Nel 2020 Paolo Santamaria realizza il videoclip di “Dormo Poco e sogno molto” per España Circo Este, il progetto apolide di Garrincha Dischi, quell’anno in promozione con l’album Machu Picchu, il terzo della loro produzione e il secondo prodotto dall’etichetta fondata da Matteo Costa Romagnoli. Filmato nei giorni appena precedenti al primo lockdown negli studi di The Factory, realtà creativa legata al regista marsicano, il lavoro è frutto degli sforzi dell’animatore Gianpaolo Calabrese, insieme a Marco Anselmi e ovviamente a Paolo Santamaria.
Nel video, il viaggio di un migrante, disegnato e animato con forme essenziali per lo più desunte dall’immaginario Internet, si ricongiunge a quello dell’amata, attraversando mari e terre da un dispositivo mobile all’altro, rompendo quindi i confini degli schermi e creando uno spazio immaginario tra un telefono e un tablet. Un piccolo, efficace saggio sulla nostra percezione del viaggio e della realtà più cruda, attraverso i dispositivi che comunemente e quotidianamente utilizziamo.
Mentre vi rimandiamo a questa intervista concessa da Santamaria a Indie-eye e dedicata al making del video, vorremmo soffermarci sui numeri, i riconoscimenti e il successo ottenuto da questo lavoro.
Dormo poco e sogno molto in poco tempo fa incetta di premi ai principali festival di settore, ottiene un riconoscimento anche a Cortinametraggio, uno dei festival italiani più longevi e importanti tra quelli dedicati ai formati brevi, fino alla vittoria nella sezione videoclip di Asolo Art Film Festival 2021.
Tra le motivazioni, si menziona ovviamente il “come”, oltre al “cosa”, ovvero il framework innovativo che innesca l’intera dinamica narrativa; la riflessione sui dispositivi e sul modo in cui filtrano la realtà più cruda ed infine l’originalità e la freschezza del concept tecnico principale.
Per Santamaria stesso, come ha raccontato al Berlin Music Award 2021in questo video, i dispositivi, così comuni come oggetti con cui viaggiamo, diventano strumenti per raccontare un’altra forma di viaggio, capace di rivelare la contraddizione tra le possibilità connettive e una tangibile distanza, un vero e proprio muro che si frappone alla realtà empirica.
Il video ha totalizzato poco più di 15.000 visite fino a questo momento, un risultato comune per quanto riguarda i video legati a produzioni indipendenti, ma che ovviamente non ha niente a che vedere con la maggiore o minore qualità di un prodotto.
España Circo Este – Dormo Poco e Sogno Molto – il video di Paolo Santamaria (2020)
Facciamo un salto indietro al 2014. Lo studio creativo ucraino SYT-X, con base a Kyiv, dopo un considerevole portfolio in ambito pubblicitario e crossmediale, contribuisce a realizzare la animazioni per il nuovo video dei Brunettes Shoot Blondes, band conterranea fondata a Kryvyi Rih nel 2010.
Knock Knock anticipa di qualche mese la pubblicazione del primo EP intitolato Bittersweet e viene diretto dalla stessa band ucraina, insieme all’agenzia creativa, sfruttando 14 dispositivi mobili: sei iPhone, un iPod nano, tre MacBook Air, due iPad e due iPad mini. L’animazione, realizzata con l’ausilio di Adobe After Effects e Maya, viene segmentata in una serie di frammenti, per effettuare successivamente una sincronizzazione in tempo reale sui dispositivi coinvolti. Al centro l’impossibile storia d’amore di un uomo con la testa di coniglio, che insegue la donna desiderata da un dispositivo all’altro, affrontando numerosi ostacoli, tra cui il blocco del telefono, l’invasione di icone ed emoticons e altre avventure che si legano all’immaginario connettivo.
Questo è il risultato
Brunettes Shoot Blondes – Knock Knock, il video di Brunettes Shoot Blondes & SYT-X (2014)
Il concept e i risultati di Knock Knock sono praticamente identici a quelli del video di “Dormo poco e sogno molto”, ma la clip dei creativi ucraini è stata realizzata sei anni prima.
Cambia il senso nonostante la cornice tecnica e creativa?
Non del tutto, perché al di là delle differenze narrative, il nucleo tematico di due innamorati che non riescono a raggiungersi, rimane al centro, veicolando una riflessione molto simile sul muro di incomunicabilità che la società connettiva e always connected ha eretto tra individui.
Se il video con le animazioni di SYT-X sceglie una via giocosa e più in linea con l’immaginario pop, semplificando il tutto nella dimensione relazionale, il risultato non è meno “politico” rispetto alla variante introdotta da Paolo Santamaria e dal suo gruppo di creativi.
Il video di Knock Knock ha totalizzato ben 67 milioni di visualizzazioni, grazie ad una promozione virale imponente che ha offerto ai Brunettes Shoot Blondes una copertura internazionale molto ampia e la vittoria come “Best Concept Award” ai Berlin Music Video Award del 2015.
Che la rete sia costituita da una serie di bolle spesso incomunicanti è un fatto. Chi scrive ha visto il video per la prima volta un paio di settimane fa, nonostante la sua ampia diffusione internazionale. La stampa italiana ne parlò nel 2014, ma tranne rarissime eccezioni, solo quella generalista, oppure le testate giornalistiche legate alla cultura tecnologica, all’informatica di consumo e al mondo Apple, per ovvi motivi, confermando la dimensione virale del progetto. Come sappiamo i video virali girano su un binario simile, ma parallelo, rispetto alla promozione dei videoclip tout court.
L’ecosistema di informazioni reperibili in rete è anche un ecosistema personale, filtrato da numerosi aspetti, alcuni dei quali possono avere a che fare con la casualità.
Ci chiediamo se sia altrettanto casuale una somiglianza così flagrante tra i due video, e questo non andrebbe certo chiesto ai creativi ucraini.
L’ideazione di Knock Knock, come dicevamo, è tra l’altro attribuita alla stessa band di Andrii Kovalov, tanto che i Brunettes Shoot Blondes figurano come registi del progetto, mentre studio SYT-X viene accreditato per la messa a punto dei segmenti animati.
A conferma di un’idea visuale ben precisa che ha accompagnato la promozione di Bittersweet, c’è il video omonimo, uscito dopo Knock Knock e che con metodi, set e stile diversi, mette sempre in scena una relazione incorporata e imprigionata tra gli schermi. A dirigerlo, lo stesso Andrii Kovalov
Brunettes Shoot Blondes – Bittersweet – il video di Andrii Kovalov
A Light for Attracting Attention è uscito lo scorso 13 maggio. La nuova band di Thom Yorke e Jonny Greenwood condivisa insieme a Tom Skinner, batterista dei Sons of Kemet, ha pubblicato su XL Recordings il lavoro prodotto da Nigel Godrich, collaboratore di lungo corso dei Radiohead. Per veicolare l’album, al momento di scrivere disponibile solo in formato digitale, sono stati prodotti due videoclip. Il primo uscito in ordine di tempo è stato realizzato dai geniali León & Cociña, al secolo Cristóbal León & Joaquín Cociña, animatori cileni, autori del bellissimo lungometraggio La casa lobo, mix creativo tra racconto di formazione per l’infanzia e horror, girato interamente in tecnica stop motion e puppet animation. Il video realizzato per il nuovo progetto di Yorke si intitola The Thing, e mantiene al centro lo stile del duo, tra collage, animazione e stop motion applicato agli oggetti concreti, con uno stile che solo in parte ricorda quello del maestro Jan Švankmajer. Non a caso citiamo il surrealista praghese, perché León & Cociña mantengono al centro sia l’estetica horror di alcuni dei loro lavori, elaborando però una fantasia visuale dell’inanimato che molto ha a che fare con il cinema delle avanguardie, anche per la “grana” stessa dell’immagine.
Calchi dei componenti della band costituiscono parte della cranioteca fantastica dei due registi cileni.
Prima di Thin Thing, The Smile avevano affidato il lancio dell’album a Free in The Knowledge, debutto nel mondo del videoclip per il documentarista e regista Leo Leigh. L’occhio surreale, cinico e a tratti oscuro che attraversava lavori come Mother o documentazioni lucide come Beautiful liverpool, viene concentrato in quattro minuti di esplorazione lisergica che disinnescano l’immaginario tipico delle controculture. Storia di un trip sbagliato, è un mix tra cinema di finzione e found footage, quest’ultimo applicato senza ricorrere ai soliti archivi condivisi, ma sfruttando nel modo migliore una collezione personale di film in pellicola, conservata a partire dagli anni sessanta dalla sua famiglia. Il risultato è infatti intimo e visionario, feroce e allo stesso tempo alla ricerca di una luce empatica. Senza scegliere una via giudicante oppure le forme tipiche del cautionary tale, realizza una fenomenologia di certo fideismo, raccontando i nostri tempi complottardi in forma del tutto ellittica.
Le porte della percezione aumentata conducono irrimediabilmente alla cecità.
Ricostruire la storia della musica indipendente e alternativa Ucraina non è un’impresa facile. Definizioni come “Novaya Scena” e la recentissima “New Ukrainian Music“, non circoscrivono fenomeni omogenei, ma impostano un dialogo difficile tra passato e presente. A differenza di tendenze omologhe in occidente, i percorsi di alcune scene musicali, hanno fatto i conti con la complessa storia del paese, tra le pressioni e le censure governative a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta. L’esplosione di stimoli che per alcuni decenni si sono sviluppati nella semi clandestinità, hanno confinato la fruizione in una zona grigia, tra grande fermento creativo e potenziale oblio.
