Il premio per il miglior videoclip di Asolo Art Film Festival 2021, nella sezione Film d’arte/Music Video curata da Michele Faggi, va a Paolo Santamaria per la clip di “Dormo poco e sogno molto“. Realizzato con le animazioni di Gianpaolo Calabrese per gli España Circo Este, come veicolo promozionale per l’album Machu Picchu pubblicato da Garrincha Dischi, è prodotto dalla The Factory dello stesso Santamaria. Il video, uscito nel 2020. Da questa parte è possibile leggere l’intervista esclusiva concessa a indie-eye e condotta da Michele Faggi. Il video elabora in modo emozionale e grazie alle tecniche di animazione un passaggio senza soluzione di continuità tra realtà e schermo, nuove tecnologie e consistenza tattile, ma ci interroga anche, come scriveva Faggi: “sul nostro ruolo rispetto al filtro mediale che quotidianamente circoscrive le tragedie più piccole e quelle globali, spingendoci in una pericolosa comfort zone scopica dove lo spettacolo scorre e non ci macchia di sangue”
“Filmammo il videoclip ad inizio Marzo nei giorni di poco antecedenti al primo lockdown – racconta Santamaria – momenti in cui risultava difficile persino concentrarsi per fare la spesa, figuriamoci per costruire un simile viaggio onirico. Nel nostro studio, la The Factory improvvisamente impregnata di alcool ed amuchina, ci ritrovammo io, Marco Anselmi (il nostro tuttofare) e Gianpaolo in compagnia di una 50ina tra iPhone ed iPad ed una scena da allestire (le mani presenti nel video sono le loro). Fu un primissimo esperimento di set con mascherine ffp2, complesso e surreale“
Paolo Santamaria ha ritirato ad Asolo Art Film Festival 2021 alle 17:25 di domenica 29 agosto sul palco del Teatro Duse, alla presenza del direttore artistico del Festival Thomas Torelli e della direttrice Annamaria Sartor.
Dormo Poco e Sogno Molto, il video ufficiale di España Circo Este diretto da Paolo Santamaria
Gli altri premi di Asolo Art Film Festival 2021
Gran Premio di Asolo: ‘Anima’ di Liliya Timirzyanova.
Film sull’arte- cortometraggi: ‘Parizad’ di Mahed Imani Shahmiri.
Film sull’arte- lungometraggi: ‘Mathius marvellous shop’ di Paolo Álvarez e Manuel Escorihuela.
Film d’arte- videoclip musicale: ‘Dormo poco e sogno molto’ di Paolo Santamaria.
Film d’arte: ‘Sproloquio d’estate’ di Luca Delfini.
Nuovi Linguaggi: ‘Under the cold stars’ di Stefano Giacomuzzi.
Espressioni Prime: ‘Time is’ di Zaur Kourazov.
Italiae: “Eterotopia – La Maddalena” di Ivo Pisanti
Menzione Speciale Mediterrano Corto Film Festival: “Tempo d’acqua” di Uros Vukovic
Menzione Speciale Associazione AAFF: “Travel Notebooks: Rome – Italy” di Silvia De Gennaro
Menzione Speciale Ibrida Film Festival: “Milano di Carta” di Gianmarco Donaggio
Menzione Speciale Festival Internazionale del Cinema di Frontiera: “Head” di Esmaeil Gorji”
Sezione Tema dell’anno “Fai della tua vita un’opera d’arte” (1): “Outside my window” di Sonia Gemmiti
Sezione Tema dell’anno “Fai della tua vita un’opera d’arte” (2): “My body given for you” di Anna-Claria Ostasenko Bogdanoff
Premio Città di Asolo: “Conz. L’ultimo collezionista” di Roberto Delvoi
Giuseppe Lanno è un regista palermitano con base a Bologna. Negli ultimi anni ha realizzato numerosi videoclip, oltre a cimentarsi con il documentario. Entrambi gli ambiti gli hanno consentito di contaminare il linguaggio dei video musicale con intuizioni che provengono dal cinema sperimentale, dalla video arte, da un’attenzione specifica agli spazi architettonici e alla composizione dell’inquadratura, che a sua volta fa tesoro dell’esperienza con il cinema del reale per spingersi in territori più interiori. Al centro una galleria di straordinarie figure femminili, raccontante fuori dagli stereotipi di genere e affrontate con grande intensità.
Uno dei suoi video più recenti, realizzato per un veterano del pop europeo come Sondre Lerche si intitola “I Could not love you enough” ed è una vera sorpresa, per qualità e forza ed è in concorso insieme ad altre 19 opere ad Asolo Art Film Festival 2021, nella sezione Film D’Arte / Video Musicali, curata da Michele Faggi per il Festival diretto da Thomas Torelli.
“Il video è stato girato interamente in Lettonia, a Rīga – ci ha detto Giuseppe – Essendo stato girato in pandemia il video nasce dal quotidiano di chi lo gira e della protagonista nella condivisione dello stesso spazio e dello stesso tempo. I mezzi, quasi del tutto assenti, sono limitati alla videocamera, l’improvvisazione dei set a seconda della luce di quel determinato giorno. L’idea è stata concepita dopo numerosi e ossessivi ascolti, con uno “studio” del brano, come è nella mia personale prassi. Una volta discussa con Sondre Lerche, l’idea è stata nella nostra vita, nella nostra casa, nelle nostre passeggiate per giorni. Dei momenti di normalità sono stati trasformati in materiale, non sempre in modo consapevole. Una volta trovato il ritmo nel montaggio finale, il video è stato messo nelle mani di Dario Baldini che ha contribuito con la sua color, realizzata a distanza“
Dopo il videoclip, l’intervista completa a Giuseppe Lanno
Puoi raccontarci la tua collaborazione con Melqart Production. Come é nata e come si é articolata.
Melqart Production è una realtà siciliana con cui ho cominciato il mio lavoro in maniera professionale. Ancora oggi collaboro e porto il nome pur non vivendo in Sicilia, come fossi una succursale con l’idea di promuoverne l’espansione. Francesco Murana, il fondatore, è la persona con cui mi sono formato e che continua il lavoro di Melqart con un occhio speciale.
Come si é delineata la collaborazione con Sondre Lerche?
Sono un fan di Sondre Lerche dai tempi in cui vidi una commedia dal titolo Dan in real life (2007, regia di Peter Hedges) in cui lui figurava come compositore della colonna sonora. Nel tempo ho ascoltato tutti i suoi dischi apprezzando la vena pop a mio parere molto sofisticata. Con l’avvento dei social è diventato più semplice anche mettersi in contatto con i propri beniamini. Su Instagram ho scritto a Sondre, prima solo per chiacchiere normali e poi per proporgli un videoclip. Avendo anche del tempo per dedicarmi a dei progetti personali, essendo in piena seconda ondata, gli ho proposto un’idea con script e moodboard e lui mi ha dato via libera. Ci siamo un po’ confrontati su un primo montaggio e poi abbiamo concluso col montaggio definitivo insieme al suo manager. Sondre è una persona dai modi davvero gentili.
Come hai lavorato allo sviluppo della sceneggiatura?
La quotidianità, l’intimità, sono argomenti per me di costante riflessione. Credo che ci si dovrebbe confrontare con grande attenzione con le proprie idolatrie giornaliere, con le proprie esagerazioni allo stesso modo in cui ci si dedica al proprio sentimento, alla propria capacità emotiva. Da qui l’idea di mostrare il quotidiano di un occhio che guarda e che reagisce. Vede l’idillio e vede la violenza o forse pensa di vedere. A volte una parola può sembrare uno strangolamento, un rifiuto come una morte. Di base credo che una relazione umana possa aprire uno sguardo, illudere dei sensi, raccontare.
Puoi raccontarci qualcosa sulla location del video?
La location esterna è la Lettonia. Ci sono dentro delle vere passeggiate nei pressi dell’appartamento, ci sono boschi, il mar Baltico, il centro di Riga, i quartieri con i palazzoni sovietici. E’ un paese con una bassa densità demografica, è possibile camminare incontrando poche persone e questo consente anche di riprendere con molta calma. La location interna è l’appartamento, la casa. Il luogo in cui penso di più e decido di più. La vita in casa è oggetto di grande interesse per me.
Dettagli sul casting e sulla protagonista principale
La protagonista era per me già implicita nella creazione del video. Conosco Rita da otto anni e con le sue fattezze, i suoi modi, per me rappresenta la visione e la trasfigurazione di quel sentimento che metto in mostra nel video. Abbiamo ironizzato con i coltelli, le arrabbiature, le pose vere e quelle false, il nascondersi e il mostrarsi. Avendo già una quotidianità è stato (non sempre) semplice esagerare alcuni aspetti della vita quotidiana, i dolori possibili. Lei porta con sé il fascino di un pianeta lontano che può essere avvicinato. Una volta approdati sul pianeta si scopre sempre di più dove accamparsi e dove il territorio diventa ostile. Si vedono le proprie paure nella persona che si guarda. Ho già lavorato con Rita e pur non essendo lei un’attrice professionista, è molto attenta ai messaggi di una scena, ai cromatismi, all’estetica. E’ stata importante nel costruire anche alcune visioni, pur fidandosi di me.
I tuoi video sviluppano una poetica del quotidiano che si trasforma in altro. Trovi l’astratto in una sospensione spazio temporale senza forzare mai la cornice, ma esaltandone la forza espressiva. Puoi raccontarci come si verifica questo nel video di “I could not love you enough”?
Non so quanto sia facile rispondere a questa domanda, perché è ciò che tu hai letto nel mio percorso visivo. E diventa difficile rispondere perché è vero, esiste questa sospensione. Penso che la quotidianità sia un luogo con un tempo tutto suo, uno spazio con leggi fisiche particolari. Credo che la forza di gravità agisca diversamente e quindi tutto ha risposte da verificare nuovamente. Lo straordinario ha leggi più semplici molto spesso, essendo unico, paradossalmente lo viviamo con il criterio della sorpresa che per me è più ovvio. Un uragano è un evento talmente forte che è più semplice farne racconto. Questo vale per me. Nella quotidianità è più complicato astrarre e mi piace farlo, provarci. Sono molto legato all’ambito quotidiano della vita.
L’attenzione al mondo femminile é una costante dei tuoi video…
Credo sia un modo, se vuoi banale, prima di tutto di entrare in contatto con il me al femminile. Non so se ho un’attenzione particolare. Le mie storie di amicizia, di lavoro, di famiglia, sono più legate alle donne che agli uomini. Forse questo mi ha reso più sensibile ad alcuni argomenti e ha creato una tendenza a riflettermi sulle donne. Provo un dispiacere profondo e anche tanto imbarazzo quando mi rendo conto di come i retaggi culturali ci influenzino nel nostro modo di interagire con le donne. Forse il punto è che cerco di avere attenzione.
Il colore mi sembra che sia una dimensione fondamentale nel video, attraverso la mutazione di texture e dominanti racconti quella del sentimento amoroso. Puoi soffermarti su questo aspetto e raccontarci il contributo del colorist Dario Baldini Macchia?
