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Konti Flowerchild – 300mila, il videoclip di Peter Pieraccini e Niccolo Berni

Peter Pieraccini è un giovane regista di videoclip che si è cimentato nella realizzazione di progetti legati alla cultura street, in particolare quella vicina agli artisti che ruotano intorno al pratese Mirko Conti, in arte Konti Flowerchild. Oltre ai video per il musicista toscano, ha diretto alcune clip per Mike Defunto, Shama24K, Younghito.

Per Konti Flowerchild filma con colori saturi e accesi, in linea con il progetto e il concept grafico del progetto e realizza “300MILA“, seconda clip dopo “Coloriamo”.

Come accade sovente nella videografia legata alle nuove crew della scena street italiana, l’approccio all’immagine è il più possibile fisico, fuso con i colori e il contesto urbano di riferimento, tanto da diventare un’estensione diretta delle qualità performative dei musicisti.
Il mondo di Konti Flowerchild è allora in costante movimento, cattura i colori della suburbia e la ridipinge con quelli fantastici dell’arte di strada.

L’idea del videoclip è di Konti Flowerchild, Mike Defunto, Biagio Pacini, Niccolò Berni, Peter Pieraccini e Caterina Pavarelli. La regia è affidata a Peter Pieraccini e Niccolo Berni

Collettivo Piume – Welcome: il videoclip di Paolo Boriani con Jhafis Quintero e Johanna Barilier

Il Collettivo Piume è un progetto di artisti di diversa provenienza che fonde linguaggi e mette insieme l’esperienza di Giuliano Dottori, già con Amor Fou e Paolo Marrone, frontman dei Favonio.
Dieci scrittori contemporanei forniscono linfa letteraria a musica e suoni di derivazione electropop, contribuendo alla nascita di un lavoro organico e fluido, costituito da dieci canzoni originali e un libro, dove le tematiche sociali occupano un ruolo centrale.

L’album/libro si chiama “Non c’è verso” e il nuovo estratto si intitola “Welcome“, veicolato da un videoclip diretto da Paolo Boriani.

Si tratta del terzo video ufficiale effettivo dopo “L’addio” e “Schiena“, entrambi diretti sempre da Boriani.

Mentre la prima clip estrapolava l’attenzione al dettaglio e una certa poetica visuale, durante la decostruzione di una session, Schiena lavorava con la materia visiva in modo più strutturale, attraverso un’esplorazione del corpo come elemento del racconto. Emergeva, nell’apparente classicità del setting, vicino alla ritrattistica di certi videoclip anni novanta, un’attenzione precisa al corpo come texture, ripetizione di un pattern, cellula visuale astratta.

Questa vocazione diventa esplicita in “Welcome“, che mette al centro la ripetizione e la mutazione della forma, pur partendo da elementi concreti, nella relazione tra natura e inorganico. Jhafis Quintero e Johanna Barilier, sono due artisti sul bordo che più volte hanno messo a nudo, in modo talvolta brutale, la loro vita come coppia attraverso il gesto performativo estremo. Emerge nei loro lavori una precisa indagine sul limite. La sensorialità, la violenza e l’amore, diventano quindi forme che disattendono il pensiero positivista.

Nel video, il cui testo è stato scritto da Fabio Marco Santopietro, è il processo identitario stesso ad essere messo in crisi. Mentre la canzone parla in un certo modo di migrazioni, l’installazione di Quintero/Barilier utilizza materie naturali come acqua e polvere sottile, per frammentare l’immagine dei volti. L’altro segmento li vede deambulare nel Le Day Viaduct, struttura ferroviaria ubicata in Svizzera, a Losanna, dove il duo opera, per sottolineare la condizione transitoria e di passaggio che ci accomuna tutti quanti.