Il post-punk Ucraino in qualche modo tracima anche nella scena alternativa degli anni novanta, così come la “New Ukrainian Music” del 2014 nasce come ridefinizione identitaria e creativa di una storia politica traumatica, che in qualche modo recupera le istanze del passato come genoma rivoluzionario. Rispetto al citazionismo formale che dal nuovo millennio in poi ha caratterizzato la musica dell’Europa occidentale, il revival in Ucraina segue coordinate diverse, più creative e decisamente più urgenti.
Un’etichetta come la Shukai records, per esempio, è specializzata nel recupero di musica ucraina perduta, in un periodo circoscritto dagli anni sessanta ai novanta, pubblicata spesso su nastro o su supporti ormai introvabili. Il concetto stesso di etichetta è in certi anni molto labile, e si qualifica secondo una filosofia DIY, intorno ai concerti clandestini allestiti nelle abitazioni, alla rete dei festival, al passa parola.
La ricostruzione del passato musicale ucraino tra gli anni ottanta e i novanta del novecento è complessa e comincia grazie al lavoro di etichette come la già citata Shukai e ad alcuni recuperi degli anni novanta operati dalla Quasi Pop Records, etichetta ostinatissima che a partire dai primi anni del nuovo secolo ha distribuito anche le proprie novità rigorosamente su audiocassetta, mantenendo quindi un fil rouge ideale con modalità produttive che fino a trent’anni fa caratterizzavano una prassi difficile, tra autogestione e attitudine clandestina. A queste operazioni di recupero, si aggiungono le iniziative di alcuni giornalisti, tra cui Tetiana Yezhova, che oltre alla sua attività di documentazione, per lo più pubblicata in rete, ha realizzato un film sul rock indipendente 1986-1995, circoscritto alle sole band attive nella città di Kyiv e intitolato Дайте звук, будь ласка! (Accendi il suono, per favore!) (parte uno e parte due).
Howl è il singolo di Mund, tratto da Hunting, l’album di debutto dall’artista ucraino pubblicato su cassetta da Quasi Pop nel 2017. Il video è un piccolo capolavoro diretto dallo stesso Pymin Davidov, vero nome di Mund, tra gli artisti indipendenti ucraini più interessanti in circolazione.
Ucraina: nuovi paesaggi elettronici. Tradizione e innovazione
Ma è nell’ambito della musica elettronica che si verifica il fermento più stimolante, che ci consente di affrontare un presente in divenire. Questo si svolge intorno all’esplosione della rave culture degli anni novanta, ma anche nell’ambito più accademico della sperimentazione elettroacustica, che in più di un caso dialoga con la scena techno contemporanea. Un approccio che viene sancito da festival come il seminale Nextsound, dove questo scambio fecondo tra i veterani della sperimentazione e le nuove propaggini spontanee della musica elettronica, trova un inedito spazio di convergenza, capace di influenzare le nuove generazioni attraverso una storia enorme e vastissima legata alla ricerca in ambito colto, ma anche alle contaminazioni della musica folk, finalmente libera dall’immagine simulacrale che il regime sovietico aveva imposto. La kermesse ideata da Andrey Kiritchenko è stata un fiorire di nuove idee anche in termini produttivi, con la fondazione di un’etichetta specifica che ha caratterizzato l’elettronica non solo Ucraina, ma dell’intera Europa negli ultimi venti anni.
Se il regime sovietico aveva cercato di normalizzare la tradizione musicale popolare ucraina, confinandone gli elementi sonori e strumentali in un ghetto folk impermeabile, è proprio contro questa concezione che la musica pop, rock ed elettronica contemporanea comincia a dialogare con gli aspetti più indomiti della tradizione. Con il termine sharovarshchyna ci si riferisce ai larghi pantaloni dai colori sgargianti indossati dai cosacchi dello Zaporozhye, un costume teatrale concepito dal mondo sovietico che diventa anche immagine standardizzata della musica popolare Ucraina. Si tratta per certi versi dello sfruttamento superficiale e stereotipato di una cultura complessa. Maria Sonevytsky, etnomusicologa dell’Università di Berkeley in California, ha studiato approfonditamente il fenomeno e ha assegnato al termine sharovarshchyna una definizione più ampia. Dalla storicizzazione del concetto all’interno del regime sovietico, fino alla capacità delle nuove formazioni folk come i DakhaBrakha, di ravvivare la tradizione al di fuori di un rigido contesto accademico, con una nuova concezione di World Music. Si recuperano quindi suoni dimenticati, selvaggi e inediti del folklore musicale ucraino, per contaminarli con altre influenze, da oriente a occidente. Per Sonevytsky questo aspetto identifica la liminalità geopolitica dell’Ucraina stessa e sconvolge le strutture musicali “alla moda” del Sud Globale.
DakhaBrakha in questo senso, è una delle esperienze apolidi e multiculturali più interessanti del panorama musicale globale, forse dai tempi della Penguin Cafè Orchestra. Il quartetto nasce a Kyiv nel 2004 e oltre ad una rilettura del proprio folklore, introduce elementi musicali bulgari e ungheresi, strutture prelevate dalla musica africana, il tutto con l’intenzione di restituire gli aspetti più selvaggi e rituali della musica tradizionale.
Vesna, il brano veicolato da un video di Diana Rudychenko, esce cinque anni prima di uno dei loro dischi fondamentali, quel “The Road” che dedicano proprio all’Ucraina, negli anni più difficili per il paese. Di recente, l’ensemble ha cambiato tutte le thumbnail dei propri video sul canale ufficiale Youtube, con un banner che recita “No War – Stop Putin“
Contaminazioni e intertestualità sono quindi le caratteristiche fortemente apolidi della musica contemporanea Ucraina, in qualche modo vicina al “quarto mondo” preconizzato da Brian Eno e John Hassell nelle loro Possible Musics. In quel caso, le estetiche primitiviste e rurali, venivano combinate con una concezione futuristica per il 1980, dove la world music incontrava la decostruzione elettronica.
Questa sintetica e insufficiente ricognizione ci serve per introdurre le produzioni, le sonorità e i numerosi stimoli che la nuova musica ucraina, termine che in qualche modo ha cominciato a farsi strada a partire dalla Rivoluzione della dignità, ha messo in gioco come ridefinizione identitaria, culturale e sonora.
Lo facciamo attraverso alcuni videoclip, Dj set, performance live, ma anche con le iniziative audiovisive degli ultimi mesi, alimentate da una militanza sempre più esplicita, capace di coinvolgere in un dialogo orizzontale mainstream e underground. La nostra è una sintesi “redazionale”, con un’attenzione specifica alla musica elettronica, che ci ha condotto a verificare una sorprendente prevalenza di artiste donne.
I Shall sing until my land is free: la politica sonora di Kateryna Zavoloka
Semplicemente identificata come Zavoloka, la geniale musicista elettronica stanziata a Berlino, è nata a Kyiv nel 1981. Con una nutrita discografia introdotta nel 2003 grazie alla Nexsound, ha continuato a collaborare con la seminale etichetta fondata da Andrey Kiritchenko fino al 2006, anno in cui ha cominciato a pubblicare per la Kvitnu di Dmytro Fedorenko, conosciuto in ambito artistico come Kotra. Per la Kivtnu, Zavoloka ha messo in pratica il suo talento anche come graphic designer, curandone la grafica e sviluppando gli artwork dell’etichetta.
Glitch, elettronica di matrice pop, IDM di qualità, il suo lavoro tende più all’introspezione ambient, ma con i piedi ben radicati nella terra d’origine. La caratteristica principale delle sue produzioni musicali è infatti la relazione stessa con il folk “mai sentito” della tradizione ucraina. Un album come Vedana, pubblicato nel 2011, decostruisce alcune canzoni popolari ucraine, atomizzate e rigenerate nel flusso sonoro che scorre sotterraneo come se fosse una falda acquifera. Per i video si affida agli sperimentatori europei più radicali, tra cui Laetitia Morais (Vedana), con cui collabora anche su alcuni set live e l’artista digitale olandese Julius Horsthuis (Polonyna).
Un esempio chiarissimo dello scambio tra tradizione e nuova musica elettronica è Arkan, danza tradizionale degli Hutsuli, gruppo etnico della regione dei Carpazi, usualmente eseguita dagli uomini intorno ad un falò. Zavoloka traduce la qualità sciamanica della danza in un viaggio che combina noise, distorsioni e un pattern percussivo che dal dancefloor passa direttamente all’esperienza psichica.
Zavoloka, come tutta la comunità elettronica ucraina, ha partecipato direttamente e in modo creativo, alla difficile storia politica del paese dal 2013 fino ad oggi. “I shall sing until my land is free” è la frase sovrimpressa sopra i colori della bandiera Ucraina, fissata sui suoi profili ufficiali.
Il video che condividiamo con i nostri lettori è il bellissimo Slavlennya, parola che significa “glorificazione“. Il brano è ispirato alla rivoluzione di Maidan del 2014. Le influenze house e techno, come capita sovente nella produzione della geniale musicista, sono ricondotte verso un flusso più meditativo e letteralmente aggredite con inserti sonori anomali. Qui non è la tradizione folk, ma il suono del reale, field recording vero e proprio documentato sul posto, con i suoni metallici della rivolta per le strade, quelli delle macchine della polizia bruciate, le esplosioni dei gas lacrimogeni e ciò che la stessa Zakolova chiama “la sinfonia delle bombe molotov“.