Dario Baldini, detto Macchia, è mio fratello. Siamo cresciuti insieme ai tempi dell’università. Abbiamo messo mano alle prime camere, ai primi software, creando video ironici. Poi realizzare video è diventato il nostro lavoro. Ci siamo sempre confrontati anche nei momenti di lontananza, vivendo in posti diversi. Negli ultimi anni Dario si è dedicato all’attività di colorist oltre che DOP, a mio parere con grande sensibilità. Per me è difficile restringere il suo contributo a quello di colorist perché con lui discuto le immagini ancora prima che esistano. Ma in questo caso specifico lui ha visto il materiale già montato e ha lavorato su qualcosa di già costruito. Abbiamo lavorato a distanza nel pieno delle ondate covid. In generale mi piace molto lavorare sulle texture e sui fondali, lo faccio nei miei ritratti che sono seriali e molto codificati, questo si estende poi a questo video in modo molto forte. Mi interessa che ci siano sensazioni legate ai colori perché spesso succede molto poco nei miei video (per me nel senso migliore della cosa) e preferisco sottolineare con questo altro livello piuttosto che inserire altri elementi gestuali o narrativi. Dario ha potenziato i colori e le texture già presenti, ha manipolato le immagini in modo che il colore corrispondesse a ciò che volevo dire in quel frame. Ha saputo dare rilievo alle mie intenzioni. Ha detto, col suo linguaggio, il suo punto di vista. Mi ha fatto delle proposte, ci siamo allineati subito. Inoltre il mio materiale, in questo caso, era spesso molto istintivo ed estemporaneo. Dario ha donato coesione e ha contribuito al racconto.
Due parole sullo stato dell’arte del videoclip per te, come autore e come spettatore e un’impressione a caldo sull’inserimento nella sezione videoclip curata da Michele Faggi per Asolo Art Film Festival 2021
L’arte del videoclip, come in generale quella del cinema, ha la qualità intrinseca di poter essere realizzata secondo l’unica discriminante davvero importante: l’idea. Vedo videoclip molto complessi, ma assolutamente irrilevanti e videoclip semplici ed efficaci. Qualche giorno fa, in albergo, con indole masochista ho deciso di guardare l’intera Top 20 di MTV con i relativi videoclip. Alla fine ho provato grande imbarazzo per molte delle cose viste. Gli unici degni di nota (non certo dei capolavori) erano Industry Baby (Lil Nas X, Jack Harlow) e NDA (Billie Eilish). E stiamo parlando dei video che dovrebbero corredare le canzoni più ascoltate al mondo. In questo senso ammiro molto Billie Eilish che ha idee molto precise sui suoi video, ha un suo immaginario e lo porta avanti dirigendo con grande intuito tutto quello che produce anche in termini visivi. Credo che il videoclip sia troppo spesso qualcosa di unicamente promozionale, che pur essendo realizzato bene, non sia necessario. Se un videoclip non aggiunge niente al significato della canzone (fosse anche un’estensione estetica) è qualcosa che non ha senso di esistere. A volte siamo pagati per fare cose di cui il mondo non ha bisogno, ne sono certo. Sono abbastanza fortunato da poter dire che questo mi succede raramente. Sono molto felice di far parte di questa selezione perché ha preso in considerazione un lavoro molto personale che risponde a criteri intimi e questo mi dà la sensazione che ci sia grande sensibilità da parte del Festival. Mi inorgoglisce che un lavoro così spontaneo sia intercettato, mi rende speranzoso.
Giuseppe Lanno, Biografia artistica
Giuseppe Lanno nasce a Palermo nel 1989. Nel 2008 si trasferisce a Bologna, città in cui studia cinema presso il DAMS. Successivamente, nel 2012, si trasferisce a Los Angeles dove si specializza in sceneggiatura presso il Film Connection Institute. Dal 2013 inizia a lavorare attivamente su progetti video di vario genere, sia personali che su commissione, instaurando però un intenso rapporto con il mondo della musica come regista di videoclip e documentari. Con uno di questi (AUDIOGHOST68’) apre nel 2016 l’edizione di Artecinema al Teatro San Carlo di Napoli. Collabora con artisti di rilievo nazionale (Iosonouncane, Dimartno, La rappresentante di lista, Cesare Basile, etc.) e grandi teatri italiani (Teatro Massimo di Palermo, Teatro Arena del Sole, Teatro Manzoni, Angelica Teatro San Leonardo, etc), lavorando spesso a eventi culturali di natura isttuzionale e indipendente. In ambito fotografico realizza shooting per artisti per la loro promozione, reportage di eventi, spettacoli teatrali e musicali oltre ai propri progetti personali di ritrattistica. Vive e lavora attualmente a Bologna.
Regista, video artista, grafico e animatore pluripremiato, Tee Ken Ng è nato in malesia, ma vive e opera a Perth, in Australia. Come molti artisti del suo livello, si muove tra il mondo dell’arte contemporanea e quello di consumo, tanto da aver messo insieme moltissimi lavori tra videoclip e spot pubblicitari realizzati per brand come Google, Twitter, Apple, Starbucks, Toyota, Perrier, giusto per citarne alcuni.
Dovessimo trovare un fil rouge nella sua arte, costituita da un connubio tra fascinazione ottica e la costruzione di vere e proprie macchine celibi dove il meccanismo del movimento e i processi percettivi vengono decostruiti, questo potrebbe esser rintracciato nella storia stessa dell’illusionismo.
L’amore per i dispositivi del proto-cinema è un esempio preciso; Tee Ken Ng ha ideato e messo a punto, tra le altre cose, una serie di vinili da far girare su giradischi, sfruttando i principi del Fenachistoscopio messo a punto dal fisico belga Joseph Plateau. Quell’inganno dell’occhio che consentiva di animare una serie di immagini grazie alla sovrapposizione di un secondo disco segmentato da finestre radiali, rinasce a nuova vita grazie alla portabilità della tecnologia video odierna. L’unica vicinanza al digitale è quella delle piattaforme come Vine, dove ha cominciato a sperimentare i tuoi trucchi e quella dei dispositivi di ripresa, mentre gli effetti vengono realizzati tutti sul set, davanti alla camera, in un trionfo di illusionismo prospettico che si interroga sempre sulla nostra posizione come osservatori.
La collaborazione più recente in ambito videomusicale è con Merrill Garbus e il suo progetto, conosciuto come tUnE-yArDs. Per l’artista della scuderia 4AD, Tee Ken Ng ha ideato e costruito un set in miniatura approntato per il percorso in piano sequenza di un trenino elettrico. Nel viaggio esplorativo del veicolo, lo spazio si moltiplica grazie ai giochi di ombre, agli oggetti incontrati e alla performance della Garbus smembrata e decostruita. Forse una delle immagini più potenti sulla dislocazione del corpo performativo durante l’esperienza di isolamento, proprio perché combina l’aspetto concettuale con le meraviglie di un’arte aptica e pratica.
Hypnotized è tra i venti video che ho personalmente selezionato per il concorso di Asolo Art Film Festival 2021, nella sezione “Music Video”.
Per l’occasione, ho intervistato Tee Ken Ng, che ci ha raccontato il making of e i segreti del suo video. L’intervista si legge dopo il videoclip
Hypnotized, il video di Tee Ken Ng realizzato per tUnE-yArDs
Tee Ken Ng. Questa illusione puoi toccarla. L’intervista
Come hai incontrato la musica di tUnE-yArDs e come hai cominciato a collaborare con lei?
Ho conosciuto la musica di Merrill Garbus al tempo di Whokill, il secondo album come tUnE-yArDs. Ho amato quel disco, immediato e catchy, ma complesso e innovativo allo stesso tempo. Da quel momento ho seguito ogni loro uscita. Quando la 4AD mi ha chiesto se volevo lavorare con Merrill e Nate Brenner, ero felicissimo per l’opportunità. Merrill aveva visto il video musicale che avevo realizzato per Jacob Collier (n.d.a.All i need, un milione e mezzo di visualizzazioni su Youtube) dove veniva animato un disco collocato su un giradischi e lo aveva trovato ipnotico; per questo aveva pensato a me per il singolo di hypnotized.
Effetti artigianali e illusioni ottiche sono il motore della tua arte. Per Hypnotized hai creato un mondo meccanico che sta a metà tra la video installazione e un puzzle. Puoi raccontarci le origini e lo sviluppo di queste idee?
Mi è sempre piaciuto generare domande negli spettatori, su quello che stanno vedendo e creare interrogativi sul modo in cui tutto ciò è stato realizzato. Nella maggior parte dei miei video le modalità sono raramente nascoste, tutto viene messo a nudo, proprio per questo suscita ancora di più la curiosità dello spettatore. In Hypnotized non c’era modo di nascondere assolutamente niente, anche se avessimo voluto farlo, se consideri che la telecamera piazzata sul trenino in movimento era in grado di osservare ogni direzione mentre attraversava lo spazio. L’idea di mostra e abbracciare totalmente l’artificio risale alle mie prime installazioni video. Il mio lavoro all’epoca era spesso autoreferenziale, esploravo vari modi di usare il mezzo video per metterlo in discussione in forma illusoria, ma totalmente trasparente.
La tua arte mette l’occhio dello spettatore “all’interno dell’effetto”. In questo modo le idee ottiche hanno sempre qualcosa di concreto, come se si trattasse di un’esperienza reale. Penso allo zoetropio che ha usato per il video di Leaving LA (n.d.a. da questa parte un interessante making dello stesso video) e naturalmente anche dell’optical art video che ha decostruito per la clip di Hypnotized. Mi riferisco, in quest’ultimo caso alle parti del corpo, alla bocca e agli occhi di Merrill, dislocate attraverso il percorso e le ombre proiettate sul muro. Puoi raccontarci questa filosofia della visione e come l’hai messa insieme per Hypnotized?
Mi piace molto come hai definito e catturato il concetto, quando dici “mettere l’occhio dello spettatore all’interno dell’effetto”, perché è letteralmente quello che compie la camera piazzata sul trenino. Quando fa una panoramica per mostrare le ombre del treno sul muro, rivela allo spettatore come lo stesso video è stato girato. Quello che dici, sulla possibilità di mantenerlo reale o concreto, è un aspetto per il quale mi sforzo ogni volta che creo e giro. Preferisco fare il più possibile con la fotocamera, perché questo aumenta l’impatto dell’effetto che sto creando. Più o meno è come eseguire un trucco di magia con le mani aperte. In questo senso sposo totalmente la sfida e i limiti che comporta, poiché mi costringe ad essere più creativo e a sperimentare cose nuove e diverse, talvolta anche per disperazione! A volte sembra più un atto di fuga in effetti, invece che un trucco di magia.
Come mai hai scelto di costruire un percorso attraverso un treno giocattolo?
Perché volevo creare una corsa dalla quale non era possibile scendere oppure da cui era impossibile distogliere lo sguardo. Sostenere lo sguardo dello spettatore con una visuale che poteva continuare a fluire senza interruzioni, sentivo che poteva essere molto ipnotico. Merrill e io siamo entrambi stati ispirati dalla scena del giro in barca nel film Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, quello interpretato da Gene Wilder. Ci piaceva moltissimo lo spirito inquietante. Penso che Merrill abbia incorporato Gene Wilder in quella scena per alcune parti della sua performance.
