Per celebrare dieci anni di carriera, nel 2004 i Low mettono insieme un box di rarità e b-sides selezionate in ordine cronologico e senza applicare un filtro formale. Al contrario, tra demo, tracce comparse in alcune compilation, b-sides e altro materiale ritrovato, decidono di includere tutto lo scibile, senza alcun criterio qualitativo e allo scopo di consegnare una documentazione completa ai margini della discografia ufficiale. Una vera e propria eccedenza, il cui scopo è lasciar scegliere all’ascoltatore lungo tre CD di musica e un quarto disco DVD che raccoglie tutti i video prodotti sino a quel momento, oltre a tre documentari realizzati da Marc Gartman.
Se il recente e “invisibile” Low: Movie – How to Quit Smoking, documenta la relazione ventennale tra la band di Parker/Sparhawk con il regista Philip Harder, veterano della videomusica e autore di gran parte dei loro videoclip, la raccolta di A Lifetime of tempory relief parte dalla parentesi di Secret Name, che si riferisce ai cinque video diretti da Kristin Grieve per la band di Duluth. Realizzati tutti nel 1999 durante la promozione del quarto album dei Low prodotto da Steve Albini, seguono in parte le scelte già delineate da Harder a partire dal 1994. Approccio minimale, l’impiego di pellicole a formato “ridotto”, la presenza della band in uno spazio performativo quasi sempre ellittico. In Weight of Water e Don’t understand si replica la fotografia still life dell’artwork dell’album, con la luce sparata su parete bianca.
Mentre il primo video alterna alle immagini della band alcune sequenze di macrofotografia floreale, quasi a sottolineare la comunione con gli elementi sottesa dalle liriche del brano, Don’t Understand sceglie una via più sperimentale nella relazione tra immagine e suono. Apparentemente più tradizionale, è costituito da close up della band impegnata a suonare e catturata un momento prima oppure l’istante successivo, rispetto al rimario armonico o alla deflagrazione di un cluster chitarristico. Si sviluppa a poco a poco un’asincronia basata sulla sospensione del gesto e sulla potenzialità del suono espressa da un’immagine silente. Un piccolo saggio sull’immagine sonora, svuotata dalle caratteristiche narrative che sovente spingono i video musicali nello spazio di un cinema involontariamente muto, e quindi nuovamente investita di suono.
Low – Don’t Understand – Dir: Kristin Grieve
La Grieve manipola il tempo di un found footage famigliare e passa ai dettagli della band quando il loop trascolora nell’incedere marzialmente funebre della strumentazione elettrica. Ad eccezione di brevi frammenti in lipsync, l’immagine rivela il suono proprio laddove non lo mima.
Si tratta del video più bello tra quelli diretti dalla filmmaker americana, perché segnala un rigore che non abbandonerà mai la videografia dei Low, per il modo in cui tempi e spazi della videomusica, vengono riletti attraverso i codici del cinema delle origini e di quello delle avanguardie.
Se Immune si serve in modo meno convincente di alcune intuizioni già sperimentate in Don’t Understand, Will the Night gioca con la sovrimpressione tra found footage e performance usando ephemeral movie bellici che occuperanno tutto il video di Home. Irreperibile in rete, quest’ultimo, sfrutta le immagini della guerra di Corea, utilizzando la scansione temporale suggerita dai cluster chitarristici, per manipolare il tempo dell’immagine e definire il montaggio in una forma dilatata e rallentata.
La raccolta del 2004 include l’unico videoclip diretto da Marc Gartman. Dinosaur Act contrae nello spazio del brano il lavoro documentaristico del suo “Closer than that“, film di sessanta minuti che segue il lavoro dei Low in tour, tra vita professionale e vita quotidiana, spiritualità e musica. Questo è incluso nel DVD insieme al making di Secret Name e un breve documento sulle session di In the fishtank, il progetto dell’olandese Konkurrent, che ospitò i Low a registrare insieme ai Dirty Three.
Ma è la collaborazione con Philip Harder a definire un linguaggio che si affinerà nel tempo. Filmmaker attivo sin dagli anni ottanta, innamorato del super 8 e vicino ad artisti come Sonic Youth, Big Black, The Afghan Whigs, solo per citarne alcuni, comincia a lavorare per i Low nel 1994 con il video di Words, tratto da I Could Live in Hope. Filmato in 16mm bianco e nero sul ghiacciatissimo Lake Superior, tra Stati Uniti e Canada, punta sulla presenza rumorosa della grana, quasi per spingere in una dimensione opaca e irraggiungibile, le immagini della band che trascinano una piccola imbarcazione sul ghiaccio. C’è un’epicità à la Flaherty che viene alternata alla collocazione dei Low in una grande ballroom vuota, contrastata e vicina alla fotografia di Anton Corbijn. Ma sono le immagini sul ghiaccio a creare una sospensione temporale legata al suono Low, così lontano e allo stesso tempo vicino all’estetica del rumore.