Zakolova usa anche una frase potente, feroce come tutte le rivoluzioni, per definire questa trasfigurazione della realtà sonora: il napalm libertario della trasformazione
Dmytro Fedorenko: il corpo, la mente, la libertà e la stella corsara
Dmytro Fedorenko, fondatore dell’etichetta ucraina Kvitnu, è meglio conosciuto con il moniker di Kotro. La sua produzione ha fatto da apripista per tutta la scena elettronica ucraina del nuovo millennio. Stanziato a Berlino, ha trasformato l’etichetta in un luogo di convergenza e contaminazioni, a conferma delle caratteristiche liminali di cui parla Maria Sonevytsky nei suoi studi, quando si riferisce alla peculiarità della musica ucraina. Sotto contratto ci sono infatti artisti finlandesi, francesi e italiani, tra cui i notevoli Andrea Belloni e Michelangelo Roberti da Lodi, con il progetto di rock estremo Garaliya.
Disturbante e devoto a quella ricerca del limite sonoro che caratterizza tutte le esperienze situate della musica elettronica che mettono al centro l’alterazione psicofisica, è un artista proteiforme, che si dedica anche al video, alla produzione di pittura astratta e alla fotografia.
Oltre alla produzione registrata come Kotro, manda avanti altri progetti, uno di questi è la band Cluster Lizard. Ed è sull’ultimo lavoro condiviso da Fedorenko insieme a Katerina Zavoloka che ci vorremmo soffermare.
“Star Corsair” è un lavoro di ambizioni spirituali e politiche. Dedicato allo scrittore di fantascienza ucraino dissidente Oles’ Berdnyk, tra coloro che hanno fatto l’esperienza dei campi di concentramento sovietici, è una rilettura di un suo noto romanzo e un vero e proprio omaggio alla sua arte, dal punto di vista di Fedorenko e Zakolova, assolutamente unica nel panorama artistico, spirituale e politico ucraino. Il centro è lo sviluppo personale e il concetto di libertà inteso secondo coordinate che si riferiscono a quello stesso processo interiore. “Un’incredibile concentrazione di idee potenti – dichiarano Cluster Lizard – sottilmente incorporate sulle spirali multilivello del futuro, modellato e contaminato esso stesso con il passato creato dal mito” In questa lotta tra la decadenza della civiltà e l’esplosione di rivoluzioni impossibili, emerge il fuoco della libertà acceso dai liberi pensatori.
Percorso interiore quindi, sulla scia della sci-fi umanista di Berdnyk, ma anche azione pura, come vettore sonoro e politico per la ricerca della libertà. Musicalmente “Star Corsair” rilegge l’epica del viaggio interstellare con sonorità che cercano una chiara espansione percettiva, connettendosi solo in parte con il patrimonio musicale della musica per il cinema. Le tentazioni ambient in questo senso, vengono disattese in modo fecondo da una tendenza poliritmica che è tipica dell’elettronica ucraina. Una sorta di techno-rave rallentata, con pulsazioni decise ma sottopelle, che da una parte conferiscono alla musica una dimensione cinetica, dall’altra ne decostruiscono gli appigli corporei, trasponendola in una dimensione del tutto psichica.
Il video che condividiamo è realizzato dagli stessi Cluster Lizard con il progetto musicale e grafico Prostir
Poly Chain: Elettronica, singolare femminile
La prevalenza femminile nella scena elettronica ucraina è una caratteristica importante e che non ha molte analogie con quello che accade nel resto dell’Europa, per prassi, attitudine, determinazione e capacità di riconfigurare un contesto a partire da nuove coordinate di genere. Tra i nomi più interessanti degli ultimi anni è necessario citare Sasha Zakrevska, musicista, DJ, curatrice, designer e conduttrice radiofonica di Kyiv. Una dimensione proteiforme che caratterizza gli artisti ucraini a partire dalla strada aperta da Zavoloka nei primi anni del nuovo secolo. Con il moniker Poly Chain, Sasha produce elettronica da Varsavia, dove si è trasferita, ma allo stesso tempo mantiene una connessione stretta con il brodo di coltura dell’elettronica ucraina, stabilendo relazioni importanti tramite i festival che organizza. Sedotta dal suono e dall’architettura dei Synth sin dall’adolescenza, infonde alla sua musica dinamiche che ricordano l’avventura analogica degli anni ottanta, con la quale combina un’estetica lo-fi e l’amore per l’audiocassetta, formato prediletto con cui divulga la propria musica.
Tra i nomi di spicco della rinascita elettronica ucraina dello scorso decennio, è diventata negli anni una delle artiste più visibili e richieste della scena elettronica dell’est Europa. In linea con molte produzioni elettroniche internazionali degli ultimi anni, il suono di Poly Chan, sicuramente evolutosi nel tempo, mantiene radici precise nella rilettura dell’IDM anni novanta. Le influenze sonore del mondo videoludico di qualche decennio fa, sono al centro del bellissimo Kiel, brano tratto dal recente Dogtooth, pubblicato per l’etichetta polacca Dom Trojga.
Katarina Gryvul: reale + virtuale
Il lavoro della giovanissima Katarina Gryvul viene pubblicato da una delle etichette discografiche ucraine più interessanti degli ultimi anni, la Standard Deviation.
Con appena un album alle spalle, la polistrumentista ucraina ha appena pubblicato il nuovo Tysha, interamente sviluppato durante la crisi epidemiologica e registrato su un otto tracce, per confermare una tendenza lo-fi e sperimentale di una parte della musica elettronica che si produce in Ucraina.
Influenzata maggiormente dalla musica elettroacustica e dalla sperimentazione colta del novecento, Gryvul fonde strumenti acustici e analogici con quelli elettronici, tradizioni sonore antiche con decostruzioni tipiche della glitch music. Il dancefloor viene appena sfiorato, per favorire un approccio sensoriale, fatto di improvvisi assalti aurali. Tysha, che in ucraino significa silenzio è anche la title track dell’album, veicolata da un videoclip diretto da Nastassia Kit, fotografa di stanza a Cracovia. Il video, come il brano, è una lotta furibonda tra il silenzio e il rumore, la tradizione e la decostruzione, il corpo naturato e la possessione innestata dal mondo tecnologico.
Diana Azzuz, tempo e spazio digitali: modulazioni identitarie
La musica di Diana Azzuz è un’esperienza contagiosa e difficile da dimenticare. Vero e proprio assalto sonico, nasce da una dimensione pluridisciplinare tra immagine e suono, per diventare una delle produzioni più belle uscite dalla Standard Deviation.
Padre siriano e madre ucraina, dopo aver lavorato ad un progetto audiovisivo condiviso con Rina Priduvalova (Sui Noxa), realizza il bellissimo Anastrophe, vero e proprio debutto solista sempre su SD. Il territorio di indagine non è così distante da quello di Gryvul e con forme e scelte molto diverse, converge sul concetto di trasformazione identitaria all’interno di un’idea di realtà che può essere concepita solo come intersezione tra istanze tecnologiche e dimensione sociale condivisa.
Anastrophe è un ibrido affascinante tra techno hardcore, grime urbana e forme dubstep più sotterranee. Nasce come ulteriore espressione di una sconnessione tra identità e radici, che per Diana sono irrimediabilmente legate a due teatri di guerra; questi in qualche modo hanno modificato il suo percorso di formazione, oltre alla relazione con la famiglia, divisa tra i due paesi.
In questo senso la sua analisi del virtuale è un concetto che parte dalle possibili modulazioni identitarie che associamo all’apprendimento progressivo dell’intelligenza artificiale, ormai simile alla nostra capacità di adattamento a varie situazioni, ai diversi dispositivi che utilizziamo e alle modalità eterogenee di interrelazione che questi attivano. Flessibilità, fluidità, sono quindi la conseguenza di questa analisi socioculturale. La vita apolide di Diana, contribuisce quindi a formare un concetto ed una musica che supera i confini di genere in termini sonori e sociali.
Il video che veicola il primo album solista di Diana Azzuz è “Recursive Gesture“
DZ’OB: decostruire i classici
Vengono da Dnipro. Sono una band di strumentisti formidabili che rileggono il repertorio della tradizione classica, da Shostakovich ad Haydn, alla luce dell’IDM degli anni novanta, quella di artisti come Squarepusher e Aphex Twin. La strumentazione che utilizzano comprende oboe, fagotto, violino, violoncello e devices elettronici. Alla fine, la loro collocazione nel contesto festivaliero è quella della musica Jazz, perché nel recuperare alcune istanze della musica elettronica di trent’anni fa, che già dialogava con una specifica decostruzione delle architetture Jazz, riconducono alcune di quelle intuizioni nella casa di origine. La loro produzione dimostra il dialogo avanzato che si svolge in Ucraina tra musica di consumo e ambito accademico, nuove e vecchie propaggini della musica elettronica, con ensamble che si riferiscono alla tradizione popolare dell’est Europa, dal folk al Jazz. DZ’OB sono Vasiliy Starshinov (oboe) Sergei Belokon (clarinetto) Alexey Starshinov (fagotto) Ekaterina Kolyada (violino) Irina Lee (viola) Alex Badin (violoncello) Max Andruh (batteria, elettronica)
Ethiopian è un videoclip di quattro anni fa, diretto da Nikita Liskov, pittore di Dnipro che a poco a poco si è avvicinato all’animazione, riducendo al minimo gli interventi digitali ed elaborando uno stile che recupera molti elementi, dall’optical art, all’animazione Jazz, fino a forme astratte che si rifanno alla ricca scuola d’animazione dell’est.
