night like this” nel blocco produttivo del 1985, mentre The Blood, escluso dalla video compilation su VHS viene inserito tra i video realizzati l’anno successivo insieme ai tre citati. Se IMDB riporta la data 1986 senza alcuna nota di produzione (location, studio, data di produzione), numerose altre fonti, tra cui il volume The Cure FAQ: All That’s Left to Know About the Most Heartbreakingly Excellent Rock Band the World Has Ever Known di Christian Gerard inseriscono “A night like this” tra i video prodotti nel 1985. Non abbiamo ancora potuto consultare le annate Billboard 1985 / 1986, pubblicazione molto dettagliata sui video in produzione, né ci sono informazioni specifiche tranne un riferimento ad un presunto comunicato stampa della Elektra pubblicato nel 1986 e riportato su Worldcat che recita: “Their new home video, chronicles the profound success of Staring at the sea, the images. It features thirteen tracks from the album plus four additonal videos and rare anecdotal footage“. Il riferimento a quattro video addizionali includerebbe ovviamente anche “A Night like this”, ma questo attesterebbe la destinazione del video e il contenitore con cui è stato diffuso, non l’anno di produzione che è cosa differente. In mancanza di dati di produzione specifici, abbiamo preferito mantenere l’anno di riferimento al 1985. Va da se che lo stile “visual” del video, esattamente come quello di Jumping someone else’s Train e soprattutto di Boys Don’t Cry, come tra l’altro avevamo già scritto, si riferisce ad un approccio molto simile e allo stesso tempo diverso dall’architettura narrativa e produttiva dei video realizzati per la promozione di The Head on the door (In between Days e Close to me), questo fa pensare ovviamente ad una produzione ravvicinatissima. L’altro aspetto fondamentale che va considerato è la presenza di un singolo dodici pollici promo di “A night like this”, diffuso nel 1985 in vinile 12 pollici, senza artwork (numero di catalogo ED 5130) con sleeve die-cut ed escluso dalla vendita. Questo attesterebbe l’esistenza di un singolo destinato alla programmazione nelle radio durante il 1985 e quindi una corrispettiva e ipotizzabile rotation del video nelle TV tematiche, durante lo stesso anno. L’idea che sia stato girato “insieme” a Boys Don’t Cry, presumibilmente quindi nello stesso studio, non è peregrina quindi, ma dalle fonti in nostro possesso deriverebbe da una data riportata in alcune videografie (Marzo 1986) desunta sia per “Boys Don’t Cry” che per “A night like this” da un’indicazione presente sulle schede corrispondenti pubblicate su Internet Movie Database. In realtà IMDB indica chiaramente Marzo 1986 come date di uscita, non di produzione (sono concetti diversi), per “Boys Don’t Cry” e per “A Night like this”. Per uscita, per quanto IMDB sia spesso molto impreciso per i videoclip, si intende rotazione ovviamente, tempistica probabile per promuovere la pubblicazione della raccolta video VHS, prevista per il novembre successivo, in concomitanza con altre operazioni promozionali come la pubblicazione del nuovo Mix di Boys Don’t Cry, pubblicato su Fiction nell’aprile del 1986.

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