I piccoli oggetti (Animali, teiere) che incrociano il percorso, sono esasperati in forme e dimensioni dalle luci che ne proiettano le orme sulle pareti. Sembra ti piacciano in qualche modo gli effetti che provengono dal proto-cinema…
Assolutamente. Perché se parliamo a proposito della possibilità di rivelare l’aspetto illusorio dell’immagine in movimento, allora il proto-cinema delle origini è l’origine di tutto. Dispositivi come lo zoetropio che ho usato appunto per il video di Leaving LA sono totalmente magici perché creano l’illusione proprio quando tutto quanto è totalmente esposto e chiaro per lo spettatore. Nella nuda meccanica ci sono bellezza e semplicità intrinseche che trovo accattivanti.
Lo spazio della performance tipico dei video musicali girati in studio dove il corpo dell’artista è centrale, in hypnotized è completamente reinventato. Che ne pensi?
A causa dell’isolamento forzato per l’emergenza epidemiologica Covid-19 gli artisti hanno dovuto trovare diversi modi creativi per continuare a collaborare, in questo senso Hypnotized è un buon esempio. Abbiamo avuto l’idea della telecamera sul treno sin dall’inizio, ma non avevamo ancora pensato come sarebbero apparsi Merrill e Nate nel video. Sentivo che il semplice montaggio di riprese della loro esibizione sarebbe stato stridente se montato insieme alle riprese in soggettiva del trenino. L’aspetto più strano e che non mi convinceva era legato alle differenze di scala. Quando abbiamo deciso di girare con un solo piano sequenza, allora ho compreso che dovevo creare una lunga serie di binari intorno al mio studio, in modo che il treno potesse viaggiare per tutta la durata della canzone. L’idea di utilizzare televisori e vecchi monitor per visualizzare Merrill e Nate è diventata ovvia, perché in quel modo non avremmo avuto bisogno di alcun taglio. Ho inviato a Merrill e Nate una lista di tutte le performance che volevo riprodurre sugli schermi. Loro hanno filmato tutto da soli a casa, durante il lockdown. Le loro esibizioni generano un effetto particolare, come se stesero guardando dentro il mio studio, intrappolati nella cornice dello schermo; adattissimo a questi tempi.
Optical art e video art nelle tue creazioni interagiscono per creare un mondo di pura esperienza. Il tuo scopo è questo?
Totalmente. Il mondo a cui miravo con Hypnotized era qualcosa di simile ad uno dei libri di enigmi illustrati della serie I Spy (n.d.a. la serie “I Spy” per bambini dai 2 ai 5 anni è una collana di libri puzzle creata da Jean Marzollo e Walter Wick, per la casa editrice Scholastic. Ogni pagina contiene una foto con una moltitudine di oggetti, e gli enigmi scritti in tetrametro, indicano quali sono quelli da cercare). Volevo che ogni fotogramma fosse colmo di forme e ombre misteriose che avrebbero indotto lo spettatore a tornare indietro per scoprire i dettagli e gli elementi seminascosti. Volevo un mondo in cui fosse possibile perdersi, cercando i modi per capirlo e interpretarlo.
Preferisci la video art e le installazioni come realtà contemplativa oppure come un mondo di possibili interazioni?
Come spettatore preferisco l’aspetto contemplativo, ma nei miei lavori cerco un equilibrio tra interazione e coinvolgimento passivo.
Cosa pensi dei video musicali che si producono oggi, in generale, e cosa ti interessa di questa forma specifica?
Amo l’apertura e la flessibilità creativa della forma. I video musicali sono ancora un mezzo entusiasmante per gli artisti, per connettersi con il loro pubblico. Scopro costantemente canzoni e artisti di cui non ho mai sentito parlare attraverso fantastici video musicali.È una forma così soddisfacente su cui poter lavorare, quando viene azzeccata la combinazione di musica e immagini, è una vera e propria l’alchimia.
Sono ben 20 i titoli in concorso nella sezione “Music Video” di Asolo Film Festival 2021. Con la direzione di Thomas Torelli, la selezione curata da Michele Faggi aumenta la proposta e include titoli internazionali e nazionali di altissimo livello, con una libertà e una trasversalità maggiori rispetto alle edizioni precedenti.
Il festival assume quest’anno una forma ibrida, online dal 23 Agosto fino al 29 per la visione libera attraverso il portale ufficiale del festival, con registrazione obbligatoria e necessaria, e in presenza nelle giornate del 28 e del 29 agosto, con alcuni eventi speciali inclusi.
Asolo Art Film Festival 2021, i 20 videoclip in concorso della sezione curata da Michele Faggi, video dopo video
Tre i registi internazionali presenti nella sezione videoclip: Casey Raymond porta in concorso il video per John Grant intitolato “Boy From Michigan“, magmatico video d’animazione realizzato da Raymond insieme a Ewan Jones Morris, Jenny Jokela e Marcos Sanchez. Raymond, lo ricordiamo, è un premiatissimo e rivoluzionario animatore che insieme a Ewan Morris ha cominciato a collaborare con John Grant sin dal suo celebrato “Queen of Denmark”.
Il Malesiano Tee Ken Ng, innovativo video artista attivo in Australia, collabora con Tune Yards per il video di Hypnotized, straordinario ibrido tra effettistica pratica ed ottica realizzato per una delle artiste musicali più innovative del momento.
Astrid Edwards, tuttofare dell’industria videomusicale, attiva sui set di artisti come Beyonce, realizza un video di arte punk e street per i seminali Cornershop, una delle band britanniche più importanti degli anni novanta. I’m a Wooden Soldier è il titolo del video in concorso ad Asolo Art Film Festival 2021, nella sezione Music Video curata da Michele Faggi.
Italiana la talentuosa animatrice Gaia Alari, ma internazionale il suo respiro creativo. It’s alive è il video realizzato per Toledo, realizzato con tecnica “frame-by-frame”, ovvero disegnato a mano per creare una storyline frammentata che cita il cinema horror degli anni venti: “Il concetto del film e della canzone è quello di rappresentare tramite suggestioni visive e simbolismi, la parte meno romantica dell’amore di coppia – ha detto Gaia Alari – quella che si propone di manipolare, distruggere e ricomporre la persona amata in qualcosa che non è, ma che è potenzialmente più desiderabile. Da questa base si dipanano tutti gli elementi di manipolazione, morte e rinascita che contraddistinguono l’intero video, tra cui sequenze di morphing e transizioni surreali“. Per approfondire, è possibile leggere l’intervista concessa a Michele Faggi, sul making di “it’s alive” e sull’arte di Gaia Alari in generale.
Martina Falcucci Chinca è la talentuosa videomaker che ha collaborato il grande artista reggiano Giovanni Lindo Ferretti. Tra i numerosi video realizzati per lui, l’ultimo si intitola Mal’aria e viene presentato in concorso nella sezione Music Video curata da Michele Faggi per Asolo Art Film Festival: Mal’aria è un pezzo della nostra storia e insieme la storia di tutto il mondo. Oscilla continuamente tra il pubblico dominio e la più struggente intimità. Sono parole di Martina, nell’intervista pubblicata su indie-eye videoclip, dove si racconta il Making of dettagliato del video e della collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti.
“Dormo Poco e Sogno Molto” è il video diretto da Paolo Santamaria per gli España Circo Este, parte della scuderia Garrincha Dischi. Prodotto dalla sua The Factory, si avvale dell’animazione di Gianpaolo Calabrese. Abbiamo approfondito in dettaglio il suo lavoro e in particolare questo “Dormo Poco e sogno molto” su indie-eye videoclip con un’intervista esclusiva a Paolo Santamaria.
Manuel Iuliano dirige la breve e densissima clip per The delay in the universal loop, il progetto elettronico di Dylan Iuliano. Luz Y Espacio è “Una scarica di energia elettrostatica, vero e proprio lampo nella notte, capace di produrre una natività aliena“. Abbiamo approfondito il lavoro di Manuel con un’intervista esclusiva che si può leggere da questa parte su Indie-eye Videoclip.
Chiara Chemi, aka TheDollMaker è regista, animatrice, illustratrice tra le più stimolanti del nostro paese. Fieramente legata alla cultura underground, ha realizzato alcuni dei video più belli degli ultimi anni per quanto riguarda il “normativo” panorama italiano della videomusica. In concorso ad Asolo porta il bellissimo Podio, realizzato per una delle band post-hardcore più interessanti del momento, i ferocissimi Solaris. L’intervista e le fasi del making legate alla lavorazione di “Podio” si possono leggere in questa ricca intervista concessa in esclusiva a Indie-eye Videoclip.
Mara Cerri, animatrice dal grande talento, attiva nell’ambito del film breve e già presente nella sezione Orizzonti della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, porta ad Asolo il recentissimo Se proprio devo realizzato per il cantautore Giacomo Toni. In un campetto da calcio dei ragazzini costruiscono relazioni, mentre un cantiere realizza un mondo che le renderà più stridenti. Un uomo e una donna si fronteggiano e si negano le illusioni dell’infanzia, oppure contrattano un nuovo equilibrio. Il pallone da calcio si deforma e diventa una betoniera che impasta ricordi, suggestioni sonore, storie. Non può fermarsi. Per approfondire il lavoro di Mara Cerri e il video di Se proprio Devo, su indie-eye Videoclip abbiamo pubblicato questa intervista esclusiva.
Haters Hate è un brano del duo Electro/Soul Technoir e affronta il tema della negatività e dell’odio nel web che permea i social network odierni. Una macchia di colore multiforme, insegue i due protagonisti. A realizzarlo sono proprio il duo Technoir, ovvero Alessandro Finizio e Jennifer Villa; uno dei rari esempi in cui la sovrapposizione tra musicisti e videomaking genera ottimi frutti. Ispirati dalle animazioni di Ruffmercy e Gianluigi Toccafondo, i due autori hanno utilizzato tecniche miste e differenti, come pittura digitale, grafica in movimento, rotoscoping e fotografia. Per conoscere meglio il lavoro su Haters Hate, l’intervista e l’approfondimento su indie-eye videoclip.
Chiara Rigione, artista proteiforme e tra quelle che è riuscita, più di altri, a investire di una luce nuova l’estetica del found footage e del cinema della memoria, porta in concorso ad Asolo il video di Where i am per il cantautore Atto Seguente. Un approfondimento del video è possibile leggerlo qui su indie-eye da questa parte. Mentre per conoscere meglio il lavoro di Chiara Rigione, negli archivi di indie-eye videoclip è presente anche un’intervista alla regista, in occasione della realizzazione di “Amore un cazzo”, il video prodotto per un pezzo della nostra storia cantata, Paolo Pietrangeli. Su Where i am, il video in concorso ad Asolo Art Film Festival 2021: “ci si chiede se si possa non essere rinchiuso in una cassetta: “Nel filmato che scorre mi espando, mi moltiplico, mi eclisso. Sul nastro mi perdo seguendo un binario senza rotaie. La stazione – dove sono – è il capolinea oppure è dove io ho inizio? Si arriva al luogo da cui tutto parte con stratificazioni di passati in VHS, attraverso l’occhio del presente, per proseguire il cammino“
Antonio Michele Stea è un formidabile videomaker, che sta emergendo tra i talenti più convincenti degli ultimi anni. Il suo stile è informale, legato alla conoscenza dei cosiddetti formati “ridotti” e a bassa definizione, che piega in un discorso personale e istintivo. Il video che porta in concorso ad Asolo è I still got time realizzato per gli oscuri Loperfido. Racconta, in modo del tutto indiretto, il senso di isolamento umano e concreto che abbiamo vissuto. Per un approfondimento, consigliamo l’articolo pubblicato su indie-eye videoclip
Marcello Rotondella è un videomaker e artista visuale Novarese di stanza a Roma. Nella sua vasta e proteiforme produzione, trovano spazio anche i video musicali. Ne ha realizzati per artisti come Venerus, Jason Lamecca, Misto Mame, Zuin, Birø e altri. Per il progetto ligure Orqan, impro-music tra noise, techno, drone e dark ambient, ha realizzato il videoclip di NODICKPIC, traccia letteralmente estratta dalla sessione di improvvisazione “yellowgreen tape”, pubblicata dalla label Musica Orizzontale. Il video è in concorso ad Asolo Art Film Festival e per approfondimento e intervista, da questa parte su indie-eye videoclip.