Low – Words – Dir: Philip Harder
Un’altra ballroom stavolta dai colori caldi e saturi, sospesa nel tempo del ballo è quella di Shame, il video successivo diretto da Harder per i Low e tratto da Long Division. I palloncini rossi che riempiono la stanza sono gli stessi che un povero vecchio cerca di vendere per le strade di una città ostile. Le liriche allusive, suggeriscono il sentimento della vergogna come una conseguenza della solitudine e del dolore. Come accade sovente nel songwriting dei Low, i versi si risolvono nello spazio contratto di un haiku, mentre vengono dilatati all’estremo attraverso la scansione armonica e lo spettro vocale. In questo scarto paradossale del tempo, la performance dei Low testimonia una presenza tra fantasmi, mentre il vecchio risulta invisibile ad un’intera comunità. Shame è l’opposto complementare di Words, nel tentativo di costruire un’epica della solitudine, l’attraversamento di un deserto e lo spazio separato della performance a cui viene affidato lo storytelling.
Low – Shame – Dir: Philip Harder
Per The Curtain Hits The Cast, i Low scelgono Over the ocean come singolo/video e a dirigerlo è sempre Philip Harder. Girato all’interno di un edificio durante la demolizione, agita lo spazio visivo del videoritratto e lo arricchisce con una serie di nature morte in movimento. Video radicalmente diverso dai primi realizzati da Harder per i Low, in realtà prosegue il lavoro sul tempo dell’immagine come dispositivo che stacca l’esibizione della band dalla fruizione frontale tipica della retorica catodica, per immergerla in una dimensione dove il tempo si consuma, si corrompe e spezza la relazione sincrona tra immagine e suono. Il testo, una riflessione sulla mortalità e sulla persistenza dello spirito oltre la morte, risuona nella consueta contrazione/dilatazione tra parola scritta ed esecuzione, mentre il mondo materiale si sgretola.
Low Over the ocean – Dir: Philip Harder
La compilation include anche i quasi 11 minuti di Looking Out for Hope, cortometraggio che fu incluso esclusivamente nel cofanetto. Prodotto da Rick Fuller, riutilizza alcune delle immagini di Words girate sul Lake Superior, ricombinate con footage inedito, grattage su pellicola e la narrazione di Mike Nicolai che legge un racconto di Bryan Mallessa da “Voices of the Xiled“, un volume che raccoglieva venti contributi da altrettanti giovani scrittori nordamericani. Gli elementi contemplativi di Words vengono espansi ai fini della narrazione e lo spazio occupato dal rumore dell’immagine, dal grattage, dallo sporco della pellicola, dalla grana del supporto analogico, consente al suono di riempire lo spazio visivo, mentre la funzione rappresentativa si svuota.
Canada, girato nel 2002 in occasione dell’uscita di Trust, è una delle clip più divertenti e politiche tra quelle realizzate da Harder nella sua ventennale collaborazione con i Low. Anche in questo caso, lo spazio performativo è la risultante di una dimensione aberrante. Si viene a creare per un accidente che investe violentemente lo spazio visivo con la necessità di produrre un suono, proprio dove ogni elemento costitutivo viene negato. Harder rimane quindi dentro un genere, che è quello dei videoclip performativi, ma lo affronta secondo un procedimento situazionale, manipolando tempo e spazio, per dislocare l’esecuzione e disallinearla dalla centralità assegnatale da decenni di video promozionali. La videomusica, laddove è contro l’energia del rock, come ci hanno suggerito i Replacements o i Rolling Stones, viene riscritta proprio a partire da questa incommensurabilità creata dal contrasto tra dimensione live e pantomima in lipsync. Il set quindi, viene distrutto e ricombinato con la forza di un assalto elettrico.
La relazione tra Harder e i Low si concludeva qui, al tempo di “A lifetime of temporary relief”, per poi proseguire a lungo in un sodalizio tra i più interessanti della videomusica contemporanea
Low – Canada – Dir: Phil Harder