Paolo Boriani conferma la sua vocazione a metà tra arte e cinema del reale, che gli ha consentito di inventarsi un territorio emozionale, adattissimo ad affrontare lo spazio di convergenza del videoclip contemporaneo. Ricordiamo i suoi progetti per Rai Cinema e Sky Arte Hd, il bellissimo “Saga” sul teatro equestre di Giovanni Lindo Ferretti e naturalmente il videoclip per Vinicio Capossela, “La bestia nel grano”, che già era un esempio riuscitissimo tra documentario, arte performativa e rituale popolare.

Denise – Fear of the Water: il videoclip di Denise Galdo

Il mondo creativo di Denise Galdo è un magma incandescente, non solo per l’intensa qualità dei suoi lavori, ma anche per le intersezioni tra più discipline che da sempre mette in gioco, oltre la dimensione cantautorale con cui si è fatta inizialmente conoscere.

Denise è anche una visual artist, un’interprete sensibile votata alla riscrittura di brani altrui, una videomaker che si bilancia tra i lavori per altri artisti e quelli sviluppati entro il suo personale recinto creativo.

Per la bella cover di Syml, a cui strappa un senso diverso e maggiormente trasformativo, realizza una clip intima e potente che rilancia l’idea di autoritratto come profonda esplorazione identitaria.

Da una parte una chiarissima dichiarazione di intenti a cui l’artista salernitana si affida per raccontare l’energia matrilineare che irradia il progetto, dall’altra una clip che esplora un territorio tattile, molto vicino alle pulsazioni del brano e che lambisce anche un’oscura alchimia dove creazione e distruzione possono coincidere.

L’orchidea, i frutti e la loro consistenza viscosa, il nutrimento, ma anche quella voracità che trasforma attraverso l’inglobamento.

Sceglie una strada sensoriale Denise, che si affranca da una rappresentazione binaria della femminilità e allo stesso modo concepisce un video “da camera”, intimo, potente, a tratti disturbante e fatto di poche semplici cose. Un video che ha l’ambizione di trasformarsi in un’esperienza visual ancora organica, senza l’ausilio di parafernalia digitali.

Fleet Foxes – Featherweight: il videoclip d’animazione di Sean Pecknold

Ha già fatto incetta di premi il video che Sean Pecknold ha da poco realizzato per i Fleet Foxes, ultimo di una serie di lavori davvoro magici prodotti per la band del fratello Robin.
Featherweight, storia di un rapace durante il suo ultimo, epico volo, segue un procedimento non dissimile da The Shrine / An Argument, nel mettere in relazione gli sfondi dipindi a mano da Sean Lewis con l’animazione stop motion di pupazzi 2D.

I due elementi si fondono perfettamente donando incredibile fluidità alla creatura di Pecknold e consentendo uno straordinario lavoro di luci e ombre.
L’artista di Seattle è sicuramente uno dei talenti più interessanti dell’animazione contemporanea, aspettiamo con vivo interesse “The last Forest“, ovvero quello che sarà il suo debutto nel lungometraggio, interamente realizzato con tecnica stop motion.
Il video di Featherweight è Vimeo Staff Pick tra settembre e ottobre.

Palace – Lover (Don’t Let Me Down): il videoclip di Theo Watkins

Il bristoliano Theo Watkins ha già diretto un buon numero di videoclip tutti elaborati a partire dall’idea di montaggio, ritmo e ripetizione. Non importa quale sia la forma scelta, più o meno narrativa, ma le modalità con cui il racconto si contrae come funzione stessa del ritmo. Il lavoro realizzato per i concittadini Palace, segue per certi versi un criterio non dissimile dalla frammentazione di movimenti, dettagli e corpi, che si può vedere nella clip realizzata per Model Man.

In quel caso era una personale revisione dei video performativi, con la danza che muoveva lo stesso frame, in questo è una dimensione psichica della memoria, che serve a Watkins per isolare con mascherini e illuminazione corpi, volti, gesti, come se le immagini provenissero da un vecchio dagherrotipo o dalle forme incerte della fotografia stenopeica.