Plastica è un video musicale riguardo le incertezze di vivere in un mondo sommerso da immondizia. Le animazioni di Plastica sono disegnate a mano, mentre le fotografie sono state scattate in analogico. Entrambe sono state digitalizzate in un secondo momento, come per sottolineare il rito di passaggio anche attraverso le tecniche dell’immagine. A realizzarlo è Lucia Fiorani, talentuosa animatrice e illustratrice che in questo caso ha lavorato per LaPara, al secolo Rebecca Paraciani. Approfondimento e intervista da questa parte su indie-eye videoclip.
Elisa Fabris, illustratrice e animatrice il cui moniker è Elisetta, realizza il suo No Destroyer in collaborazione con la nuova Queen of Doom nota come Julinko. L’artwork del lavoro di Julinko, originariamente disegnato da Linda de Zen vive un processo vibrante e oscillatorio dove i tratti cercano opposizione alla propria lenta decostruzione, seguendo un flusso onirico, a tratti cosmico. I testi del brano si susseguono, come un continuo cambiare pagina di un libro di poesie. Il lavoro supera i confini tra lyric video, visualizer e videoclip, incorporando le ultime tendenze del video musicale in rete e traghettandolo verso nuovi stimoli. Per approfondire, l’intervista alle artiste pubblicata su indie-eye Videoclip.
Luigi Rizzo, autore raffinato che si muove tra Milano e Londra nel campo delle video installazioni e della musica indipendente meneghina, cerca di esplorare l’intersezione tra diverse forme narrative nel video di The Invisible Mirror realizzato per il suo side project LUDWIK. Musica e immagine si compenetrano per raccontare, attraverso gli elementi performativi della danza, la fusione e l’interazione tra le diverse età della vita.
I Could Not love enough you è uno dei video più recenti tra quelli realizzati da Giuseppe Lanno, giovane videomaker che ha già lavorato con artisti italiani importanti come Cesare Basile, Cristallo, Simona Norato e Diana e che in questo caso ha prestato il suo talento per un veterano del pop internazionale come il norvegese Sondre Lerche. Lo spazio quotidiano viene trasfigurato attraverso un ritratto femminile tanto intimo, quanto doloroso.
Irene e Chiara Trancossi, sorelle e partner in crime in campo artistico, tornano a collaborare con la fedele Glomarì, con la quale, come abbiamo documentato su indie-eye, hanno già partecipato alla Biennale D’Arte. Oltre alla musica mettono quindi insieme le esperienze come fotografa e scenografa, per un lavoro concettuale che parte dall’infinitesimamente piccolo dei modellini in scala, per aprirsi verso un mondo possibile. Il video in concorso ad Asolo Art si intitola Fernweh, parola tedesca per la quale non esiste una corrispondenza precisa nella lingua italiana ma traducibile come “nostalgia dell’altrove”. La clip esprime la tensione emotiva che alimenta il desiderio di liberarsi dai vincoli della ripetitività e monotonia del quotidiano. L’opera allude e celebra le vie di fuga e di salvezza più sane ed antiche nei momenti di difficoltà e frustrazione : la fantasia e il sogno.
Cristoph Brehme è di Potsdam, ma è attivo a Forlì. Specialista della clay animation e dell’animazione a passo uno, ha collaborato ultimamente con Roberto Villa, bassista dei Ronin e collaboratore di Giacomo Toni, Emma Morton, Vince Vallicelli, Don Antonio e The Gang. Sono molti i video realizzati per l’ultimo progetto di Villa e rappresentano una vera e propria serie. Su indie-eye è stato approfondito il lavoro svolto per Torbido, mentre per il concorso di Asolo Art Film Festival, Michele Faggi ha scelto la clip intitolata “La rinascita”, incredibile animazione organica, dove “solo se due universi si incontrano, un nuovo mondo può nascere. Due elementi, due mondi, due idee, due note. Due Cuori”
Welcome to your world di Michele Cesarato è l’unico video dei venti ad uscire da una dimensione laboratoriale. Il regista è un giovane di talento e il suo video è un saggio che esce da studi accademici specifici che supera la qualità normalmente legata alle scuole e alle accademie di cinema, con un interessante studio sullo spazio performativo che rilegge la tradizione del videoclip realizzato in studio.
Asolo Art Film Festival 2021, un’edizione ibrida
Asolo Art Film Festival 2021 è diretto da Thomas Torelli. Il festival quest’anno sarà online in presenza. Quella che è una tra le più importanti rassegne internazionali dedicate al cinema e alle arti visive, si svolge quest’anno sia online che dal vivo. Una modalità scelta per le ragioni emergenziali che tutti conosciamo e che consentirà comunque di vedere tutti i film online, le premiazioni e gli eventi culturali in presenza, circoscritti ad una due giorni dal 28 al 29 di Agosto. L’obiettivo, influenzato dalle difficoltà logistiche dovute al momento, è quello di offrire a tutti coloro che sono interessati all’arte, la possibilità di accedere ad opere particolari, suggestive, evocative che narrano dei linguaggi che l’arte applica all’immagine in movimento restituendo un caleidoscopio internazionale di visioni artistiche e stili interpretativi difficilmente visibili altrove.
Il festival online, comincia oggi 23 agosto e prosegue fino al 29. La fruizione è subordinata alla registrazione sul sito ufficiale
Sabato 28 e Domenica 29 agosto avranno invece luogo gli eventi in presenza al Teatro Duse di Asolo. Una due giorni dove saranno proiettate le opere vincitrici, incluse quelle della sezione videoclip, scelte tra le 55 in concorso di tutte le altre sezioni e tra le 20 della sezione videoclip.
Il programma di Asolo Film Festival 2021, la due giorni in presenza
Si inizia sabato 28 agosto, alle 15:30 con la presentazione della sezione “ITALIAE”, dedicata alle opere che mettono in luce il patrimonio artistico italiano e la rispettiva premiazione. A seguire, i riconoscimenti fuori concorso: le menzioni speciali assegnate da Mediterraneo Film Corto, Ibrida Festival, Festival Internazionale del Cinema di Frontiera e dall’Associazione Asolo Art Film Festival.
Alle 17:15 la prima tavola rotonda del festival, “Vero e falso? Verità e manipolazione nei media”, con Piero Deggiovanni, Carlo Sala e Virginio De Maio, incentrata sul superamento dell’influenza mediatica attraverso l’attività artistica, coinvolgente momento di dialogo e confronto.
Alle ore 19:00Thomas Torelli, Direttore Artistico di AAFF 2021 aprirà ufficialmente la rassegna con il saluto delle autorità e una conversazione con il regista Silvano Agosti. A seguire, le premiazioni della sezione speciale tema del Festival “Fai della tua vita un’opera d’arte” e l’assegnazione del Gran Premio di Asolo.
A chiusura della prima giornata del festival, la musica live dei “Some are Echoes”, che suoneranno nel cortile del castello regalando melodie legate ai midsummer soudscapes.
Domenica 29 agosto, seconda giornata di Asolo Art Film Festival, si aprirà intorno alle 11.00 con la tavola rotonda “L’arte come ricerca di una dimensione ideale” con gli artisti Antonella Mason e Giancarlo Onorato.
Dalle ore 15:00 le premiazioni delle sezioni “Nuovi linguaggi” ed “Espressioni Prime” ambedue fuori concorso, e delle sezioni in concorso: “Film sull’Arte Lungo e Cortometraggio”, “Film d’Arte/Videoclip Musicale”, inoltre, il riconoscimento fuori concorso “Premio Città di Asolo”.
Alle 19.00 Premio Eleonora Duse a Monica Guerritore. La grande attrice teatrale, cinematografica e televisiva viene insignita del Premio Duse alla carriera. Segue un dialogo con l’attrice moderato dal giornalista Alessandro Comin
Chiude il Festival la premiazione della sezione “Film sull’Arte Lungometraggio”.
Gaia Alari è una talentuosa animatrice bergamasca che sin da subito ha allargato i confini del suo lavoro in ambito internazionale, realizzando sorprendenti videoclip per artisti di ottimo livello. Suo, per esempio, “I talk to the wind“, il video realizzato per la folksinger serbo-canadese Dana Gavanski, alle prese con la cover di uno dei brani più belli e celebri dei King Crimson.
Oltre a collaborare per la Full Time Hobby, Gaia ha realizzato una serie di lavori in Clay Animation, citiamo a questo proposito l’horror metropolitano Terminus, e il bel videoclip per Ada Lea, intitolato Wild Heart.
Per il concorso di Asolo Film Festival 2021 diretto da Thomas Torelli, nella sezione “Music Video” curata da Michele Faggi, Gaia Alari porta “It’s Alive”, animazione ibrida realizzata per il duo newyorchese Toledo, che conferma il talento straordinario e il linguaggio universale di questa giovane artista.
In controtendenza rispetto ad un’animazione “perfetta”, la Alari recupera l’incertezza del movimento e della percezione soggettiva, partendo dal ricalco del rotoscope, come ci racconta in questa bella intervista, per disinnescarne i presupposti con una “replica” frame-by-frame interamente fatta a mano. Sempre nell’intervista Gaia si riferisce ad un procedimento legato agli automatismi e alle libere associazioni di alcune tecniche surrealiste, confermando lo spirito libero e combinatorio della sua animazione, vicinissima alla mutazione costante del movimento.
L’intervista a Gaia Alari si può leggere dopo il video
Gaia Alari – it’s alive – Video realizzato per Toledo
Ciao Gaia, benvenuta su indie-eye. Puoi raccontare ai nostri lettori, quelli che ancora non ti conoscono, come si è delineato il tuo percorso formativo?
Dal punto di vista artistico sono autodidatta. Ho studiato medicina all’università e quasi con serendipità, ho sviluppato una passione parallela per l’Arte Contemporanea e il Cinema. Sono sempre stata abbastanza dotata nel disegno, da piccola trascorrevo ore ed ore a scarabocchiare con i pastelli a cera su fogli o a costruire piccoli personaggi di pongo inventando storie. Credo di essere semplicemente tornata con un’ottica adulta a quello che mi definiva durante l’infanzia: una curiosità ludica per tutto quello che è creativo, un modo di comunicare attraverso simboli e immagini più che attraverso le parole e la necessità di uno spazio tutto per me. A room of one’s own, alla Virginia Woolf insomma. Soprattutto questo: il fatto che da medico è molto difficile avere quotidianamente dello spazio, letteralmente, per se stessi e per quella solitudine che ho sempre cercato, mi ha spinto a prendere una decisione, se vogliamo, incosciente: cambiare completamente carriera. Sicuramente lo studio della medicina mi ha aiutata ad essere estremamente metodica anche nel lavoro prima come artista visiva tradizionale, poi come videoartista ed ora come regista di videoclip animati e corti d’animazione, come one woman crew o più di recente in team.
