venerdì, Novembre 29, 2024
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Lolita Terrorist Sounds: il videoclip di Prison Song diretto da Maurizio Vitale

Fondata da Maurizio Vitale, Lolita Terrorist Sounds è una band con base a Berlino, il cui nome è una combinazione burroughsiana tra il noto personaggio di Nabokov e la parola Terrorist. Mentre Vitale può annoverare collaborazioni con musicisti che hanno già lavorato con Einstürzende Neubauten, Swans, Iggy Pop, Thåström, PJ Harvey e i seminali Faust, da parte sua ha prestato il suo talento per i lavori del percussionista Doudou N’Diaye Rose (SN), e per la nota cantante tedesca Andrea Schroeder.

Prison Song” è il nuovo singolo dei Lolita Terrorist Sounds, arricchito dalla partecipazione di Kristof Hahn, già lap-steel guitar nello splendido album degli Swans “White Light from the Mouth of Infinity” (1990).

Per veicolare il nuovo singolo, un videoclip diretto dallo stesso Vitale, dove il frontman interpreta un personaggio androgino e tormentato, rinchiuso in una cella angusta e oscura.

Ispirato all’epistolario di due amanti separati da una sentenza carceraria, il brano segue l’incedere e lo stile del punk DIY a cavallo tra i settanta e gli ottanta, tre minuti e mezzo di bassline sostenutissima che ricorda in parte le atmosfere cupe dei primissimi Modern English, con riferimenti che vanno dai Sucide ai Bauhaus.

Il video è stato girato interamente in formato VHS, mantenendo i difetti di transizione, gli slacci, i principi di smagnetizzazione, senza barare come al contrario succede oggi quando si ricrea la stessa “allure” con i preset digitali dei principali software di montaggio non lineare.

Il video di Vitale in questo senso trattiene una forza notevole, proprio nella capacità di sfruttare l’errore, il difetto e la precarietà del supporto, quasi fosse un’immagine la cui incerta provenienza, affonda tra i “fantasmi” di registrazioni precedenti, come accadeva con le copie di seconda, terza, quarta generazione. Per il resto, la presenza di Vitale, con quella videocamera allo specchio, è assolutamente centrale e ricorda un’attitudine simile nel rapportarsi alla propria immagine, quella praticata da Peter Murphy nella sua videografia.

C’è ovviamente di più, ed è lo stesso Vitale a rivelarcelo, con riferimenti che vanno dal cinema di Slava Tsukerman all’estetica cyberpunk.

Volevo catturare al meglio l’esperienza sonora che il brano offre – ci ha rivelato Maurizio Vitale – un sound grezzo e diretto. Da qui la decisione di girare poche takes con una vecchia videocamera difettosa. La scelta della location è ricaduta su un bunker sovietico situato nella zona di Weissensee, nella ex Berlino Est, semplice ed efficace per esprimere il senso di alienazione descritto nella canzone e per aumentare il distacco tra i due protagonisti, la cui interazione avviene esclusivamente attraverso lo scambio a distanza di lettere e oggetti personali. Al tempo stesso mi piaceva l’idea che i personaggi venissero ritratti con abiti e makeup che richiamassero vagamente l’estetica cyber punk anni ’80/’90 come “Blade runner” e “Liquid Sky” ma anche figure che hanno segnato la storia del cinema come Eric Draven, interpretato da Brandon Lee ne’ “Il Corvo”, il Johnny Depp di “Edward mani di forbice” e i diversi Joker.

Lolita Terrorist Sounds su Facebook

Morto Pedro Gonçalves, contrabbassista dei Dead Combo: il ricordo e il podcast

Dispiace essere i soli in Italia a ricordare Pedro Gonçalves, artefice insieme al chitarrista Tó Trips di un suono unico, quello dei portoghesi Dead Combo, che dal 2004 al 2018 hanno pubblicato otto album contaminando l’amore per la musica di Carlos Paredes con lo spirito di un suono cinematico ispirato, tra le altre cose, all’epica western di Ennio Morricone.
Pedro e Tó si sono incontrati proprio in occasione di un tributo al grande Paredes, avviando un progetto che si è imposto nel panorama musicale portoghese come uno dei più importanti e originali.