Ptakh Jung: crossover
Il duo costituito da Anton Dehtiariov e Volodymyr Babushkin è tra le cose più belle uscite dall’Ucraina in questi ultimi anni. Artefici di un’elettronica contaminatissima, si auto-collocano tra gli autori di “colonne sonore immaginarie“, un genere che in qualche modo dialoga certamente con il loro mondo di riferimento, ma anche con tutta la storia della musica rock strumentale, dal post rock in reverse.
Black Period, album pubblicato nel 2018 segue un EP pubblicato lo stesso anno e ha letteralmente sfondato i confini regionali, con un’attenzione di qualità ricevuta negli states. Il talento del duo, proviene in realtà da un’esperienza capillare nel mondo dello spettacolo, tra cui la scrittura di musica per il teatro, per le arti performative e almeno una decina di colonne sonore effettive scritte per il cinema. Una delle più note è quella composta per “No obvious signs“, diretto da Alina Gorlova, tra i nomi più promettenti del cinema ucraino contemporaneo. La rimusicazione di film muti è tra le altre attività extra discografiche di Ptakh Jung, che collaborano con un’istituzione come il centro Dovzhenko, la più grande realtà legata alla conservazione del patrimonio cinematografico ucraino.
L’ultima uscita del duo è il singolo intitolato Dnipro, bellissima incursione jazz che conferma il talento combinatorio di un duo capace di riportare ad alti livelli comunicativi la commistione di elettronica, rock e altre forme.
Il video che condividiamo invece, è tratto da Black Period e si intitola Monika, un vero e proprio cortometraggio diretto da Anton Som. Un video straordinario per la capacità di dialogare visualmente con i pattern ritmici, attraverso i suoni diegetici che diventano parte del brano stesso. Oltre a questo è un esempio fulgido del crossover creativo di Ptakh Jung, dove all’interno entra di tutto senza che la coesione venga compromessa. I nuovi Chemical Brothers?
Probass ∆ Hardi + Miss K8: dancefloor, radici e militanza
Più ascrivibili alle intuizioni dell’Ukrainian Electronica, ma meno espliciti nel combinare elettronica con elementi folk rispetto a Vakula oppure a Sider (il fondatore di Deepflat Kyiv), Probass & Hardi sono rispettivamente Artem Tkachenko e Maxim Mokrenko, Dj che si sono fatti le ossa nei club della loro città d’origine, Kremenchuk.
Techno bass da pista, fusa con elementi della tradizione ucraina che puntano esplicitamente alla costruzione di anthem da ballo. Una forma “popular” assolutamente contagiosa che ha avuto anche risultati coesivi in termini identitari, basta pensare al singolo di Good evening, we are from Ukraine! tormentone radiofonico che è già diventato la colonna sonora della guerra, rilanciato viralmente anche sui video tiktok al centro del conflitto, nell’avvitamento tra reale e virtuale a cui abbiamo assistito per la prima volta durante una guerra in corso. Nastane Den (НАСТАНЕ ДЕНЬ), ovvero Il giorno verrà, cantato da Ana Bulat è uno degli ultimi brani diffusi dal duo ed è veicolato da due videoclip realizzati con il found footage bellico di questi mesi. Un’operazione diversa rispetto alla commistione tra finzione e città distrutte nel video di Kalush Orchestra, la band ucraina che ha vinto l’Eurofestival 2022, ma che veicola lo stesso messaggio, cercando una connessione diretta con il popolo ucraino massacrato dall’invasore russo.
Il video è soggetto ai limiti di età imposti da youtube, noi lo incorporiamo, ma per vederlo è necessario essere connessi con un proprio profilo.
Kateryna Kremko, conosciuta come Miss K8, è una Dj di Kyiv tra le più richieste a livello internazionale. Definita “the goddess of hardcore“, produce un sound violentissimo, tanto da esser rientrata nella top 100 di Dj Mag. Con un vero e proprio martello high tempo, esprime la dimensione più istintuale e potente della techno. Ospite fissa di Masters of Hardcore, la kermesse legata alla nota etichetta olandese, ci è tornata un mese fa, regalando al suo pubblico un’intro dedicata al suo paese
Nastia: clubbing queen
Anastasia Topolskaia, in arte Nastia, è probabilmente la Dj più influente del clubbing ucraino e una delle più importanti artiste elettroniche contemporanee. Legata alle attività del Closer di Kyiv, uno dei club più importanti di tutta Europa, si esibisce praticamente ovunque, grazie ad uno stile inconfondibile e raffinatissimo, che riesce a mettere insieme influenze minimal, house, funk con un gusto tutto europeo del suono techno.
Nastia cura moltissimo anche l’immagine, creando connessioni creative con stilisti e brand di alto livello, tra cui gli ucraini Masha Reva e Anna October. Il suo percorso può essere sintetizzato a partire dalle prime residence del 2006 fino alla fondazione di Propaganda, una label discografica che pubblica esclusivamente in vinile. L’etichetta ha una vocazione assolutamente apolide, tant’è aggrega artisti dalla Spagna (Orbe), ovviamente dall’Ucraina (il designer e producer Gera Taraman), dalla Russia (Andrey Zots), dall’Italia (i producer Giovanni Verrina e Germano Ventura).
Mentre vi consigliamo di godervi il set di Nastia filmato al Palazzo dei principi di Sangushko ad Izjaslav, per la serie Scary Beautiful, prodotta da Ballantine’s e realizzata in bellissime location ucraine durante gli anni della crisi epidemiologica, vi proponiamo un vecchio estratto da Maslo EP, pubblicato nel 2013 da Nastia e veicolato da un bellissimo video visual diretto da Dasha Redkina
I’m a Dj: Suoni femminili
Nastia ha in qualche modo spianato la strada a numerose Dj donne che stanno emergendo nella scena elettronica ucraina, tra queste possiamo citare Daria Kolosova, protégé della stessa Nastia; la straordinaria Jana Woodstock, il cui suono sfiora radicali influenze industrial, Vera Logdanidi, orientata al recupero di sonorità jungle e drum and bass; Yana Ponura, ancora conosciuta solo in Ucraina e legata a sonorità IDM e breakbeat; Nastya Muravyova, ex assistente di volo, è una dj molto richiesta a Kyiv, con alcuni set fuori confine, punta alle sonorità electro e EBM; Nastya Flur aka Noisynth è una DJ di Donetsk, inizialmente conosciuta con il nome d’arte di Stacie Flür, fa convergere nei suoi set numerose influenze, dall’industrial all’ambient, dall’IDM alla techno, con un approccio non convenzionale; Olesya Onikienko aka NFNR, ha fondato una piattaforma interessantissima chiamata Womens Sound, dedicata al supporto delle lavoratrici femminili nell’ambito della musica elettronica. Con lo pseudonimo di NFR suona ambient, techno sperimentale, noise, drone music. La sua è un’attività proteiforme che non può essere indagata in poche righe, ma che spazia dall’esperienza laboratoriale in ambito artistico, alla ricerca del patrimonio folk, fino ad altre intersezioni socioculturali. Nastya Vogan è un nome di cui potremmo sentir parlare a lungo, perché se la sua esperienza come Dj è circoscritta alla città di Kyiv, con set che spaziano dalla dimensione più meditativa a quella incendiaria da dancefloor, i suoi studi di composizione in ambito accademico, l’hanno portata ad essere parte integrante del progetto Cyclones Slowly Rose, incursione elettroacustica che combina set elettronici con l’inclusione di elementi acustici, tra cui l’impiego di un ensemble di archi.
Il set di Jana Woodstock al Closer di Kyiev
Ban Russia: una lettera aperta della scena elettronica ucraina
Lo scorso marzo, una rappresentanza di 58 realtà, tra etichette, artisti, clubs, festival, tutti attivi nell’ambito della musica elettronica Ucraina, ha firmato una lettera collettiva per boicottare la cooperazione con qualsiasi artista, promozione e organizzazione russa, che non si schieri apertamente contro l’aggressione di Vladimir Putin. Quello che chiedono è
l’annullamento di ogni cooperazione con artisti, promoter, club e organizzazione russa che non si opponga attivamente alle azioni del proprio governo e non intraprenda esplicitamente azioni per fermare l’invasione militare russa dell’Ucraina
Pretendere che ogni cittadino della Federazione Russa scenda in piazza per protestare contro la guerra in Ucraina, o resista silenziosamente boicottando il proprio lavoro e sabotando la Russia in ogni altro modo possibile
Rimuovere tutti i rappresentanti affiliati allo stato russo dai comitati di supervisione e consulenza delle organizzazioni a cui si riferisce la lettera
Rifiutare qualsiasi donazione, finanziamento o sponsorizzazione da parte di organizzazioni russe e loro affiliate con sede in altri paesi.
Unitamente a questa iniziativa, la Standard Deviation, etichetta di cui abbiamo parlato in questo articolo, presente tra i 58 firmatari della lettera, ha realizzato una compilation insieme a Mystictrax, label e laboratorio sonoro di Chernobyl, intitolata “Together for Ukraine” e diffusa a partire dallo scorso 5 marzo 2022. Costituita da 65 tracce composte da musicisti ucraini e internazionali, è in vendita da questa parte, e il ricavato sarà devoluto alle seguenti associazioni
The ‘Return Alive’ Fund, per supportare il fronte della resistenza Ucraina
L’account della Banca Nazionale Ucraina per l’assistenza umanitaria
‘Ukraine Pride’ Fund per sostenere i soldatie e le persone LGBTQIA+ colpite dalla guerra
‘Голос Дітей’ Fund, in supporto dei bambini colpiti dalla guerra
A poche ore dalla vittoria dei Kalush Orchestra all’Eurofestival 2022, la band pubblica il videoclip ufficiale di Stefania, il brano in gara, sul canale youtube ufficiale.