In questo mondo creativo e proteiforme che hai descritto, come si intrecciano e si sono intrecciate illustrazione e animazione?
L’illustrazione e l’animazione sono legate a doppio filo: nel mio caso, anche quando facevo l’artista di galleria e preparavo opere “statiche”, ho sempre avuto bisogno di raccontare una storia che andasse oltre il singolo foglio di carta. Era già allora naturale per me lavorare in serie. Il logico passo successivo era rendere quelle serie ancora più connesse tra loro. Nathalie Djurberg e William Kentridge mi hanno mostrato, con le loro opere di video arte, che si poteva fare.
Nei tuoi lavori di animazione non privilegi una sola tecnica. Nei tuoi video c’è spazio per la clay animation, per lo stop motion e per il disegno a mano. Come e perché scegli e adatti una tecnica particolare a mondi diversi?
Nel caso dei video musicali, scelgo in base all’estetica che una canzone evoca e al background del musicista con cui lavoro. Mi piace utilizzare entrambe le tecniche: con la claymation mi diverto molto nella fase di preparazione, uso esclusivamente materiali riciclati per le miniature e i set. Il risultato è sicuramente più vicino alla video arte: lavoro da sola non ho uno studio equipaggiato con bracci meccanici e programmi sofisticati per eseguire una perfetta claymation cinematografica. Da questo punto di vista il risultato è sicuramente più artigianale e grezzo, più particolare e forse meno “piacevole” rispetto all’animazione 2d. Nel caso in cui mi trovi a lavorare con una musica e testo particolarmente stratificati, metaforici e intimi, sicuramente identifico la claymation di questo tipo come la più adatta in generale. Nel caso in cui stia lavorando con melodie dream pop o testi che invece hanno in sé una matrice più cinematografica e una vibrazione più nostalgica, preferisco optare per l’animazione disegnata.
Per il video di it’s alive hai scelto il disegno a mano e il rotoscoping se non erro, ci racconti come le due tecniche si incontrano e quale é il modo migliore per raggiungere il massimo della libertà con una tecnica che di fatto parte dal “ricalco” dei movimenti?
Si, esattamente, nel caso di it’s Alive ho mescolato rotoscopio e disegno libero. Mi aiuta il fatto che non utilizzo il ricalco nel momento in cui mi avvicino al rotoscopio, ma utilizzo un video di riferimento solitamente girato con uno smartphone in ambiente casalingo, senza attenzione a fondo o luci, per i movimenti e le somiglianze, ma ogni frame preso singolarmente è diverso dal precedente. Già così sono meno legata al video di riferimento: posso cambiare lo sfondo, l’illuminazione, inserire elementi con un assetto mentale forse più simile al collage. in questo modo è molto facile per me ragionare invece che in termini di ricalco di un video già di per sé fatto e finito, in termini di forme, linee ed elementi, da cui procedere a cadavere squisito inserendo parti del tutto surreali, che invece disegno a mano libera senza utilizzare un riferimento preciso.
Come hai deciso il lavoro insieme a Toledo, e in generale che tipo di interazione mantieni con gli artisti per cui realizzi video musicali?
In generale mi piace molto conoscere i musicisti con cui lavoro, tra cui Toledo che sono due giovani musicisti newyorkesi pieni di vivacità e curiosità, capire da quale background provengono, quali sono le loro influenze musicali e cinematografiche. Mi aiuta decisamente ad entrare meglio nel loro mondo e a proporre delle visuals che vadano ad accompagnare le loro canzoni nel modo migliore. Sono molto fortunata perché i musicisti che si approcciano a me sanno che ho uno stile e un’estetica di un certo tipo, quindi ho molta libertà da questo punto di vista. Mi piace che si crei un rapporto di fiducia reciproca, con due cantautrici con cui ho lavorato, ovvero Ada Lea e Dana Gavanski, ho stretto un rapporto di amicizia a cui tengo molto. Tendiamo naturalmente a mantenere i contatti e raramente mi trovo a lavorare solo una volta occasionalmente con i musicisti con cui collaboro: solitamente l’appuntamento è per un video al prossimo album
Per quanto i video che hai realizzato per diverse committenze siano tutti molto autonomi nel loro universo visuale, c’è ovviamente un fil rouge e uno stile molto preciso che emerge, legato ad una particolare attenzione al mondo organico e dei piccoli fenomeni naturali invisibili all’occhio. Come mai questo interesse entomologico ? Nasce in parte dai tuoi studi di Medicina, e oltre a questo, pensi in qualche modo di aver portato dentro la tua arte anche il mondo della scienza e il modo percettivo della stessa?
Sicuramente i miei studi accademici si manifestano nell’attenzione ai dettagli e al mondo organico e naturale, è estremamente evidente nel video per Toledo, ma in generale mi piace sempre esplorare in maniera più o meno palese l’idea di caducità e ciclicità di vita e morte. E’ divertente per me associare in una cornice surreale dei fenomeni naturali ad elementi molto concreti, realistici e cinematografici e allo stesso tempo mantenere una tensione e un’atmosfera coerenti nell’intero video, indipendentemente dai soggetti o dagli elementi estetici con cui scelgo di lavorare in ciascuna sequenza.
I video musicali , oltre alle esposizioni della tua arte, sono diventati un elemento importante per te. Cosa ti piace di questa forma e cosa trovi, per esempio, in più rispetto alla realizzazione di un cortometraggio tradizionale?
Ad essere sincera mi è capitato di entrare in contatto prima con il mondo del videoclip musicale e solo successivamente con quello cinematografico. Credo sia più facile applicare un approccio di tipo video artistico, non lineare, frammentato, concettuale a un video musicale; penso per esempio ai video musicali di Chris Cunningham o anche di Michel Gondry o Roman Coppola, oppure a Beyoncè che sceglie di fare un tributo glam a uno dei più noti video di Pipilotti Rist. Quindi è stato uno step abbastanza naturale considerando il background prettamente artistico da cui provengo. Il fatto che in questi anni io abbia dedicato quasi ogni secondo del mio tempo libero a guardare film e ad amare il cinema, mi sta però accompagnando lentamente verso quel mondo. Sto lavorando giusto adesso al mio cortometraggio animato di debutto, narrativo, in cui figurerò come co-regista e art director. Non vedo l’ora di misurarmi anche con questo nuovo tipo di progetti a lungo termine.
Per quanto riguarda l’inclusione all’interno del concorso di Asolo Art Film Festival, nella sezione videoclip, a caldo puoi darci qualche impressione ?
Sono molto contenta e grata di essere stata considerata da Michele Faggi per la selezione di video clip per Asolo Art film festival, gli altri video musicali in concorso sono splendidi e in generale i film che parteciperanno mi offriranno una gran dose di ispirazione. Sono estremamente curiosa e amo vedere cose belle con l’occhio da spettatrice, non vedo l’ora di approfondire la selezione generale del festival!
Mal’aria è il video che Martina Falcucci Chinca ha realizzato per Giovanni Lindo Ferretti. Pubblicato in rete nel maggio del 2020, è stato selezionato per il concorso di Asolo Art Film Festival 2021 diretto da Thomas Torelli, la più antica manifestazione legata alla relazione tra cinema e arte. Il video fa parte dei 20 video musicali che caratterizzano la sezione “Music Video” del festival, curata da Michele Faggi.
L’intervista a Martina Falcucci Chinca sul suo percorso come videomaker e sulla collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti è possibile leggerla qui sotto, dopo il video di “Mal’aria”.
Giovanni Lindo Ferretti – Mal’aria – il video di Martina Falcucci Chinca
Quando il video di “Mal’aria” è stato diffuso in rete per la prima volta, la sensazione sollecitata dal precedente Ora, si è consolidata. Due “manufatti” digitali ideati per la diffusione in rete, con un procedimento non dissimile da quello del Bowie più artigianale, che investe 12,99 dollari per realizzare personalmente la clip di Love is Lost, nella versione remixata da James Murphy. Intimità e, pasolinianamente, immagini di poesia che piegano i tempi della rete, invece di farsi fagocitare dal flusso.
Martina Falcucci Chinca, nella sua collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti, ci ha raccontato, in modo puntuale e appassionato, l’unicità del progetto, suggerendoci indirettamente quanto il videoclip, così concepito, assuma una diversa forma dal veicolo semplicemente promozionale, per diventare parte di un discorso estetico ed espressivo più complesso, attraverso un “oggetto” autosufficiente, frutto di un “rimpallo di email tracce audio telefonini ipad e frustrazioni” tra Ferretti, Chinca e Luca Rossi.
L’aspetto più emozionante del lavoro di Falcucci Chinca è nel dialogo polifonico stabilito e condotto insieme a Giovanni Lindo Ferretti. Nel rispetto del discorso poetico elaborato dall’artista reggiano, Martina elabora una visione combinatoria che trasforma la lettura in sguardo, l’interpretazione in visione, il canto nell’esperienza quotidiana tra vita ed emozione.
Mal’aria è un lavoro potentissimo e urgente, non solo per il modo in cui ci parla dai crinali di Cerreto Alpi di un’irreversibile perdita cominciata molto prima dell’emergenza epidemiologica, ma per la forma personale e allo stesso tempo universale che cuce un rimario fatto di parola e immagine, dove la prima si trasforma nell’altra e viceversa.
Si tratta di un lavoro difficilmente classificabile allora, sospeso tra il diario, la testimonianza, l’esperimento visuale, ma soprattutto la modalità in cui il reale mediato risuona e trasforma l’immediatezza e l’irriducibilità dell’istante.
Da una parte la sensazione che ci si affidi al montaggio come sistema di processi destinati alla trasfigurazione del reale percepito, dall’altra l’infrazione vitale di un metodo apparentemente costruttivista, che lascia spazio all’istinto e al magma visionario originato dalla reazione tra interno ed esterno.
“Ora” e “Mal’aria”, quando sono usciti, li ho subito fatti vedere a mio padre, morto lo scorso marzo 2021. Piero, 91 anni nel maggio 2020, aveva conosciuto la scrittura di Giovanni Lindo Ferretti grazie alla sua circoscritta collaborazione con il quotidiano L’Avvenire. Da Cattolico interessato principalmente all’approfondimento incessante dell’esperienza mistica, aveva trovato una particolare sintonia con le riflessioni di GLF e in “Ora” e “Mal’aria”, che gli erano piaciuti molto, il giovane che ancora in lui andava solitario al cinema per vedere “L’arpa Birmana”, deve aver rintracciato una forza immaginale e simbolica non dissimile, soprattutto nella capacità di non sottomettere la natura al simbolo, ricavando il secondo dagli epifenomeni della prima.