Dopo la pubblicazione di Volume 1 per la loro etichetta Transformadores, suscitano l’interesse di Charlie Gillet, il noto conduttore radiofonico britannico che li inserisce nelle sue playlist per la BBC tra le uscite migliori del 2004.

Volume II- Quando a Alma não é Pequena viene quindi pubblicato per la Universal ed è solo l’inizio di un’avventura che li porterà a collaborare con artisti del calibro di Marc Ribot, Camané, Sérgio Godinho (una gloria nazionale) e Alexandre Frazão. Nel 2012, il grande produttore cinematografico portogese Paolo Branco li inviterà a suonare a Cannes, durante il party di presentazione di Cosmopolis, il film diretto da David Cronenberg.

Pedro Gonçalves è morto ieri 4 dicembre 2021, la notizia è stata diffusa in prima battuta da Agência Lusa e confermata dall’editore della band, la Sony Music. Gonçalves aveva 51 anni e lottava con il cancro da molto tempo. Gli ultimi concerti del duo erano infatti stati annullati proprio in seguito ad un peggioramento della sua salute.

Tra i numerosi ricordi che il mondo artistico portoghese ha pubblicato in queste ore, emerge quello del cantautore Sérgio Godinho che sul suo facebook e in una testimonianza audio pubblicata dalla rivista Observador, parla di Gonçalves definendolo generoso come persona ed eccellente come musicista.

Ho avuto l’opportunità di intervistare Pedro Gonçalves nel 2006, alla vigilia della pubblicazione di Volume II. Il Pocast è stato pubblicato originariamente da questa parte su indie-eye, ma non era ancora disponibile nel nuovo archivio di mixcloud che stiamo ripopolando.

Da oggi è possibile ascoltarlo di nuovo ed è il nostro piccolo omaggio ad un musicista dal grande talento, che ha saputo combinare i suoni delle proprie radici, con una visione espansa e apolide della musica. Buon ascolto.

Pedro Gonçalves – l’intervista audio

Zephiro – Cosmorandagio: il videoclip di Simone Serafini

Simone Serafini, videomaker romano, negli ultimi tre anni ha realizzato un buon numero di video musicali, alcuni dei quali contaminano la performance in studio con un approccio maggiormente visual e inventivo. La clip realizzata per Zephiro, terzo singolo che anticipa l’album “Baikonur“, in uscita nel 2022, si intitola Cosmorandagio, dove si affronta il rapporto complesso tra tecnologia, sperimentazione ed esseri viventi, mettendo al centro l’avventura di Laika nello spazio, la cagnetta spedita dai sovietici a bordo dello Sputnik.
Che Laika e il suo sacrificio per il sol dell’avvenir abbia influenzato e ispirato numerose opere dell’ingegno, anche videomusicali, è un fatto; ricordiamo a questo proposito Moan, il video di Niels Gråbøl and Ulrik Crone realizzato per Trentemøller, Sputnik 2 la cagnetta Laika bel video d’animazione diretto da Valeria Belloro per Kali, e andando ancora più indietro, sempre in ambito videomusicale, Neighborhood #2 (Laika) diretto da Josh Deu per gli Arcade Fire, fino al recente “we’ve got to try” dei Chemical Brothers, diretto dal notevolissimo Ninian Doff (leggi l’intervista su indie-eye), dove non si parla nè ci si riferisce a Laika, ma l’influenza di quella triste storia dell’avventura aerospaziale è facilmente rintracciabile, attraverso una riflessione più sottile sui limiti fisici e psichici di un essere vivente collocato al di fuori della propria cornice di riferimento.