Si tratta di un video durissimo, girato direttamente nelle città devastate dai bombardamenti russi: Bucha, Irpin, Gostomel, Borodyanka.
Il brano, inizialmente dedicato alla madre come ha chiarito in più occasioni Oleh Psiuk, front leader della band hip-hop, non ha alcuna connessione con la guerra, ma i riferimenti alle proprie radici, l’hanno a poco a poco trasformato in un anthem legato alla madrepatria e al desiderio di un ritorno a casa, sotto il segno della vittoria.
Il videoclip cala la band di Psiuk direttamente nel teatro di guerra. Questo diventa spazio performativo, con i codici visuali che definiscono buona parte della street culture, ma dove la metafora delle aree suburbane derealizzate e di certo immaginario post-apocalittico, vengono sostituiti con l’immagine flagrante di uno spazio comunitario ferito a morte. Un bel cortocircuito con la pornografia cospirazionista che in più di un’occasione si è pronunciata sull’invasione russa dell’Ucraina, parlando di finzione e di influencer. Quella di Kalush Orchestra è allora una scelta radicale, che trasforma il ruolo e la posizione d’influenza della condivisione mediatica, in uno strumento politico istantaneo, perché dove non ci sono più teatri di posa, il set è il teatro delle vite spezzate. Ksjonda usa i mezzi della comunicazione audiovisiva contemporanea, sfruttati anche in tempo di guerra, strappando la prospettiva vojeuristica e intrusiva dei droni e trasformandola in linguaggio, d’azione, di resistenza e di rivelazione, tra orrore e solitudine.
All’esibizione della band in mezzo alle macerie e alle città distrutte, si aggiungono una serie di sequenze che ripetono lo stesso motivo, quello dei bambini salvati dall’esercito ucraino.
La regia è di Max Ksjonda, regista di talento attivo nella realizzazione di spot pubblicitari, video musicali, alcuni cortometraggi e un lungometraggio di fantascianza intitolato The Bobot, che traspone il teatro di guerra al centro di un conflitto alieno. Nato a Donetsk nel 1978, si è laureato alla Kiev National University of Theatre, Cinema and Television nel 2009, anno in cui ha cominciato la sua carriera come freelance, che già nel 2012 gli ha consentito di vincere moltissimi premi internazionali per il suo cortometraggio “The Way (Doroga)“, storia di un divorzio osservato dal punto di vista di un bambino. Lo sguardo dell’infanzia sarà al centro di altri suoi lavori, incluso The Bobot e il suo nuovo lungometraggio, l’imminente The Tank. Anche il video di Stefania sceglie lo stesso sguardo e ricombina lo spazio della guerra attraverso l’occhio infantile, sospeso tra innocenza e scoperta dell’orrore.
Dehn Sora è un artista proteiforme. Dietro la sigla scelta dal francese Vincent Petitjean, c’è l’attività di un grafico, un videomaker e un musicista, che ha cercato in tutte le forme d’espressione sperimentate, di raggiungere una specifica coerenza semantica e creativa. Questo significa che anche i suoi lavori per commissione, tracciano un percorso comune alle sue scelte artistiche più personali. Due sono i progetti musicali di cui è motore principale: Throane, rilettura del lessico black metal secondo coordinate che spingono altrove la ricerca di formazioni come Neurosis e Godflesh e la forma più ambient e sensoriale del progetto Treha Sektori. In entrambi i casi, al controllo totale della parte musicale, si affianca il comparto visual, che Vincent elabora come un prolungamento del suo discorso.
Estetica che rimane costante anche nei progetti realizzati per altri, dove all’animazione digitale viene applicato un approccio multidisciplinare e organico, che mette insieme fotografia, prostetica, scultura, still life, collage e ovviamente disegno, che è fondamentalmente la cellula creativa originaria da cui è partito, sin dalla tenera età di sei anni. Proprio in questo senso, pur lavorando come direttore artistico in una società che si occupa di video mapping, mantiene una relazione tattile con il materiale, che scaturisce direttamente dalle sue mani.
Per Wovenhand, aveva già lavorato due anni fa, realizzando il videoclip per Fab Tool, dove era presente una featuring di David Eugene Edwards. Molte delle sollecitazioni contenute, riemergono nel nuovo “8 of 9“, girato e diretto per il nuovo album di Wovenhand, il progetto di Edwards avviato nel 2001, quando si stava esaurendo l’esperienza 16 Horsepower.
Lanciato sul profilo ufficiale della label Sargent House lo scorso 6 maggio, recupera le atmosfere post-apocalittiche del video per Fab Tool, scegliendo un ambientazione desertica e creando i presupposti per un’inversione dimensionale tra oggetti e scenari. Alle carcasse di grandi animali del precedente video, si sostituiscono cavallette e rane che compaiono come enormi e mostruosi animali da traino, al seguito di un misterioso mietitore che recupera l’immaginario cultuale ancestrale dello strawmen, con tutta la simbologia pre-cristiana annessa. Tutt’intorno macchine estrattrici per risorse fossili e una terra completamente votata all’infertilità.
Su questo mix di messianismo e paganesimo che ben si adatta alle scelte personali e poetiche di David Eugene Edwards, Dehn Sora costruisce una potente architettura visuale che sta a metà tra animazione, arte grafica, steampunk e fantascienza. Sorprende la capacità visuale di sintetizzare concetti e stratificazioni narrative complesse, nello spazio contratto del videoclip. Petitjean sceglie di affrontarlo con la consueta lentezza e narcolessia che caratterizza anche i suoi lavori musicali, consegnandoci un lavoro atipico e meditativo, rispetto all’ipercinetismo corrente.
Sedotti dal rumore estremista di formazioni come Merzbow, Throbbing Gristle e i primi Einstürzende Neubauten, i Naked nascono e si esibiscono in duo. Al centro la performer Agnes Gryczkowska, insieme ad Alexander Johnston. Interessati a tutte quelle forme che mettono in discussione il ruolo del corpo nella società, ne indagano i limiti, per spingerli oltre il confine di ciò che riteniamo accettabile. Un cortocircuito continuo tra fragilità e violenza, repulsione e improvvisa apertura. Naked, la parola, concentra tutte queste polarità e in qualche modo restituisce il senso delle scelte performative di Gryczkowska, sospese tra BDSM e teatro artaudiano.
Primordiale, brutale e fortemente fisica, cerca un contatto con il pubblico, decostruendo la barriera di sicurezza che lo separa dal palco e cercando quindi un coinvolgimento che tutte le volte disinnesca il nostro modo di assistere ad un concerto. Ecco perché un live di Naked non è esperienza assimilabile ad altre, dove la fruizione rimane confinata in una comfort zone isolata e introspettiva. Luci ed altri elementi sensoriali, tra cui l’olfatto, vengono impiegati durante gli show per sollecitare, insieme a veri e propri props, la forma esperienziale della performance.
Sensualità, spontaneità ed intense emozioni, sono l’obiettivo, con una forma che da una parte recupera l’attitudine rivoluzionaria di Cosey Fanni Tutti, per quanto riguarda la dimensione sociopolitica che si serve di masochismo e sadismo come strumenti per interrogare in modo esplicito la violenza e la corruzione che permea la contemporaneità.
D’altra parte, la musica di Naked punta a creare una forte connessione erotica e a rendere parte di questo flusso il pubblico stesso, con una tendenza dionisiaca molto forte, che eccede i confini della decostruzione politica. Più della critica, implicita, ad ogni forma di diseguaglianza, a partire da quelle di genere, è la spinta positiva e ancestrale verso il potenziamento del proprio ruolo, la missione di Naked.
La distorsione è allora il lessico musicale prescelto, come riflesso della società odierna, ma anche come potenziale sonico sul quale costruire pattern ritmici di incredibile potenza. Per quanto alcune produzioni di Naked mantengano al centro una struttura che trattiene echi lontani e vaghi desunti dal pop, la melodia viene scarnificata e ricondotta verso la dimensione ritmica. Noise, industrial, techno, glitch estremo, assalti metal, bassline doom, sono tutte categorie che ben si adattano e che allo stesso tempo definiscono solo un tassello della proposta Naked.
“I piaceri del presente si individuano con le catene.” Liberandosi dal sistema di credenze imposto, dalla ricchezza superficiale, dalla miseria di doversi conformare e dalla propria psiche, BITE è un invito a fuggire negli inferi. Dominazione, obbedienza, desiderio e autopunizione si confondono; gli unici creatori dell’inferno, siamo noi stessi:BITE (NAKED – per Dazed)
Il 13 maggio 2022 Agnes Gryczkowska sarà sul palco della Sala Vanni per uno dei live del calendario di Tradizione in Movimento, la serie di eventi di alta qualità che da anni caratterizza il lavoro di Musicus Concentus a Firenze. Un occasione da non perdere per vedere all’opera questa straordinaria performer e per farsi coinvolgere, letteralmente, in uno show difficile da dimenticare. Consigliamo agli spettatori di conquistare le prime file.
Apriranno le danze lo show di Plastique01, moniker di Giulio Da Rin, live performer e producer attivo a Firenze e il collettivo greco OMIO, attivo ad Atene fin dal 1999.