Sul cinema contratto e densissimo di Martina Falcucci Chinca abbiamo cercato di comprendere qualcosa in più grazie a questa illuminante conversazione
Martina Falcucci Chinca, il video di Mal’aria e la collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti. L’intervista:
Puoi raccontarci la tua formazione e come sei arrivata al videomaking?
La mia formazione è stata prettamente fotografica, sono stata attratta dalla fotografia fin da bambina, la vecchia Nikomat di mia madre era un oggetto che mi affascinava moltissimo e che ho imparato presto ad usare. Al terzo anno di liceo artistico ho scelto l’indirizzo grafico esclusivamente perché era quello che più si avvicinava al mondo della fotografia, ho imparato ad usare i programmi, a lavorare le immagini, a impaginarle. Mia madre mi regalò una piccola Canon digitale, facevo foto di continuo.
Finito il liceo avevo le idee ben chiare; studiare fotografia, ma in un’altra città, Roma non faceva per me a quel tempo. Decisi di trasferirmi a Bologna, ascoltavo molto i CCCP e i CSI, l’Emilia fu indubbiamente una scelta condizionata da riferimenti culturali e musicali.
Cosa ti ha dato Bologna e cosa è successo dopo il tuo trasferimento?
Mi sono innamorata della città, ho frequentato una scuola di fotografia, lo Spazio Labò, dove gli insegnanti sono stati fondamentali e motivanti, abbiamo sperimentato e parlato di tutto, ho conosciuto splendide persone. Mi sono definita fotografa fino a quando, alcuni anni dopo, ho voluto fare un esperimento e non sono più tornata indietro.
Vivevo già in montagna da un po’ e lavoravo con Giovanni Lindo Ferretti e la sua fondazione, una sera di novembre siamo andati a Modena a vedere una mostra del suo amico pittore Andrea Chiesi. Ero molto emozionata di conoscerlo, la mostra era stupenda, allestita in un’ex macelleria, molto interessante. Ero stata incaricata di fare delle foto per conservare memoria di quell’incontro, ma senza nemmeno pensarci ho iniziato a riprendere invece che a scattare, sul momento mi è sembrato l’unico modo per catturare l’anima della serata, l’atmosfera così particolare. Arrivata a casa ho aperto il programma di montaggio video che avevo di default sul computer e ho cominciato a montare immagini e musica, senza saperlo fare. Ne uscì fuori un video molto grezzo, mi emozionai, ero io ed era quello che volevo finalmente.
La collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti come è nata e come si è sviluppata?
Ho visto per la prima volta Giovanni a 18 anni, durante un concerto a Villa Ada. Tra i mille CD che avevamo in casa, ce n’era uno dei CSI, ma non gli avevo mai prestato davvero attenzione. Quel concerto ha indubbiamente fatto prendere alla mia vita un altro percorso, a volte mi chiedo dove e come sarei se non ci fossi andata. Furono due ore indimenticabili, credo di non aver mosso un muscolo per tutto il tempo. Ero molto giovane e ho sentito una grande affinità. Poco tempo dopo, uscì la notizia dello spettacolo equestre che Giovanni avrebbe messo in scena a Reggio Emilia. Andai a vederlo; i cavalli più belli che abbia mai visto. Sono cresciuta in mezzo agli animali, vado a cavallo da quando sono bambina, e ho sempre frequentato i borghi di montagna, parte della mia famiglia viene proprio da queste valli. Ho iniziato a frequentare Giovanni, Cinzia e Marcello, i suoi soci di allora, inizialmente nelle vacanze estive, facendo lezioni di equitazione e aiutando nella stalla.
Giovanni mi intimoriva, andava e veniva.
Durante il periodo bolognese andavo spesso a trovarli nel weekend e a un certo punto uscì la proposta di andare per un’estate a lavorare nelle stalle, accettai. Era il 2015 e da allora vivo su queste montagne. Ho lavorato per più di un anno come stalliera, mi occupavo dei cavalli, si mangiava tutti insieme, si lavorava tutti insieme.
Poi ho cambiato “ruolo”, ed è iniziata la collaborazione con Giovanni: lavori grafici, fotografie, il sito della fondazione da gestire, i social, alla fine la scoperta dei video.
Quello del teatro barbarico fu un periodo di grande crescita per me; viaggiavamo in carovana con più di 20 cavalli, cani, persone da tutta Italia venute a dare una mano, una grande lezione di vita. Quando l’esperienza si concluse fu drammatico per tutti, cambiarono molte cose nel quotidiano, tranne il rapporto con Giovanni, che ormai consideravo una persona di famiglia. Credo di poter dire che lavoriamo bene insieme e che c’è una buona comprensione reciproca, non ho mai fatto fatica a comunicare con lui, di solito ci troviamo sulla stessa linea. Prima della collaborazione c’è un rapporto di amicizia e una frequentazione quotidiana che rende tutto molto semplice e naturale.
Ricordo quanto mi imbarazzava, i primi tempi, mostrargli una mia foto o un mio video. Confrontarmi con lui e avere il suo giudizio sui miei lavori è stato essenziale e lo è ancora oggi, le opinioni che ascolto davvero sono le sue e quelle di mia madre.
Per Giovanni hai diretto numerosi contributi video. A partire da alcuni brevi frammenti che chiamerei quasi come video-haiku, dove sviluppi un’idea sensoriale intorno a pochi elementi della natura e del mondo aurorale che si muove intorno a luoghi, ambienti e natura in cui la poetica stessa di Giovanni prende forma. Puoi raccontarci qualcosa sul metodo e sulle scelte che hai operato per realizzare questi frammenti, tra l’altro tutti molto belli e alla ricerca di un’intensità primigenia…
Mi piace molto la definizione di video-haiku, in effetti era quella l’intenzione, comunicare un brivido, una sensazione momentanea. Non c’è nulla di programmato in quei video, non c’è alcuna narrazione, e volendo, ognuno può intendere ciò che vuole. In generale sono molto impulsiva, sia nelle riprese che nel montaggio. Nei frammenti in particolare posso dire di esser stata veramente me stessa, cercando di dare forma a un sentimento, a un’inquietudine, a una gioia….
Nessuna Garanzia per Nessuno – Fondazione Ferretti – Video di Martina Falcucci Chinca
Ad essere sincera questi brevi video sono quasi uno sfogo per me, provo a concentrare in un minuto tutta una serie di emozioni che non riuscirei mai a tirare fuori a parole. C’è chi in questi momenti di forte emotività sente il bisogno di scrivere o magari di parlare, questo è il mio modo di liberarmi e poi sentirmi vuota, pronta a riempirmi di nuovo.
Il video di Mal’aria è il secondo in ordine di tempo realizzato per Giovanni Lindo Ferretti, durante il periodo della pandemia. A mio avviso è un lavoro molto stratificato, che si muove in più direzioni: il diario di vita, la testimonianza di GLF come soggetto poetico, e successivamente un lavoro di montaggio e frammentazione molto potente, che si muove tra elementi visual e un lessico legato al cinema delle avanguardie. Ci sono venuti in mente Dziga Vertov e la trilogia di Pudovkin. Puoi raccontarci qualcosa sulle scelte, sia tecniche che espressive, che hai affrontato per la realizzazione del video?
Mal’aria è sicuramente il progetto più complesso che ho costruito fino a questo momento, la complessità e data dal testo che Giovanni ha scritto, dentro c’è un mondo. A differenza delle volte precedenti, i due video di cui parli, Ora e Mal’aria, sono stati pensati fin dall’inizio come un qualcosa che poi avrebbe avuto la forma di un progetto video. Non è una differenza da poco, intendo dire che se prima mi ispiravo a materiali preesistenti, conosciuti, in questo caso il tutto è stato creato appositamente per costruire qualcosa di nuovo a livello comunicativo.
Ho avuto timore quando Giovanni, dopo averne parlato a lungo, mi ha consegnato il testo definitivo di Mal’aria. Leggendo cercavo di visualizzare immagini che però mi sembrava impossibile trovare. Il mondo era diventato qualcos’altro da un mese all’altro, un decreto legge vietava di uscire di casa. Bisognava dare un volto ad un pensiero profondamente poetico e attualissimo allo stesso tempo, facendosi bastare il paese, i campi, i boschi, la stalla, i luoghi strettamente attorno a casa, dal minuscolo al maiuscolo.
Ho sentito su di me una grande responsabilità, credo che il messaggio di Giovanni in quel pezzo sia potentissimo.
Dopo pochi giorni, Luca Rossi, dal crinale vicino, ci ha spedito il montato con la musica e le parti cantate. Da lì in poi tutto è stato travolgente, ho iniziato ad ascoltare il pezzo di continuo, uscivo di casa e andavo in giro in cerca di ispirazione, fuori e dentro il paese deserto. Alcune parti le abbiamo costruite con Giovanni, altre sono mie divagazioni, altre ancora sono pezzi di vita di quei giorni, come le riprese a cavallo. Ci sono stati anche dei cambiamenti in corso d’opera, mentre montavo il video è morto in una RSA un anziano parente di Giovanni, in solitudine, come tantissimi altri in quel periodo. Uno degli ultimi pastori qui intorno, il funerale guardato da lontano, in pochi, non si poteva entrare.
Ci è venuto naturale dedicargli l’ultima parte del video in cui Giovanni canta “Vecchio scarpone”, era ovvio fosse lì per un motivo e con lo svolgersi degli eventi ci è stato chiaro il perché.
In fin dei conti Mal’aria è un pezzo della nostra storia e insieme la storia di tutto il mondo. Oscilla continuamente tra il pubblico dominio e la più struggente intimità
Che tipo di interazione creativa stabilisci con Giovanni? Intendo dire, come discutete nelle fasi di pre e post produzione, la resa di un video?
Amichevolmente e in grande libertà, di solito tutto sempre nasce fumando una sigaretta e parlando del più e del meno, in casa o alla stalla. Ne discutiamo un po’ e Giovanni inizia a scrivere, man mano che il testo si definisce, me lo fa leggere, a volte lo scandisce lui ad alta voce. Quando lavoriamo ad un video il processo creativo è esattamente diviso a metà, ed inizialmente è un processo solitario per entrambi: comincia lui con la scrittura e lo seguo io con le immagini, il confronto arriva sempre dopo, quando il lavoro è già strutturato. Parliamo e ci scambiamo opinioni, ma di base c’è un grande rispetto del lavoro dell’altro. La cosa bella secondo me è che non c’è mai nulla di definito, non abbiamo mai regole fisse e succede spesso che l’idea iniziale prenda altre direzioni, inaspettate.
Cambiamo spesso le carte in tavola in corso d’opera, non seguiamo una vera e propria sceneggiatura, più un’idea che man mano si definisce. Intendo dire che fin da subito ci è chiaro il messaggio, ma il modo e la forma in cui esprimerlo non sono definiti a priori. Lavorare con lui mi piace, perché riesce a mantenere la calma e la sicurezza di chi sa che alla fine andrà bene, mentre a volte io mi faccio prendere dall’ansia e dall’insicurezza.