Simone Serafini sceglie una via tutta visuale, in linea con il suo sentire e il suo modo di fare videomaking, facendo una sintesi dell’arte grafica di propaganda che guardava alla conquista dello spazio e che alla fine degli anni cinquanta recuperava le istanze dell’avanguardia degli anni venti per trasformarle in qualcosa di completamente diverso. Di quell’estetica ispirata al cosmo Serafini sintetizza con grande talento gli aspetti principali e anche quelli di un certo messianismo di regime, sfruttando immagini d’archivio e rielaborando una narrazione astratta intorno ad un concetto, tanto da recuperare anche elementi costruttivisti di qualche decennio precedenti alla Space Age sovietica, per farli interagire con una serie di riferimenti più ampi in termini storici.

Il risultato è quello di un bel lavoro combinatorio tra motion graphics e found footage.

PFM – Worlds Beyond/Mondi Paralleli: il videoclip diretto da Wayne Joyner

Per veicolare il primo singolo da “Ho sognato pecore elettriche“, album dal titolo Dickiano che segna il ritorno discografico della Premiata Forneria Marconi, la storica band prog-rock si è affidata ad un fuoriclasse come Wayne Joyner, visual artist che ha collaborato, tra gli altri, con Ayreon, Kansas, Dream Theater, Robby Krieger dei Doors, Jon Anderson degli Yes, Vinnie Moore, Devin Townsend e gli Stryper.

Worlds Beyond / Mondi Paralleli” è un brano strumentale che contiene svariati generi musicali al suo interno, come hanno dichiarato Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, un modo per “dare agli ascoltatori il piacere di immaginare tutto senza ulteriori input o spiegazioni“.

Ci pensa in qualche modo la fantasia visuale di Joyner ad aggiungere un surplus di significato, nella creazione di un video d’animazione che combina motion design e grafica tridimensionale, con la consueta capacità di inventarsi innesti creativi tra fantascienza, video-gaming, internet art, animazione di altissimo livello.

Tracklist HO SOGNATO PECORE ELETTRICHE (PFM) : “Mondi Paralleli”; “Umani Alieni”; “Ombre Amiche”; “La Grande Corsa”; “AtmoSpace”; “Pecore Elettriche”; “Mr. Non lo So”; “Il Respiro del Tempo”; “Transumanza” (bonus track); “Transumanza Jam” (bonus track).

PFM – Premiata Forneria Marconi è composta da: Franz Di Cioccio (voce e batteria), Patrick Djivas (basso), con Lucio Fabbri (violino, seconda tastiera, cori), Alessandro Scaglione (tastiere, cori), Marco Sfogli (chitarra, cori), Alberto Bravin (tastiere, chitarra, seconda voce).

Mobrici – Tassisti della Notte: il videoclip di Broga’s

Broga’s è la sigla che indica il lavoro creativo di Andrea Settembrini, Gabriele Licchelli e Francesco Lorusso, tutti e tre pugliesi e attivi nel settore videomusicale con lo spirito di un collettivo vero e proprio, tant’è si muovono insieme ad una serie di specialisti che dal montaggio, ai VFX, passando per altri ruoi specifici, costituiscono un gruppo di lavoro allargato e affiatato. Dai video già realizzati per Erin (Ventilatore Rotto, Lacrime Rosse) fino alle videopoetry per Gio Evan, mantengono una forte centralità del discorso cinematografico, inteso come influenza principale nel loro approccio al territorio videomusicale.

Come diciamo spesso, lo spazio di convergenza del videoclip contemporaneo è molto ampio e possibile e il linguaggio cinematografico è solo uno degli elementi di analisi semiotica.

In questo senso la sigla Broga’s dimostra coerenza e scelte precise, nella traduzione astratta e contratta di quelle suggestioni, i ringraziamenti alla Torino-Piemonte Film Commission confermano le intenzioni.

L’esempio più recente è il video uscito oggi per Mobrici, interamente girato a Torino, con il cantautore milanese a bordo di una Fiat 132 nel ruolo di un tassista notturno. Le creature che incontra scaturiscono dalle liriche in modo simbolico e smarginano i confini tra fantasia e realtà, con alcuni riferimenti più o meno espliciti al mondo seriale di Squid Game, ripulito dal conflitto di classe che la serie coreana sottende.
Al centro una coppia quindi, lei vittima, lui torturatore, con i ruoli sull’orlo di uno scambio radicale.