(Foto principale fornita da Ufficio Stampa Musicus Concentus – Lorenzo Migno)
Con Gli occhi all’indietro è il primo estratto da “Dopo la pioggia“, l’album di Emanuele Coggiola in uscita il prossimo settembre. Già batterista dei Luciferme prodotti da Gianni Maroccolo, band con la quale pubblica cinque album a partire dal 1996, comincia proprio in quegli anni a scrivere canzoni, per far maturare il progetto di un album solista a partire dal 2004, dopo l’incontro con il cantautore Rodolfo Banchelli. “Quiete apparente” esce nel 2010 e viene prodotto artisticamente da Giovanni Gasparini (Cristina Donà, Bugo, CSI). Dopo dieci anni di collaborazioni come batterista, produttore e arrangiatore, la sua seconda fatica solista prodotta da ECOPROD, uscirà con la scuderia promozionale di A Buzz Supreme il prossimo settembre.
Ad anticiparla, il videoclip di “Con gli occhi all’indietro“, diretto dal fotografo Max Pruneti, proposto in anteprima esclusiva su indie-eye videoclip.
“Con gli occhi all’indietro” è un video di fantasmi dell’anima, di gesti interrotti sconnessi nel tempo e di immagini allo specchio. Memorie non ancora riconciliate che emergono tra gli arredi e gli oggetti del quotidiano, ricordando in parte quella dolente introspezione che attraversava i video di Thursday’s Child e Survive diretti da Walter A. Stern per David Bowie. Max Pruneti sceglie però una via più semplice, slegata dalla supremazia formale del digitale, per ricondurre tutto alla flagranza del ritratto fotografico, un “punctum” inteso nella sua dimensione più onesta e dinamica, capace di rilevare una ferita attraverso i movimenti apparentemente più innocui.
Con gli occhi all’indietro di Emanuele Coggiola – Il videoclip diretto da Max Pruneti
Max Pruneti Racconta il videoclip di Con gli occhi all’indietro
“Con gli occhi all’indietro – ci ha detto Max Pruneti – nasce dalla necessità di Emanuele Coggiola e Francesco Milo, che ha collaborato alla scrittura del testo, di comunicare quelle emozioni che hanno condotto alla realizzazione del brano. Queste esigenze si combinano con il flusso concettuale dell’intero album, concentrato sull’elaborazione del lutto sentimentale“
Pruneti, che è un fotografo di talento, attivo a Firenze da più di vent’anni nella fotografia pubblicitaria, ma apertissimo a molte altre contaminazioni, è stato coinvolto da Emanuele e Francesco per tradurre in immagini, quei sentimenti e quelle sensazioni evocate dalle liriche: “Un tassello di quella che può essere concepita come la sezione iniziale di un vero e proprio concept album” ha aggiunto.
Spunti, rimandi ed elementi di una storia personale che diventa collettiva, nel confronto tra i tre artisti, per cercare tra musica e immagini una dimensione comune che possa raccontare universalmente l’esperienza della perdita in ambito sentimentale.
“I volti del video – ci ha detto Max – sono quelli di Zoe Frizzi e Luca Maccanti, due giovani ragazzi suggeriti dallo stesso Emanuele, che in loro aveva scorto qualcosa di fortemente comunicativo. Freschi di esperienze, non sono attori professionisti. Non è stata una scelta casuale, perché volevamo ottenere da loro la massima naturalezza. Un risultato che in termini emozionali credo sia perfettamente riuscito“
Il video di Con gli Occhi all’indietro è stato girato in una casa di campagna: “Volevamo che il contesto agevolasse una fotografia senza troppi fronzoli e che allo stesso tempo ci consentisse di giocare tutto sulle azioni, anche surreali, dei protagonisti”
Freak Factory è un’interessante realtà produttiva fondata a Roma dalla torinese Andrette Lo Conte, la cui mission ha una centralità cinematografica specifica, ma con un’attenzione allargata a formati, piattaforme e contenitori eterogenei. Non solo film di formato breve e lungo, ma anche advertising e video musicali. L’approccio specifico e meticoloso è un valore aggiunto, perché le stesse energie che vengono impiegate per la realizzazione di un corto destinato al circuito festivaliero mondiale o di un lungometraggio concepito per Netflix, investono anche la produzione di altri formati brevi, come i video musicali, nel tentativo di offrire anche a quest’ultima forma una gestazione e una cura diametralmente opposta rispetto al pauperismo della media attuale.
Un esempio di questo metodo è proprio Scegli me, il videoclip prodotto per Fulcro con il featuring di Lucci e realizzato per la divisione Freak Lab, il progetto di Freak Factory orientato ai commercial ai videoclip e ad altre forme brevi. Diretto da Fabrizio Fanelli e prodotto da Andrette Lo Conte per Freak Factory, insieme ad Antonio Messino per Image Hunters, è stato realizzato con la collaborazione dei grafici francesi Acil & Pierre, di Matteo Quintili per i visuals e di Xavier Fontana per quanto riguarda la direzione della fotografia. Insieme sono riusciti a realizzare uno dei videoclip italiani più convincenti in circolazione, espandendo lo spazio performativo in tutte le direzioni possibili, senza per questo rinunciare alla centralità della dimensione promozionale.
Si tratta di un equilibrio difficile, soprattutto in Italia, ma che in questo caso unisce una cura meticolosa per i dettagli con un ampio spazio lasciato alla sperimentazione.
C’è di tutto in “Scegli Me”, dal videoritratto ai fashion movies, dall’installazione visuale alla performance in studio, dai colori del cinema orientale, quelli saturati e contrastati à la Christopher Doyle, fino alla rilettura cromatica della street culture suburbana in una forma simbolica molto suggestiva.
Oltre a Fulcro e Lucci, ci sono l’attrice Serena de Ferrari e la modella Mimi Amanuel Teka, la prima al centro di una bellissima sequenza filmata davanti ad un acquario, che ricorda le scelte cromatiche e visive di Kurosawa Kiyoshi per Bright Future, ma trasposte in una dimensione maggiormente visual.
Molto cinema, ma anche la convergenza di videoarte e cultura visual, senza mai perdere la concretezza e l’unità semantica del discorso.
Per approfondire meglio il metodo di lavoro di Freak Factory, abbiamo intervistato la produttrice Andrette Lo Conte e il regista di “Scegli Me”, Fabrizio Fanelli. Ci hanno raccontato una prassi stimolante e di alto livello professionale che in qualche modo combina l’approccio dell’industria audiovisiva attuale con una solidità che almeno nel video musicale è andata purtroppo riducendosi a partire dal nuovo millennio.
Fulcro ft. Lucci – Scegli Me – Il video diretto da Fabrizio Fanelli e prodotto da Andrette Lo Conte per Freak Factory
Andrette Lo Conte e Fabrizio Fanelli: Il Making di Scegli Me – L’intervista
Andrette, Freak Factory è una realtà davvero molto interessante in veloce crescita che si occupa principalmente di produzione cinematografica, ma implementa altre forme narrative. Oltre all’advertising quindi, anche videoclip. Puoi raccontarci in che modo si integra la forma del video musicale con la mission Freak Factory e che tipo di approccio avete scelto?
All’interno di Freak Factory, abbiamo aperto la nuova sezione ‘Freak Lab’ che si occupa di realizzare contenuti brevi come videoclip e commercial, ma la realizzazione di lungometraggi per il cinema resta il nostro core business. L’obiettivo di Freak Factory è quello di creare prodotti che abbiano un’alta qualità video ed un approccio autoriale a prescindere dalla durata dei contenuti . Spesso nei contenuti brevi viene sottovalutata la componente autoriale, e i prodotti che vediamo si assomigliano tutti tra di loro, l’obiettivo è quindi differenziarci ed utilizzare il nostro know how per realizzare contenuti di alta qualità anche se non destinati al cinema. Abbiamo infatti lavorato con il regista Fausto Brizzi, per realizzare lo spot della regione Liguria e con il regista Fabio Schifilliti per gli spot per il Ministero dei Trasporti.
Andrette, “Scegli me”, realizzato per Fulcro è davvero un ottimo video. Colpisce la centralità del lavoro sul set, ma anche la capacità di trasformarne i potenziali stereotipi in un’avventura visual davvero molto potente. Puoi raccontarci lo sviluppo del concept, la metodologia di lavoro e il contributo dei talenti coinvolti, dalla regia fino alle parti più espressamente “visual”
Ho deciso di realizzare il videoclip con il regista Fabrizio Fanelli proprio per il suo approccio autoriale alla direzione, quando mi ha presentato il progetto aveva realizzato un video moodboard molto dettagliato, aveva le idee molto chiare dal punto di vista registico e narrativo, così ho avuto modo di capire ancora prima di realizzarlo che aspetto avrebbe avuto il prodotto finale. Spesso in Italia, neanche per i film destinati al cinema vengono sviluppati degli storyboard, mi ha quindi colpito una tale meticolosità e professionalità su un videoclip. Ho capito che Fabrizio avrebbe dato quella componente autoriale che cerco nei registi con cui collaboro, alla cui visione, di solito tendo ad affidarmi molto, dopo averli scelti. Con questi presupposti ho creduto fin da subito in questo progetto che sono riuscita a realizzare anche grazie all’aiuto di Antonio Messino, coproduttore del videoclip, per Image Hunters.
Fabrizio hai realizzato cortometraggi, lavorato come seconda unità per numerosi video musicali e per Fulcro avevi già diretto i video di “Io e gli altri” e “Salmoni”. Puoi raccontarci il tuo coinvolgimento con il progetto Fulcro, che di fatto si configura come un vero e proprio collettivo multidisciplinare?