Mi aiuta molto in questo, se inizio a scalpitare per paura di non rientrare nei tempi previsti, riesce ad essere rassicurante e fermo, magari discutiamo, ma alla fine ha sempre ragione. Ho totale libertà nella scelta delle immagini, tutta la parte del montaggio, spesso anche la scelta della musica. Una volta impostato il lavoro glielo faccio vedere, la prima volta in silenzio, dalla seconda ne parliamo. Se c’è qualcosa che non lo convince troviamo una mediazione, il più delle volte ascolto i suoi consigli, ma è capitato anche che qualcosa mi sembrasse irrinunciabile e in quel caso è stato lasciato al suo posto.
Mentre monto un video c’è sempre una grande eccitazione nell’aria e quando finalmente è concluso, l’entusiasmo sale alle stelle, Giovanni se lo guarda in continuazione per qualche giorno e anch’io.
Come è stato lavorare in un momento storico come questo dell’emergenza epidemiologica?
Nel caso di Mal’aria gli eventi esterni hanno condizionato non poco l’umore di quei giorni. Si parlava solo dell’eccezionale momento storico in cui stavamo precipitando, preoccupazione e paura. Nonostante questo, ripensandoci, si è trattato di un momento di grande creatività. Mi rendo conto di aver avuto il privilegio di poter discutere al sole, nell’aia, all’aria aperta, i sentimenti negativi smussati da un’armonia naturale, un silenzio e una primavera bellissima. Dentro il buio, ma fuori una grande luce.
Mi pare che la forma haiku dei tuoi primi video sia ancora presente, ma immersa in un contesto narrativo più complesso, come del resto ci raccontavi. In termini visuali, la costruzione del discorso si affida, per esempio, al lettering, alla parola scritta, al movimento come elemento cinetico, all’esperienza di quei luoghi appunto…
Come dicevo prima, Mal’aria è stata una bella prova per me. Ho dovuto far coincidere il mio stile ad una narrazione molto complessa e per farlo sono dovuta ricorrere ad alcuni escamotage, quelli di cui parli.
Ad esempio nella parte iniziale mi sono affidata a due immagini di attualità molto potenti, che avevamo appositamente scelto con Giovanni perché hanno una forte simbologia. Una è quella di San Pietro deserta, il Papa che si rivolge alla piazza vuota, “solitario ufficia Urbi et Orbi”. L’altra è l’immagine di una schiera di medici cinesi a cavallo nella neve, nel nulla, in Mongolia, accompagnati da forze dell’ordine locali per prestare soccorso alla gente del posto. Entrambe foto surreali, eppure accadeva in quel momento.
Ho sottolineato, scrivendole, alcune frasi per dargli maggior risalto. In generale volevo dare al video un non troppo sottinteso senso di malessere, di sottile paranoia.
Tutto porta in quella direzione, parole, musica, il titolo stesso scelto da Giovanni: Mal’aria, un’aria cattiva, malsana o una malattia se lo si pronuncia tutto d’un fiato. La ricerca estetica del video è subordinata al senso delle parole e al ritmo della musica, le immagini vibranti, esasperate, lo sono per un motivo ben preciso.
C’è stato un momento divertente nella costruzione del video in cui Giovanni mi ha detto che avevo esagerato nel rovinare le immagini, di trattarle un po’ meglio, così ho fatto fortunatamente. Anche per quanto riguarda la parte audio abbiamo “rovinato” di proposito alcune parti, quelle in cui la voce si abbassa e scende di qualità, con tagli sgraziati e netti.
Su sua richiesta ho registrato la voce con mezzi poco ortodossi e il risultato lo ha entusiasmato, una scelta molto punkettona che completa di senso l’intero video, giustificato ancora una volta dall’idea di mala aria.
Anche la conclusione del video è brutale, la frase “un tempo ignoto avanza” e l’immagine a colori di un cartello con su scritto pericolo di crollo, lasciano in sospeso la questione. Nessuna risposta, nessuna garanzia per nessuno. “Oggi è un altro giorno, si vedrà”
Alla luce del tuo e del vostro metodo di lavorare, cosa ti piace e ti interessa del videoclip come forma, e di conseguenza cosa non ti piace?
Mi piace soprattutto l’accostamento immagini e musica. In generale mi interessa trattare il materiale sonoro, rumori, voci, oltre che le immagini. Trovo che i due elementi insieme abbiano una grande potenza se li si accosta nel modo giusto. Uno dei miei film preferiti è Dead Man di Jim Jarmush, lo trovo geniale, ci sono momenti in cui immagini e musica si legano sfiorando la perfezione, da far venire i brividi. Mi piace la brevità, concentrare tutto nel tempo di una canzone, lo sforzo del togliere, eliminare il superfluo. Questo a volte è anche un limite, ti impedisce di approfondire un argomento. Non mi sono ancora dedicata a progetti video più lunghi, ma vorrei farlo, ora che ho affinato la tecnica della sottrazione vorrei imparare anche a soffermarmi più a lungo su qualcosa che mi interessa. Nell’era dei social è tutto velocisssimo, quando per lavoro faccio dei video commerciali il messaggio deve arrivare immediatamente, in 15 o al massimo 30 secondi. Siamo pieni di input, andiamo di corsa e non possiamo permetterci di soffermarci troppo a lungo sulle cose. Troppe immagini, troppo di tutto. Il rischio è di diventare superficiali e di non saper più riconoscere la bellezza quando si presenta.
Progetti futuri?
Molti, ma sono cauta nel dirlo anche a me stessa. Vivo questo tempo a volte con timore, altre con grande energia…farò del mio meglio
Impressioni a caldo sull’inserimento nel concorso di Asolo?
Ne sono onorata e spero di meritarlo, è una bellissima opportunità. Sono sinceramente grata a Michele e a tutte le persone che si sono soffermate e hanno compreso, tra i tanti, un lavoro così importante per me.
Sono Venti le opere che ho scelto per il la sezione “Music Video” di Asolo Art Film Festival 2021 che ho curato personalmente. Per il festival diretto da Thomas Torelli si è pensato ad un contesto che rendesse più permeabili le distinzioni di formato, durata e concezione, già fluide, ma che con il videoclip devono riacquisire la centralità di un luogo eccentrico come la rete. Rinati su internet i video musicali trovano nella sala cinematografica una dimensione importante per definire una dimensione diversa dell’attenzione, spinta ai margini dell’esperienza inter-relata.
Tra le 20 opere scelte per il concorso, quella di Linda De Zen ed Elisa Fabris, realizzata per Julinko , il progetto di Giulia Parin Zecchin, è una disseminazione transmediale del concetto di artwork, che si muove dalla forma artigianale e tattile dell’oggetto, distribuito anche in audiocassetta, e lambisce territori multiformi, tra cui quello poetico della stessa Parin Zecchin, che con la parola lavora su vari livelli e dimensioni. Ecco perché si tratta di un’operazione che coinvolge più di un autore, in uno scambio fecondo tra estetica del lyric video, genesi di un artwork, arte visuale, parola poetica e musica.
In mezzo al ricco metaverso dell’illustrazione per bambini, quello di Mara Cerri comprende un lavoro sull’infanzia stessa, che è molto difficile rintracciare altrove. Nella dimensione ancora tattile del disegno, l’artista marchigiana si allontana in modo deciso dalla trasversalità del Surrealismo Pop, pur condividendone alcuni temi, per privilegiare un mondo fatto di ombre, riflessi, sdoppiamenti percettivi tra il sogno e la realtà pre-semantica dell’infanzia.
La tensione di Via Curiel, 8, corto realizzato insieme a Magda Guidi e premiato al Torino Film Festival nell’ormai lontano 2011, ci raccontava quanto l’impermanenza del mondo disegnato dalla Cerri, anelasse una fuoriuscita dai confini del disegno, verso il passo cinematico.
Il video realizzato per Giacomo Toni, prodotto per anticipare “Ballate di Ferro“, il terzo album del cantautore romagnolo in uscita a Settembre 2021 per L’Amor Mio Non Muore Dischi, con la produzione artistica di Don Antonio, arriva dopo il secondo cortometraggio di Mara Cerri, quel Sogni al campo che è stato presentato nella sezione Orizzonti della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2021, racconto quasi Zen di elaborazione del lutto e comprensione della soglia tra vita e morte.
Lo sguardo dei bambini è sempre al centro, ma nella forma non riconciliata dell’infanzia, che sfugge a qualsiasi categorizzazione.
Ed è in fondo esperienza del vuoto anche il video di “Se proprio devo“, dove i luoghi della periferia urbana vengono riempiti dai volti, i gesti e gli oggetti di un’infanzia che ha già oltrepassato lo specchio. Un rivedersi fanciulli che Dino Campana descriveva come esperienza non lineare del tempo. Il movimento, qui, rende tutto instabile: i ricordi, la descrizione dei luoghi, la composizione stessa del frame.
Giacomo Toni – Se Proprio Devo – Il video d’animazione di Mara Cerri
In un campetto da calcio dei ragazzini costruiscono relazioni, mentre un cantiere tira su un mondo che le renderà più stridenti. Un uomo e una donna si fronteggiano e si negano le illusioni dell’infanzia, oppure contrattano un nuovo equilibrio. Il pallone da calcio si deforma e diventa una betoniera che impasta ricordi, suggestioni sonore, storie. Non può fermarsi. La bellezza, intatta, fugge dal buio di una serranda abbassata e si nasconde dentro un paesaggio mentre le parole di questa ballata ne esaltano il respiro.
Se proprio devo, il videoclip realizzato da Mara Cerri per Giacomo Toni in concorso ad Asolo Art Film Festival 2021
Il video di Mara Cerri è stato selezionato per il concorso di Asolo Art Film Festival 2021, nella sezione “Music Video” che ho curato personalmente. Le venti opere della sezione, concorreranno insieme alle altre, in un contesto che rende più permeabili quelle distinzioni di formato, durata e concezione, che stiamo fortunatamente perdendo e che nel caso dei videoclip, toglie un fenomeno resuscitato nella rete, per condurlo nuovamente fuori, nello spazio condiviso della sala cinematografica. Quest’anno, causa Covid-19, l’esperienza sarà limitata per tutti i film del concorso. I videoclip in questo senso, già godono di una circolazione autonoma attraverso i canali preposti alla promozione musicale, la sala è quindi importante per determinare una diversa dimensione dell’attenzione e un recupero di altri sensi oltre lo sguardo, come ci insegna Vivian Sobchack, che nell’esperienza inter-relata, dona parte delle energie tattili ai dispositivi del controllo.
“Music Video” allora come, il video siamo noi, nella riappropriazione dello spazio eterotopo sul confine tra corpo e schermo, musica e immagine del suono.
Per l’occasione, abbiamo chiesto a Mara Cerri di raccontarci il lavoro svolto su “Se Proprio Devo” e più in generale, le suggestioni della sua arte.
Mara Cerri, l’intervista: Tra vibrazione della materia e l’invisibile
Come hai incontrato la musica di Giacomo Toni?
Un amico musicista mi aveva fatto ascoltare alcuni suoi pezzi, l’avevo apprezzato ma solo dopo averlo ascoltato dal vivo ho capito veramente dove colpisse il suo lavoro. Una sera d’estate ho sentito questo pezzo, “Se proprio devo”, suonato sulla spiaggia di Cesenatico in trio con Roberto Villa (N.D.R. Guarda l’anteprima esclusiva di Torbido su Indie-eye Videoclip) e Daniele Marzi. Ho sentito di aderire intimamente ad ogni parola, o almeno idealmente avrei voluto. “Se proprio devo” ripetuto 10 volte come fosse un decalogo e un manifesto del vivere.