Al di là dei simboli prelevati dalla cultura popolare, le luci fotografate da Francesco Lorusso sembrano riferirsi al lavoro di Christopher Doyle, il direttore della fotografia australiano e hongkonghese, che ha contribuito nel periodo d’oro del cinema di Hong Kong, a creare un’immagine precisa, che troppo spesso e in modo inesatto viene attribuita al solo Wong-Kar Wai .

Con le dovute differenze, c’è la ricerca della medesima ipovisione e l’intenzione di lavorare in equilibrio tra luce ed ombra, con l’immagine “mangiata” ai margini.

Tassisti della notte“, che già dal titolo bissa quasi esattamente l’edizione italiana di un noto film diretto da Jim Jarmusch, è un bel video che traduce il piccolo grande dramma di un sentimento di inadeguatezza e sradicamento, attraverso l’emersione di una violenza che non esplode mai, ma che viene filmata attraverso gesti e posture un attimo prima o un attimo dopo rispetto alla deflagrazione. La scelta di Torino può essere più o meno casuale, ma innesca altre letture, legate al passato e al presente della città, alla violenza pronta a manifestarsi, alla complessità di una metropoli apolide

In questo senso, il volto di Liu Ruogu, modella dall’innegabile presenza, è di notevole intensità e racchiude tutte queste qualità “sul bordo”.

Rosalía – La Fama – ft. the Weeknd: il video diretto da Director X

Finisce nel sangue, l’esplorazione di Rosalía e The Weeknd sugli effetti della celebrità.
L’assaggio di Motomami, il prossimo album dell’interprete spagnola, in termini visuali sembra meno estremo dello splendido teaser diretto dal fotografo tedesco Daniel Sannwald, dove Rosalìa compare come un vero e proprio essere mutante.
Nella clip diretta dal prolifico Director X incarna l’interpretazione figurale della fama, creatura seducente e pericolosa, capace di trasformare a ritmo di bachata uno scenario glamour nel suo opposto inquietante. Con una produzione sonora accuratissima, vicina ad alcune cose di Banks, la controparte visiva è molto meno incisiva rispetto alla forza dei video che hanno accompagnato la promozione di El Mal Querer.


Eleviole? – Macchine Volanti: il videoclip di Diego Gavioli

Classe 1980, Diego Gavioli è nato a Cento, località dove vive e lavora. Formatosi presso il DAMS di Bologna è un videomaker, un insegnante di editing accreditato e un creativo a tutto tondo. I suoi videoclip combinano motion graphics con alcune suggestioni desunte dalle arti visuali. Nell’eterogenea varietà delle committenze, mantiene uno sguardo sperimentale molto coerente, capace di estendere lo spazio filmato attraverso un dialogo dinamico tra performance e aspetti concettuali.

Non è diverso il bel video realizzato per Eleviole?, al secolo Eleonora Tosca, performer milanese ma con base in toscana, già voce degli ARIADINEVE.
Per veicolare “Macchine Volanti“, il singolo estratto dall’imminente “Malinconie da manuale“, Eleviole? ha allestito una delle sue performance tra tessuti aerei sospesi a sei metri di altezza, dove prende forma un’idea di circo completamente legata al movimento acrobatico e alla danza.

Gavioli si inserisce in quel filone della videomusica che guarda alle arti performative, lasciando libera Eleonora Tosca di tessere la propria traiettoria creativa, ma allo stesso tempo trasformando quelle forme libere in un esempio di visual art in linea con la sua videografia.

Nel lavoro di Eleviole? come performer ci sono alcuni elementi che ci hanno ricordato le architetture teatrali costruite da Firenza Guidi (filmate qui da Indie-eye nel 2008), ma con una dimensione maggiormente spontanea, legata al teatro di strada e a tutto quello che si porta dietro, in termini espressivi e di anarchia creativa.

Rispetto ai suoi video più sperimentali Gavioli viene completamente incontro alle necessità performative e si ferma sul corpo di Eleonora sospeso a mezz’aria, sull’intreccio dei tessuti, sui disegni naturali tracciati da questo incontro.