Si tratta del lavoro più astratto e visual dell’artista britannico e a nostro avviso uno dei suoi più riusciti, che elabora le liriche estreme dei Palace ispirate alla formazione del ricordo e alla connessione tra memoria e desiderio.

Brano incentrato sul senso della perdita, “Lover”, identifica l’ossessione amorosa come una dimensione della mente, mentre le immagini di Watkins passano in rassegna un campionario visivo che decostruisce la ritrattistica degli album di famiglia, tra presenza ed evanescenza.

Aspect – Carrier: il videoclip di Martyn Thomas

Il video che ha segnato uno spartiacque nella carriera dell’artista londinese Martyn Thomas è sicuramente quello realizzato lo scorso maggio per San Holo. “Black and White” era una sperimentazione “estrema” sulle possibilità del rotoscope applicato all’animazione, capace di superare gli automatismi del processo, riconducendo i risultati dalla parte dell’artigianato compositivo.

I movimenti perfetti integravano delle interferenze che esplodevano, letteralmente nell’addizione di linee, colori, sfondi, fino ad immergere la forma nel collage.
Non è diverso il bellissimo promo diretto per Aspect, per il quale Thomas ha immaginato di immergersi in un rave con una cinepresa 16mm.

Costituito da linee e colori nel rapporto generativo con il nero, è anche questa una nullificazione dei principi che stanno alla base del rotoscope. Thomas seleziona, sceglie, riduce tutto ad un minimalismo esasperato, cercando di cogliere le pulsazioni del suono.

Da una parte le radici sembrano affondare nel lontano passato delle sinestesie tra jazz e animazione, dall’altra quella del geniale animatore britannico sembra una frontiera personale e creativa che elabora la cultura visual da una prospettiva nuova e più libera.

Aspect – Carrier. Video ufficiale, Dir: Martyn Thomas

DELAURENTIS – Unica’s Cloud: il videoclip di AB/CD/CD

Le relazione tra etologia e robotica è più stretta di quanto si possa pensare e aiuta a comprendere l’interazione uomo-natura-macchina in modo più specifico.
Lo studio del movimento collettivo tra gruppi di insetti e animali, ha sollecitato la progettazione di algoritmi di controllo per i cosiddetti sciami di droni.

Quella che è la capacità di adattamento all’ambiente per stormi di uccelli o banchi di pesci, nel veloce trasferimento di informazioni tra simili durante movimenti complessi, diventa una sfida parallela nel campo delle scienze informatiche e robotiche per la progettazione di un’architettura decentralizzata che possa controllare il comportamento di un numero elevato di droni. Da una parte microdroni con capacità di elaborazione limitate, dall’altra l’architettura di uno sciame, capace di trascendere tutti gli ostacoli tecnici, in una relazione virtuosa tra capacità individuale e movimento collettivo, funzioni percettive del singolo dispositivo e controllo di una visione più ampia.

Sembra che i geniali AB/CD/CD, da sempre interessati ad una prospettiva “immersa” nella prassi di produzione e fruizione dell’immagine digitale, si siano riferiti a questa nuova frontiera della robotica, individuandone le possibilità applicative che tutti temono, quelle in ambito militare. Camille Dauteuille e Clément Dozier collocano Helena Olmedo Duynslaeger in mezzo ad un’area aperta, dove questa donna dalle capacità psichiche e performative fuori dal comune, riesce a controllare lo sciame come nella coreografia di una parata militare.

La mutazione che subisce è improvvisamente percettiva quindi legata alla formazione della propria identità.

Fino a che punto è possibile controllare lo sciame e soprattutto, come è stutturata la visione robotica quando si fonde con la nostra?
AB/CD/CD scardinano la relazione binaria tra oggetto e soggetto della visione, elaborando una vera e propria infestazione cognitiva, prima ai danni di Helena e del suo sguardo interiore/esteriore, poi contro il nostro, improvvisamente reso impossibile dalla proliferazione di occhi elettronici che mandano in cortocircuito l’immagine, in una sovrapposizione ipertrofica di glitch, impedendoci di vedere la realtà per come la conosciamo.