Da questa adesione intima al Videoclip. Come è nata la collaborazione?
Quando Giacomo mi ha chiesto di lavorare insieme non ho detto subito si, anche se forse era già un mio desiderio. Ci siamo scontrati e mi sono presa qualche insulto… ma era una provocazione.
Davvero?! Interessante, puoi approfondire questo aspetto in termini creativi?
Ho iniziato ad ascoltare i suoi dischi e ad amarne il sound, sono tornata ai live e imparavo i suoi contrasti. Il suo era un lavoro ossimorico ed esatto, si percepiva una struttura solida. Quello che i suoi pezzi mi restituivano era una dimensione umana raccontata anche nelle sue sporcizie. Eppure luccicante.
Quando hai cominciato a lavorare al video?
Ho lavorato al video durante il lockdown.
E come hai sviluppato la narrazione?
Ero rimasta affascinata dall’autenticità con cui Toni mi raccontava della sua squadra di calcio over 35 di Forlimpopoli, mi sembrava che in quel suo accendersi ci fossero nodi importanti. Ho iniziato a dipingere su fotogrammi video di alcuni ragazzini preadolescenti che giocano a calcio, selezionando frammenti di scene che restituivano le loro reazioni al gioco. Lì c’era per me la manifestazione non didascalica ma strutturale alle parole della canzone.
Puoi dirci qualcosa in più su questo passaggio dal fotogramma al disegno?
Nelle sbavature della china e nelle sue sporcizie c’era aderenza alla narrazione e al suono, nella vibrazione di alcune materie ecco lo sbrilluccichìo della vita di provincia così come Giacomo sa raccontarla.
In termini pratici come hai lavorato?
Realizzando molti fotogrammi, in particolare quelli che restituiscono una memoria, sono ottenuti dalla sovrapposizione dell’immagine dipinta e del suo spettro, le macchie sul retro del foglio di carta.
Una sovrapposizione interessante, anche in termini concettuali…
Si, questo procedere mi ha sostenuta nell’illusione di una verità, la sensazione della compresenza di più aspetti del reale: quello visibile e quello nascosto insieme.
Come hai ricombinato questo materiale?
I fotogrammi sono stati montati più e più volte a video a passo tre sulla traccia sonora fino ad ottenere un impasto di suoni e segni che si compenetrassero. Mi pare ancora che abbiano una vibrazione e un respiro comune.
Assolutamente. Oltre al lavoro sui video, hai fatto esperienza dei luoghi raccontati da Giacomo?
Durante la lavorazione del video sono stata a trovare Toni a Forlimpopoli, mi ha portata a tirare due calci in quello che chiama il campetto della chiesina. Lì c’è un bar e davanti, a poche decine di metri, un cantiere di case in costruzione. Era tutto lì, ho messo a confronto queste situazioni: i ragazzini nel campetto e il cantiere. Lo strumento del cinema d’animazione, nella trasformazione tra la palla e la betoniera, mi ha permesso di mettere in relazione i due mondi in un passaggio misterioso di senso e di tempo in cui i singoli fotogrammi sono astrazioni, lune, eclissi.
C’è una relazione diretta tra le immagini del video e l’artwork del disco di Toni che uscirà a settembre, questo è un aspetto che mi piace molto perché sin dagli anni ottanta è un dialogo che ha plasmato l’immagine industriale e che ora diventa più vicino ad un lavoro, personale e autoriale, di art direction.
Si, quella forma è stata stampata anche sul centrino del disco di vinile, la betoniera gira impastando suoni e storie: “Ballate di ferro” è il titolo dell’album che esce in settembre per L’Amor mio non muore dischi, ha questo titolo proprio perché questo primo singolo è cardine di un’intenzione. Un disco di canzoni che parlano d’amore, ma dimenandosi ostinatamente dal morso della retorica e dei sentimentalismi.
In che senso?
In alcuni pezzi ribalta e scompagina con ironia i punti di riferimento su cui si muove il pensiero comune, in altri approda a momenti di epifania in cui la bellezza si manifesta fiera. Queste ballate di ferro sono forse attriti dovuti a retoriche che vanno decostruite, oppure rivendicano l’idea di un sentimento che si confronti anche con alcune durezze. Quando disegnavo quella scarpa bianca mi rendevo conto che formalmente era il corrispettivo del casco indossato dal personaggio maschile del video, che poi viene da un altro video di Toni. Due forme bianche con incavi neri così come la betoniera. Tutti fortemente simbolici.
Che tipo d’amore è quello che hai intravisto nel lavoro di Toni e che poi hai trasposto in questa avventura creativa?
L’amore non è quello illusorio salvifico e risolutivo. Non è una fiaba. L’amore dovrebbe avere sempre un carattere d’urgenza nei confronti del reale, come ne “L’invenzione dell’amore” di Daniel Filipe, un poema cui ho lavorato parallelamente al video e che uscirà nei prossimi mesi per Else edizioni. I due lavori hanno avuto per me e per come li ho vissuti un forte eco di significato tra loro. Le edizioni Else hanno deciso di appoggiare anche “Se proprio devo” in coedizione con L’Amor mio non muore e hanno stampato delle serigrafie a tiratura limitata sulle immagini del videoclip, un trittico di carta pieghevole che contiene anche il testo della canzone.
Animazione e illustrazione: come si incontrano questi due mondi e cosa consente la prima rispetto alla seconda
Hanno in comune fondamentalmente il disegno, il segno naturalmente. Ma si muovono poi su binari molto diversi, almeno per me. L’animazione permette di svelare qualcosa nel movimento, nello scorrere del tempo. E’ meno contemplativa della singola illustrazione. I singoli disegni di un’animazione sono a volte delle sorprese anche per l’autore, perché nel disegnare il singolo frame si è già protesi verso quello successivo.
Qual è la tua idea di animazione Mara?
Credo debba conservare sempre la sua parte di mistero, uno sguardo rivolto all’invisibile. Credo nell’animazione dipinta a mano e nella vibrazione della materia, amo i percorsi che non sono già prestabiliti ma diventano mano a mano organismi autonomi. Si alzano quando ne hanno la forza .
L’inclusione del video nella sezione di videoclip di Asolo Art Film Festival, qualche impressione a caldo…
Ne sono molto contenta naturalmente, questa selezione è un riconoscimento del lavoro che è stato fatto ma soprattutto la possibilità di condividerlo. Sono molto curiosa di vedere gli altri lavori selezionati e farmi un’idea di quello che viene prodotto.
Progetto ambizioso che non si limita alla rimusicazione di un film di culto. “A Man Falling. Teho Teardo suona La Jetèe” andrà in scena Venerdi 27 Agosto al TOdays Festival di Torino, un vero e proprio cineconcerto che prevede due film. Il primo è un cortometraggio diretto dallo stesso Teardo insieme ad Orazio Guarino e presentato in esclusiva dal festival torinese; il secondo è la rimusicazione del capolavoro di Chris Marker, la Jetèe, che in qualche modo ispira anche la genesi del corto diretto da Teardo. I due film sono quindi intrecciati da un dialogo elettivo che è ben descritto dallo statement del compositore, musicista e sound designer: “Precluso il futuro, la speranza è nel passato. Precluso lo spazio, la speranza è nel tempo”.
Insieme a Teardo ci saranno, Laura Bisceglia, violoncellista e la violista Ambra Chiara Michelangeli.
Il corto “A Man Falling” è invece interpretato da Michele Riondino, protagonista insieme alla grande Liliana Cavani. Girato sull’Appia Antica, alle porte di Roma, vede le voci narranti di Enda Walsh, notissimo commediografo irlandese e di Blixa Bargeld, che con Teardo ha collaborato molte volte, una per tutte, il progetto Ingiuria condiviso con Chiara Guidi ed Alexander Balanescu, per il quale indie-eye ha prodotto una ricca video intervista.
La Jetèe per Teardo ha offerto notevoli spunti di riflessione, legate al bisogno di connessione che è esploso dopo le costrizioni imposte dalla pandemia: “Non ci siamo più visti – ha dichiarato il compositore – Non erano bocca e naso ad essere coperti da una mascherina, ma i nostri occhi. Durante la pandemia non potevamo vederci. La maschera era sugli occhi come quella del protagonista del film di Chris Marker“
“A Man Falling” invece trova diretta ispirazione nella lettura che lo J. G. Ballard ha fatto del film di Marker, un articolo che l’allora trentatrenne scrittore pubblicò sulla rivista New Worlds, leggendo la Jetèe come un susseguirsi dei paesaggi interiori del tempo, la proiezioe di ricordi e movimenti quantificati nella sequenza temporale. Questa lettura ispira Teardo che con Elisabetta Pacini ha lavorato alla sceneggiatura del suo corto, che in qualche modo si ispira, del tutto liberamente, al film di Marker.
Teho Teardo – chitarra baritona, elettronica, campane Laura Bisceglia – violoncello Ambra Chiara Michelangeli – viola Quando: Venerdì 27 agosto 2021 Dove: sPAZIO211 – Torino Inizio evento: ore 23:00 Fine evento: ore 00:00 Prezzo biglietto singolo: euro 30 + dp valido per l’intera giornata del 27/8
A MAN FALLING (2021) un film di Teho Teardo e Orazio Guarino Interpreti: Michele Riondino, Liliana Cavani Con le voci di: Enda Walsh (voce dello speaker radiofonico) Blixa Bargeld (voce di tre animali nascosti nellʼerba: volpe, corvo, lepre)
Ispirandosi alle tecniche dell’acrilico fluido, Azzurra Baste in arte Tzu, ha sviluppato una dimensione altrettanto liquida intorno alla musica di Hack.
Il primo singolo del trio romano, intitolato Flares, nel fondere il flusso di coscienza dell’elettronica con la sensualità timbrica ricercata dalla voce di Denise Fagiolo, consente a Tzu di operare una combinazione di visuals che è difficile indirizzare con precisione al mondo digitale, come a quello organico. La forza sta proprio in questa sintesi tra algoritmo, glitch e materialità dei colori. In fondo un tipo di transitorietà già presente nella Fluid art, sospesa com’è tra materia ed esplosione ottica.
Il risultato è una piccola cosmogonia interiore, alla ricerca di altre mappature che possano conciliare le “particelle” con l’esperienza oltre i confini del quotidiano.
La Fagiolo si è fatta ispirare dalla poesia di Pietro Salinas “Sì, aldilà della gente ti cerco” (nella traduzione Einaudi della fine degli anni settanta), formidabile esercizio zen scritto dal poeta spagnolo nel 1933, dove la concretezza di gesti e cose viene sfumata per esser reintegrata successivamente nella sponda onirica.
Il dialogo tra i testi della Fagiolo e le immagini della Tzu si muove proprio tra immagine e riflesso.
I “Flares” del titolo, che possono alludere ad una serie di fenomeni ottici naturali, ma anche riprodotti artificialmente, diventa il centro stesso del video, fatto di mutazioni a vista, improvvise rifrazioni. Energie tra ipovisione e colore, tra il corpo e il nulla.