Fa eccezione la parte introduttiva, dove sui praticabili che servono ad Eleonora per esibirsi, Gavioli individua un pattern geometrico che ripeterà in coda, come elemento grafico, genoma di un’idea alla base di quella comunione tra corpo, movimento e natura che viene suggerita dalla stessa esibizione: l’uso di una tecnologia leggera, basata su principi fondamentali di meccanica e gravità, come modalità non intrusiva per entrare in contatto con gli elementi che ci circondano.

“Era molto tempo che desideravo unire i tessuti aerei e le mie canzoni, ma non sapevo come – ci ha detto Eleonora – Non volevo che fosse un esercizio di stile perchè comunque non sono e non sarò mai un’acrobata, ma allo stesso tempo volevo dedicarmi anche all’aspetto performativo. E’ venuto naturale, chiacchierando con Diego Gavioli, cercare di mostrare quello che per me significa “stare in aria” cioè ritrovare un habitat, un posto dove danzare senza giudizio, un luogo davvero mio. E’ proprio in questo concetto che prende forma il mentre tutti gli altri fanno i grandi, progetto macchine volanti. Proprio come in un progetto meccanico portare un corpo in aria prevede mille piccoli dettagli e soprattutto tantissimo studio e fatica, ma la magia che ne scaturisce ripaga ogni sacrificio”.

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Diego Gavioli in rete

The Sweet Inspirations, le regine del soul-gospel in 3CD: recensione e unboxing

The Sweet Inspirations portano ai massimi livelli l’espressione vocale del gospel, creando un amalgama assolutamente unico. Armonizzazioni, inventiva, capacità improvvisativa. Non è un caso che la Atlantic Records le metta sotto contratto, dopo una radicata esperienza del quartetto in altre formazioni. Correva l’anno 1966 quando Cissy Houston, Estelle Brown, Myrna Smith e Sylvia Shemwell firmarono con la prestigiosa etichetta, diventando così sodali di Aretha Franklin, partecipando alle sue incisioni ed infine incidendo il primo album nel 1968, con un conseguente tour al seguito della grande Aretha.

Cherry Red Records, attraverso la label Soulmusic.com presenta un digipack a quattro ante, con 3 CD e 66 brani complessivi, che includono tutte, ma proprio tutte le registrazioni del quartetto su Atlantic, ovvero in un periodo che va dal 1968 al 1970.

Come di consueto Cherry Red include uno splendido booklet di approfondimento, che oltre a riprodurre gli artwork originali di singoli e album, propone un saggio storico di Tim dillinger.

The Sweet Inspirations, let it be me. The complete Atlantic Recordings 1966-1970, la video review + unboxing

I contenuti del box 3CD di Cherry Red / SoulMusic.com, includono la hit “Sweet Inspirations” scritta dal quotatissimo autore di southern soul Linden ‘Spooner’ Oldham insieme a Dan Penn. Gli album inclusi sono ‘What The Worlds Needs Now Is Love’; ‘Cissy Drinkard And The Sweet Inspirations: Songs Of Faith And Inspiration’; ‘Sweets For My Sweet’ registrato ai Fame Studios a Muscle Shoals, Alabama ed infine ‘Sweet Sweet Soul,’ che include ‘(Gotta Find) A Brand New Lover’.

Oltre a questo sono incluse otto tracce cn la line up che sostituiva Cissy Houston con Ann Williams, prodotte da Dave Crawford e Brad Shapiro, realizzate per un full lenght mai realizzate e che vedono la luce tutte insieme con questo box della Cherry Red

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Bowland, Am i dreaming: il videoclip di Rino Stefano Tagliafierro

Rino Stefano Tagliafierro incontra i Bowland. E viceversa. Il regista piacentino è tra i creativi più interessanti del nostro paese e tra quelli che riescono ad affrontare il contesto video in modo assolutamente proteiforme. Dovendoci limitare in questo contesto al solo showreel videomusicale, legato a nomi come Anil Sebastian, Optogram, About Wayne, Stumbleine, M+A, nella varietà di scelte estetiche, dalla digital art all’animazione, emerge una grande capacità di creare mondi di convergenza che accolgono molti stimoli e che successivamente informano i numerosi campi di applicazione dove Rino si muove, dall’advertising alle video installazioni, tenendo coerentemente al centro uno sguardo che molto deve alle arti visuali, dalla pittura alla fotografia.