David Bowie – Survive, il videoclip di Walter A. Stern: naked eye

Once I realized space is a dimension of time, the rest was easy!
(Michael Moorcock – The Visible Man or down the multiversal rabbit hole – 2006)

Nel breve speciale che VH1 dedicò al video di SurviveDavid Bowie sottolinea quanto il suo entusiasmo per i video musicali, sia diminuito con gli anni, soprattutto da quando questi hanno cominciato ad essere più accessibili, meno ingenui e quindi meno soggetti a forme di sperimentazione. Eppure, con rinnovata emozione, nel 1999 decide di collaborare con uno dei videomaker più originali degli anni novanta, quel Walter A. Stern che aveva realizzato i lavori più significativi per Massive Attack e Prodigy.

La macchina che si muove intorno agli affari discografici di Bowie ha rispolverato qualche ora fa la clip tratta da hours, scomparsa da YouTube e reperibile presso altre piattaforme, grazie alla “pirateria” positiva dei fans. L’occasione è festeggiare da una parte il lancio del video, trasmesso per la prima volta il 26 novembre del 1999 e lanciare il nuovo cofanetto “A Brilliant Adventure”, che prenderà in esame gli anni 1992-2001 nella carriera di Bowie.

Dal making VH1 è facile desumere il lavoro di Stern nell’allestire un set “meccanico”, adibito all’uso di props concepiti per far levitare il corpo di Bowie in questa grande cucina che sembra un luogo della memoria, ricostruito negli studi Tower Bridge di Londra.

Non è cosa da poco, perché la riduzione minima del digitale per favorire un approccio fisico e meccanico al set, affida a Bowie una centralità performativa importante.

L’attenzione specifica di Stern al senso del brano e ad alcuni elementi chiave delle liriche, si conferma anche in questo caso. Per la traccia più dolente di hours, materializza quell’aura negativa di rassegnazione e di perdita, che può essere indirizzata al di fuori delle presunte occorrenze biografiche a cui il brano alluderebbe.

Da una parte l’esca narrativa dichiarata dallo stesso Bowie, legata alla fiamma per un’amore mancato, adesso completamente svanita. Che si tratti di Hermione Farthingale o di Lesley Duncan poco importa, perché è semplicemente immagine dell’assenza e nel connubio con quelle ideate da Stern e la sua crew, si verifica il medesimo specchiarsi di Thursday’s Child, la clip precedente, diretta dallo stesso regista.

La dimensione confessionale dell’album viene in qualche modo riflessa nei due video di Stern che giocano in forma intima e introspettiva con un gesto tipico Bowiano, quello dell’obliterazione del proprio passato, giunto qui ad un denudamento radicale, con l’icona che si sfalda nell’anonimo quotidiano.

Space age e science fiction ridotte ad un’entropia personale, con i viaggi astrali e dimensionali di Bowie, riletti attraverso una lente interiore, dove Major Tom vive una nuova deriva, tra il tavolo da pranzo e il forno.

Dovessimo raccontare Bowie attraverso le stanze, i pavimenti, i lavandini, i letti pre-mortem, descritti tra artworks e canzoni, non finiremmo mai di cercare connessioni e infiniti vettori mitopoietici.

Ma Survive, nel video di Stern, sembra tornare dal passato come immagine davvero pregnante del presente, piccola elegia di resistenza dall’isolamento, lotta contro le inutili derive della passione, alla ricerca del proprio asse gravitazionale.