Io e Dost, il produttore della maggior parte delle basi di Fulcro ci conosciamo da sempre, siamo cresciuti insieme letteralmente e abbiamo sempre collaborato. Lui sta dietro al progetto Fulcro dal giorno zero e ovviamente mi ha coinvolto fin da subito, con Leo (voce e volto del progetto) ci conosciamo da diversi anni, oltre a Salmoni e Io e gli altri ho fatto anche altri video, il nostro rapporto è nato spontaneamente in uno spazio occupato vicino casa, dove ci vedevamo e condividevamo esperienze e sogni. È stato bello vedere che i sogni di entrambi si sposavano, visto che lui aveva bisogno di video e io avevo bisogno di soggetti da raccontare, così abbiamo cominciato un percorso quasi in parallelo in cui io avevo la possibilità di scrivere e dirigere mentre lui aveva modo di dare un contenuto video al suo pubblico. Tra l’altro Leo è un attore ed ha un sacco di amici e amiche attori e attrici per cui fin da subito abbiamo unito diverse persone che potevano esprimere le proprie capacità senza costrizioni, liberamente. Questo ci ha portato a crescere insieme, dal primo video con una videocamerina girato per le strade di San Lorenzo, fino ad arrivare a “Scegli me” che è stata la prima produzione con un featuring importante, la collaborazione con Lucci ci ha dato modo di sognare un po’ più in grande e la speranza di fare un prodotto non più amatoriale o semi-professionale, infatti per me è il primo progetto con una troupe al completo e due produzioni alle spalle.
Fabrizio, tu e il progetto Fulcro come siete arrivati a collaborare con Freak Factory?
Io e Andrette ci siamo conosciuti mentre lavoravamo per lo spot della Liguria di Fausto Brizzi, in cui io facevo produzione, è stato difficile convincerla del fatto che sapessi anche scrivere e dirigere, però avevo le idee molto chiare su quello che volevo fare e a cosa puntavo, sul set è nata un’amicizia spontanea e una fiducia reciproca che ci ha fatto mantenere buoni rapporti, finché quando mi sono sentito pronto ho potuto farle vedere la presentazione che avevo preparato. L’approccio che ho da regista si rifà molto ai modelli americani, alla professionalità e all’efficienza di cui si sente parlare quando sei sui set internazionali: moodboard sempre aggiornati, render delle scene più difficili, per me questo è alla base di qualsiasi progetto, idee chiare e poco spazio all’improvvisazione, nonostante io poi sia un fanatico dell’improvvisazione, ma credo che più le regole siano forti e i confini stretti più l’improvvisazione diventi un valore aggiunto. Per fortuna Andrette l’ha capito subito, ha deciso di aiutarmi in primis per la fiducia che le avevo già dimostrato sul set e poi perché era tutto schematicamente preciso, non dico perfetto, perché non esiste la perfezione, ma ambizioso e preciso di certo.
Fabrizio, “scegli me” mi sembra sia un salto di qualità notevole nella tua filmografia, è un video visivamente molto potente, con un lavoro specifico sulle luci, i colori e la parte più strettamente visual. Puoi raccontarci il tuo lavoro di regia, nel combinare e coordinare tutti questi aspetti?
Per me la forma è fondamentale in qualsiasi tipo di narrazione, ma non deve mai trascendere dal contenuto, solo confrontando e mettendo continuamente in dubbio il contenuto, la forma e il loro confronto si arriva ad un risultato che impatta sulla realtà influenzandola sia esteticamente che a livello di messaggio. Devo ringraziare tantissimo Francesco Marchini che mi ha aiutato dando un contributo fondamentale alla scrittura del progetto e Sebastian Papillo che mi è stato dietro per sopralluoghi, fornitori, professionalità etc, le immagini che abbiamo messo in scena le abbiamo pensate e ragionate insieme per mesi, mettendo in discussione qualsiasi punto di vista, abbiamo attinto da diversi ambiti creativi e devo dire che il lavoro tecnico fatto sul set ha fatto il resto per questo devo ringraziare tantissimo Xavier, Alfredo, Giovanni e Giorgia che non hanno mai dubitato di me e sono stati in grado di restituirmi esattamente quello che volevo aggiungendo qualcosa di speciale grazie alla loro esperienza, il tocco di post-produzione di Lorenzo Menicucci ha fatto il resto. In passato ho sempre lavorato molto sull’idea, sono fissato per idee forti che colpiscano, ma non ho mai avuto i mezzi per metterle in scena ad un livello di professionalità all’altezza del contenuto: quando giri da solo, con una videocamerina e tre luci difficilmente riesci a rendere la complessità di un ragionamento strutturato, “Scegli me” rappresenta uno spartiacque fondamentale nella mia carriera perché mi ha dato modo di scoprire il piacere di lavorare con un squadra di professionisti. Sul set eravamo tutti amici, ci conoscevamo già e avevamo avuto modo di confrontarci parecchio, tutti hanno dato il massimo possibile, tutti hanno aggiunto qualcosa di umano alla prestazione tecnica e io come regista sono molto aperto, mi piace portare avanti le mie idee e sono sempre molto deciso, quando voglio portare qualcosa sullo schermo so perfettamente dove voglio arrivare e come arrivarci, ma mi piace la commistione di stili, la contaminazione di idee, penso che costituisca la parte fondamentale in un processo creativo collettivo com’è il cinema. Questo video è stato un laboratorio in piccolo di quello che vorrei fare in un film e spero che presto o tardi riuscirò ad avere questa possibilità.
Andrette e Fabrizio, come è stato fatto il casting e come avete scelto l’attrice Serena de Ferrari e la modella Mimi Amanuel Teka?
Andrette: La scelta degli attori in un videoclip è fondamentale perché devono essere in grado di trasmettere emozioni senza uno script e senza dialoghi, per questo motivo abbiamo puntato sull’espressività e la capacità di bucare lo schermo con un solo sguardo. Fabrizio: Serena e Mimi sono due personaggi differenti, vengono una dal mondo del cinema e una dal mondo della moda, sono tutte e due molto giovani e visivamente restituiscono subito delle intenzioni forti e decise, le capacità espressiva di entrambe ci hanno fatto scegliere senza alcun ripensamento.
Andrette, Freak Factory ha una squadra di fondatrici. Si configura quindi come una realtà imprenditoriale a conduzione femminile. Una bella rarità nel panorama delle produzioni audiovisive, videoclip inclusi. Puoi raccontarci la genesi del progetto e gli obiettivi più ambiziosi raggiunti?
Io sono CEO e socio unico di Freak Factory, mi sono circondata da collaboratrici donne, quindi è una produzione tutta al femminile. Per me è una sfida, non nego che sia molto difficile in questo paese ricoprire un ruolo di ‘potere’ in questo ambito, come in tutti gli altri dopotutto, spesso gli uomini entrano in competizione, non accettano che una donna possa prendere delle decisioni, inoltre ho aperto la mia società a soli 25 anni. L’inizio è stato molto difficile perché essendo giovane e donna non avevo credibilità, ho dovuto dimostrare con i fatti le mie capacità, e ho dovuto lottare molto per farmi valere e per raggiungere obiettivi importanti. Nel 2016 ho prodotto il cortometraggio “Penalty”, che ha dato uno start importante, è stato il cortometraggio più premiato nel mondo nel 2017, Rai Cinema è entrata in coproduzione e per la prima volta ha deciso di fare una campagna Oscar per un cortometraggio. Poi è arrivato il momento di approcciarmi al lungometraggio, un passaggio difficile per una società indipendente, si tratta del lungometraggio “La Partita”, dopo essere uscito in sala in pieno Covid, anche questo ha avuto un successo inaspettato, Netflix ha deciso di distribuirlo in tutto il mondo, ed è rimasto in top ten in Italia per più di 10 giorni. Sono poi arrivata a produrre il secondo lungometraggio, molto impegnativo, che spero presto di farvi vedere, posso anticiparvi che è un film che farà molto parlare di sé… Il film è stato realizzato in coproduzione con Rai Cinema.
Andrette, ci sono altri videoclip nell’orizzonte prossimo futuro di Freak Factory, puoi anticiparci qualcosa?
Mi piace parlare delle cose solo dopo averle fatte, sono molto superstiziosa, però potete seguirci sulla nostra pagina instagram @freakfactory.it per restare sempre aggiornati.
Fabrizio, quali sono i tuoi riferimenti principali per quanto riguarda il mondo dei video musicali?
Come tutti i registi di videoclip moderni sono cresciuto a pane e Romain Gavras, penso che non avrei fatto videoclip se non avessi visto la scena col cavallo che corre nel deserto sul video di MIA “Paper Planes”, il mio vero idolo però è Wong Kar Wai, ma sono fan sfegatato di Anton Tammi, Brthr, Jonas Lindstroem, Keith Schofield e penso sia evidente il richiamo di Dexter Navy per Asap Rocky. Per “Scegli me” ho ampliato gli orizzonti puntando ad un immaginario più fotografico e narrativo, mettendo a contrasto diversi livelli di immagini: da una parte la strofa di Fulcro si fonda su una moltitudine mista di concetti, l’estetica rap si incontra con un significante più concettuale legato al significato della scatola, del sentirsi rinchiusi e senza spazio vitale per questo l’inquadratura dall’alto che richiama Asap Rocky si mischia alle ragazze che giocano col pesce rinchiuso nell’acquario, dall’altra parte poi c’è Lucci con il suo background rap, è un po’ la tradizione classica che incontra le nuove generazioni, infatti ho caratterizzato la sua strofa con un linguaggio più strettamente legato all’iconografia rap, con uno sfondo underground e il cantante al centro della scena, ho cercato di richiamare lo stile classico dandogli una chiave di lettura diversa, con una fotografia caratteristica che parla al rap moderno, ma comunque chiaramente legata alla tradizione.