Per “Am i dreaming“, il nuovo singolo dei BowLand, l’ottima band iraniana trapiantata in Toscana che ha meritato un notevole successo durante l’edizione 2018 di X-Factor, Tagliafierro interpreta il senso di un brano scritto durante il lockdown per evocare in modo simbolico la condizione di dormiveglia che tutti ci siamo trovati a vivere. Senso sospeso che nelle immagini viene spazializzato dai luoghi e dalle stanze selezionate all’interno del grande complesso del Castello di San Pietro in Cerro, in mezzo ad alcune delle numerose opere d’arte che caratterizzano il percorso trasversale della collezione, dal ‘400 in poi.

Sceglie quindi una via che traccia un ponte immaginario tra la raffigurazione di un mondo elementale, legato a numerose tradizioni animistiche, passando per quella pittura, che dal cinquecento in poi, indaga la relazione tra uomo e natura, fino alla dimensione antropomorfa che innerva la riflessione post-umana del surrealismo.

Da un certo punto di vista, ci sembra che propenda più dalla parte di quest’ultima influenza, con il proliferare di creature mostruose, gli occhi che infestano una di queste e tutto il lavoro fotografico di Alessio Balza, combinato con le bellissime maschere di Samaneh Vahabi e l’art direction coordinato dallo stesso Tagliafierro; l’atmosfera ricreata da questa crew davvero miracolosa, costruisce un gotico contemporaneo ben radicato in quelle suggestioni che André Breton andava a scovare nella letteratura del XIX secolo.

In questo sogno ad occhi spalancati, la natura gioca un ruolo fondamentale. Lasciata libera di proliferare, infesta il corpo umano, lo attraversa costringendolo ad una mutazione traumatica e allo stesso tempo, conducendolo verso una fusione più profonda con la forza degli elementi, mai del tutto buona o del tutto cattiva.

In questo senso, la fusione con la musica del combo iraniano è perfetta, perché con il consueto e riuscitissimo innesto tra i codici del trip-hop occidentale e le sonorità della cultura persiana, porta avanti quello che Soapkills e Yasmine Hamdan hanno fatto in una direzione molto simile, aprendo nuove strade alla combinazione di soul ed elettronica che in altri casi si è fermata a Bristol.

Oltre la dimensione simbolica, quello che accade nell’architettura del video, succede anche nel corpo della loro musica.

Malcolm – Un amico mi ha detto, il videoclip di Riccardo Tappo

Regista, montatore e operatore, Riccardo Tappo è un filmmaker italiano residente in Germania dal 2017, dove collabora con società come la HS Media a la Twentyfour-one Motion Pictures. Oltre ad una manciata di corti narrativi e alcuni commercial, ha diretto un buon numero di videoclip e alcune session live, quasi esclusivamente per artisti del nostro paese. Attento alla sperimentazione con i formati e alle location, immerge spesso i performer in contesti naturali o suburbani, cercando di cogliere quelle connessioni tra movimento, corpo e ambiente.
Non è da meno la clip girata per i ternani Malcolm, fotografata da Cristian Graziano proprio nella città natale della band, alla ricerca di spazi urbani derealizzati, aree post-industriali, territori precari che caratterizzano lo scenario di un’intera cultura musicale.

Ma a differenza dei video legati alla street culture, Tappo compie uno slittamento intelligente e ambienta la storia di una tenera sorellanza intorno alla celebrazione di un giorno di festa. Tre ritratti femminili che si avvicinano alle modalità del cinema del reale per l’attenzione ai volti, ai dettagli, alla naturalezza del gioco in uno spazio degradato.

Un amico mi ha detto ci è piaciuto molto per il contrasto, semplice ma assolutamente potente, tra i colori generati da una comunione vitale e i confini di una città ostile, improvvisamente e nuovamente possibile e aperta.