Inoki ft. Bresh & Disme – 100s: il videoclip di Pietro Biz Biasia

Pietro Biz Biasia è un vero talento e ci auguriamo si senta parlare di lui più spesso anche in Italia. Stanziato a Londra, si occupa di tutto quello che concerne la produzione audiovisiva, dalle riprese alla post produzione, muovendosi tra advertising e video musicali, ma senza perdere coerenza estetica e creativa. Legato ai nuovi fenomeni musicali e sociali vicini alla street culture, ha elaborato una sua poetica che dai video verticali a quelli più tradizionalmente destinati a YouTube, trattiene potenza e aggressività documentali, offrendo un punto di vista decisamente a fuoco rispetto al mare magnum di produzioni dove si respira la stessa aria. 
Mentre è possibile godersi il suo portfolio da questa parte, dove spiccano i lavori per Son of a Gun e Real Guns, è uscito da poche ore il video realizzato per Inoki girato nel Segundo Torrão di Trafaria vicino Lisbona. Per il brano prodotto da Chryverde come anticipo del nuovo progetto “NUOVO MEDIOEGO”, Pietro Biz Basia ha realizzato una sintesi del suo mondo espressivo e tecnico, realizzando un video ipercinetico dove l’attenzione al dettaglio e ad una serie di “nature morte” urbane, combina arte fotografica, digital art e videomaking d’assalto. Le similitudini con Wag1 per Real Guns sono fortissime, tanto che a interpretare la clip è lo stesso musicista portoghese, con una serie di immagini che sembrano uno spin off dal suo stesso vieo. Si tratta comunque di un lavoro molto bello, una sorta di “remix” di idee già elaborate, seguendo una tendenza che lo stesso YouTube sta incoraggiando, ma totalmente in linea con l’immagine e l’approccio di Inoki

Peter Gabriel ft. Kate Bush – Don’t Give Up: il video di Godley & Creme

Le origini visuali e politiche di Don’t Give Up, uno dei singoli che Peter Gabriel utilizzò per promuovere “So“, sono note. L’artista inglese rimane colpito da alcune foto di Dorothea Lange contenute nel volume “In this proud land: America, 1935-1943, as seen in the FSA photographs“. A polarizzare la sua attenzione, come dichiarerà ad NME, è la serie di foto che ritrae le condizioni dei contadini durante le cosiddette Dust Bowls, ovvero le tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939, durante la grande depressione. Gabriel fornisce una lettura più stratificata e sovrappone questo sentimento di disagio alle condizioni dei lavoratori nell’Inghilterra di Margaret Thatcher.

Con una copertina astratta curata da Peter Saville e Brett Wickens su foto di Trevor Key, il singolo esce il 27 ottobre del 1986 per raggiungere il nono posto nelle classifiche britanniche il mese successivo.

Verrano realizzati due videoclip, il più noto dei quali diretto dai geniali Godley & Creme, impegnati ad escogitare una soluzione visuale di impatto per rendere al meglio la forma antifonale del brano, nel dialogo tra Gabriel e Kate Bush.
Mentre Gabriel racconta la deriva di un uomo senza speranza, i versi pronunciati da Kate hanno il compito di infondere fiducia e di caratterizzare la forza ascensionale del brano.

Godley & Creme realizzano il video in un solo piano sequenza, collocando Gabriel e la Bush sullo sfondo di un intero ciclo solare, fino all’eclissi e ad una successiva riemersione della luce. In forma del tutto simmetrica rispetto alle liriche, questa doppia rotazione, dei corpi e della stella madre del sistema solare, consente una serie di combinazioni. Mentre le parti suddivise dalle liriche regolano la durata del movimento e della presenza in camera dei rispettivi interpreti, il sole raggiunge l’eclissi nel punto centrale del brano.

Godley & Creme sfruttano un immaginario molto vicino a quello dei corpi Hollywoodiani collocati “contro” il paesaggio, dall’esplosione del Technicolor in poi, elaborando una poetica elettronica tutta nuova e reiterando in loop un gesto che diventa infinito, come già accadeva nei video di Zbigniew Rybczynski, ma anche nell’advertising ideato dal geniale duo in quegli anni.

Don’t Give Up diventa allora un video Zen, nel rovesciamento continuo del bene dentro al male, nella luce del sole che incontra il lato più oscuro.