Andrette, il videoclip è una forma che qui su indie-eye ci ostiniamo a chiamare “di convergenza”, questo perché a dispetto di alcune associazioni critiche dirette con la dimensione cinematografica, convoglia molti altri stimoli, dalle arti performative a quelle visuali, dalla grafica alle nuove declinazioni dell’internet art. “Scegli me” mi sembra perfetto da questo punto di vista, perché interpreta tutte queste ibridazioni. Vi interessa anche questo aspetto, oltre ovviamente alla vocazione cinematografica di Freak Factory?
Assolutamente si, io credo che sia potenziale di grande sperimentazione e approcci diversi, sono attratta da ogni forma d’arte purché sia comunicativa. Per questo motivo come Freak Factory stiamo differenziando i nostri lavori e presto faremo un salto molto importante, di cui ovviamente, ancora non posso anticiparvi nulla, considerata la superstizione di cui parlavo prima.
Andrette e Fabrizio, pensate che il videoclip sia una forma importante su cui scommettere, adesso che le televisioni tematiche esistono sottotraccia rispetto alle piattaforme online e alle grandi directories video di condivisione. Per quali motivi secondo voi e cosa vi consente di sperimentare rispetto ad altre forme brevi, come l’advertising o i cortometraggi più tradizionalmente intesi?
Diciamo che il videoclip si differenzia molto dagli altri contenuti audiovisivi perché è totalmente a servizio del pezzo musicale e per questo motivo rischia di passare in secondo piano. Ho visto videoclip di artisti importanti di bassissima qualità ma hanno comunque tantissimo seguito e visualizzazioni, questo perché gli utenti sono interessati ad ascoltare il pezzo o al massimo a vedere il loro cantante preferito in video; questo è il motivo per cui non vengono spese molte risorse per realizzare videoclip ed è un vero peccato! Si tratta di un’occasione persa. I video, se lasciati in secondo piano, rischiano di essere tutti uguali, scontati, e senza personalità, ritengo invece che sia fondamentale avere lo stesso approccio produttivo e registico che si ha per gli altri contenuti audiovisivi.
Lo scorso 26 Febbraio Duncan Jones ha risposto con sintetica chiarezza ad un tweet di Russia Today che sfruttava il riferimento al Major Tom di Space Oddity per paragonare la deriva nello spazio del mad astronaut bowiano, alla possibile deorbitazione della stazione spaziale internazionale come conseguenza dei rapporti sempre più difficili tra NASA e Roscosmos.
Il figlio di David Bowie ha prontamente risposto al network del governo russo con un messaggio sintetico e diretto: “Wrong song“. Ha quindi firmato la frase con tre emoji, costituite da due cuori con la bandiera Ucraina al centro. In calce, un estratto dalle liriche di Heroes, il brano concepito dal padre nel 1977, insieme a Robert Fripp e Brian Eno, all’ombra del muro di Berlino.
Non è la prima volta che il nome di David Bowie viene sfruttato illecitamente dall’informazione filorussa a scopi propagandistici. C’è un precedente non molto noto, legato alla guerra nel Donbas e che spiega in modo chiaro la produzione sistematica di false informazioni per creare hype e consenso intorno ad alcuni temi.
A partire dal settembre 2014, cominciano a circolare alcuni rumors di un possibile concerto di Bowie nel Donetsk, una delle due “repubbliche” filorusse in territorio ucraino. Il 3 settembre 2014 antifashist.com, sito d’informazione supportato dalle forze separatiste, diffonde la notizia unitamente ad una dichiarazione dell’artista inglese, ipoteticamente rilasciata al quotidiano britannico Daily Telegraph, dove Bowie si sarebbe esplicitamente espresso a favore della Nuova Russia: “Mi inchino di fronte al coraggio e alla voglia di libertà dei cittadini dell’Ucraina orientale. Stanno davvero combattendo per la loro indipendenza contro la cosiddetta “democrazia” occidentale”, completamente falsa e marcia. Si, è possibile che non sia al sicuro in quel contesto, ma credetemi, sogno di diventare un eroe, almeno per un giorno“.
L’estratto comincia a circolare tra alcuni siti assimilabili alle posizioni di Antifashist, creando il consueto collante di supporto che si appoggia a blog di dubbia provenienza come 444anna e metanymous, contando anche sul rilancio di The Professor Blog, il portale fondato dal Professor Marcello Vittorio Ferrada de Noli, accademico cileno residente in Svezia, che più recentemente e a sue spese ha tentato una diffusione del vaccino Sputnik in territorio italiano. La news sul sito di De Noli è stata rimossa, ma era stata segnalata a suo tempo da un articolo specifico su Stopfake.org. La totale assenza di un’intervista concessa da Bowie al Daily Telegraph, tra l’altro in un periodo in cui notoriamente l’artista inglese non rilasciava dichiarazioni pubbliche da almeno dieci anni, era sufficiente per confinare le sciocchezze di Antifashist sul piano di una propaganda scellerata e priva di scrupoli.
Bowie, non saliva sul palco dal maggio 2007, quando aveva introdotto l’attore comico Ricky Gervais al Madison Square Garden, cantando in una versione a cappella Little Fat Man, il brano scritto ed eseguito dal musicista inglese per una puntata di Extras, la serie BBC ideata e interpretata dallo stesso Gervais. Prima di questa apparizione, se si esclude la partecipazione del 2006 al Black Ball Fundraiser con tre brani eseguiti live all’Hammersmith Ballroom e altre brevissime apparizioni, l’ultimo tour effettivo era quello a supporto di Reality, introdotto nel 2003, anno di pubblicazione dell’album, e sospeso con la data tedesca del 25 giugno 2004 a Scheeßel, in seguito alle complicazioni cardiache sopraggiunte già due giorni prima durante il concerto di Praga, interrotto bruscamente per un principio di infarto.
Del resto, il penultimo album dell’artista inglese, The Next Day, era uscito il marzo del 2013 dopo un silenzio durato dieci anni e con modalità promozionali veicolate completamente in rete. Tutto questo senza alcuna intenzione di accompagnarne il flusso con un ripristino dell’attività pubblica. Un mese dopo la diffusione delle fake news pubblicate da alcuni canali filorussi, la Parlophone pubblica la raccolta di successi Nothing has Changed, che include l’unico inedito composto per l’occasione, quella Sue (Or in a Season of Crime), brano bellissimo ed enigmatico che tra i numerosi riferimenti letterari, ne contiene alcuni possibili sull’inizio della battaglia più dura per Bowie, quella contro il cancro.
Il legame di David Bowie con l’Ucraina è casomai di altra natura. Giova ricordare a questo proposito la genesi di Time Will Crawl e di When The Wind Blows, entrambe concepite ai Mountain Studio di Montreaux, in Svizzera, mentre sullo sfondo avveniva il disastro di Chernobyl. Le tracce di quella tragedia risuonano ancora nelle liriche del brano più visionario di Never Let Me down.
Dal 1994 al 2007 Margaret Dollrod ha guidato con ostinazione The Demolition Doll Rods, un trio incendiario tra garage, noise e rock’n’roll primitivo condiviso insieme alla sorella Christine, che dietro le pelli assume il nome di Thumpurr, e il chitarrista-cantante Danny Kroha. Selvaggi, divertenti e sfrontati, portavano sul palco una delle esperienze live più vitali degli anni novanta, tanto da aver suonato con artisti come Iggy Pop, Cramps e John Spencer. Li ho visti dal vivo proprio come opening act per i Blues Explosion nel 1996 e sono stato travolto dall’erotismo gioioso del loro set, sporco ed elettrico come il miglior rock di Detroit.
Nel 2020, dopo circa quattordici anni di assenza, sono tornati con un nuovo full lenght intitolato “into the brave” e pubblicato per la storica In The Red. Nel frattempo, Dave ha collaborato con il mitico Mick Collins (The Gories, The Dirtbombs), musicista di culto per la città di Detroit, ha pubblicato nel 2021 un disco solista di traditional Detroit Blues, mentre Margaret aveva già avviato l’avventura psych garage con le Heartthrob Chassis, all female band sotto contratto con la Milan Records, per la serie curata da Nicolas Winding Refn insieme all’etichetta specializzata principalmente nella pubblicazione di colonne sonore.
Tra questo fermento, sbuca a fine 2021 su Youtube un videoclip a nome Margaret Dollrod che al momento non sembra legato ad un progetto solista definito, ma che sorprende per la consueta libertà ludica e vitale con cui l’artista statunitense si dedica da sempre ai suoi progetti.
Al di la è una ballad cantata in Italiano, con liriche visionarie e deraglianti, anche dal punto di vista metrico e concettuale. Cerca infatti un avvitamento continuo tra parole, allusioni e significati sfuggenti, vicini a quell’idea “outer” che caratterizza tutta la letteratura musicale Psych. Il video, girato e diretto dalla fotografa romana Francesca Pascarelli insieme a Panta, è tutto concentrato sul corpo statuario della sacerdotessa garage, mentre suona la chitarra in riva al mare e gioca con alcuni giocattoli da spiaggia. Finale flamenco con le ballerine della scuola Cosiarte. Una bizzarra escursione tutta Italiana per Margaret; vorremmo andare con lei nella sua nave spaziale, viaggiando Al di la.